Photo credit: La Presse

“Sì: abbassare le tasse grazie all'Europa si può”. Recovery e futuro. Parla Gualtieri

Claudio Cerasa

I piani da finanziare con i fondi europei. L’ottimismo sulla crescita. La rivoluzione della pa. E un invito all’opposizione: basta propaganda, collaboriamo. Intervista modenese con il ministro dell’Economia: “Vedrete, saremo veloci come la Francia”

Ministro, ma lo ha visto cosa hanno fatto in Francia? Roberto Gualtieri sorride ma non ci casca: se la Francia ha già distribuito agli investitori comodi opuscoli in formato A4 per spiegare in che modo verranno utilizzati i miliardi che arriveranno dall’Europa (cento miliardi in due anni, dice Emmanuel Macron) non vuol dire molto e non vuol dire che il governo francese è in anticipo, perché i soldi del Recovery fund non arriveranno prima del prossimo anno e perché l’iter ufficiale del Recovery plan non comincerà prima del prossimo gennaio. Poi il ministro Gualtieri ci riflette, capisce che un conto è ragionare con i tempi del calendario mentre un altro è ragionare con i tempi della politica e allora si sbottona un po’ e dice che quel che ha fatto la Francia lo farà presto anche l’Italia. Siamo a Modena, è lunedì sera, siamo alla Festa dell’Unità del Pd e il ministro dell’Economia, tra un piatto di pappardelle al cinghiale, un giro in cucina e una chiacchierata di fronte ai militanti, ci offre la possibilità di dialogare con lui. “Vede. Questa non è una gara di velocità, perché se si legge il programma francese c’è scritto che il Recovery plan lo presenteranno a gennaio. Detto questo, sì, certo, anche noi vogliamo partire prima dei tempi previsti per avere già in autunno, tra pochi giorni, le linee generali del piano che approveremo. A ottobre, poi, avremo un piano, con un’impostazione per così dire alla francese, che sottoporremo informalmente alla Commissione europea. Per essere prontissimi dal primo giorno utile in cui il programma formalmente partirà. E’ questo che stiamo facendo e lo stiamo facendo insieme anche alla nostra manovra di Bilancio. Siamo il paese, in Europa, che ha più risorse di tutti. In qualche modo abbiamo risorse anche superiori alla Francia. E posso dire che il nostro piano sarà ampio e articolato e sufficientemente ambizioso per far fare al nostro paese quel salto di qualità che il paese può fare e che per troppo tempo non ha fatto: avremo uno schema analogo a quello francese”.

 

La cornice è chiara ma nella pratica tutto ciò cosa significa? “Vogliamo focalizzarci su tre punti in particolare: l’innovazione, la sostenibilità ambientale e la coesione sociale e territoriale. Intorno a questo non faremo una somma di singoli microprogetti, che disperdano queste risorse in mille rivoli, ma cercheremo di concentrarli in alcuni grandi progetti, che abbiano la capacità di generare maggiore pil e di creare maggiore occupazione. E se si faranno gli investimenti giusti, quelli che vanno a toccare alcuni dei problemi strutturali che questo paese ha accumulato da troppo tempo, l’impatto economico soprattutto di medio periodo può essere straordinario”. Ministro, ma nel dettaglio? “Possiamo innescare un ciclo di crescita, di trasformazione e anche di ricucitura di questo paese, che in questi anni con l’altra crisi economica, con le sfide della globalizzazione, si è un po slabbrato, fratturato. L’Italia, è vero, è il paese dei cantieri che non si concludono, che non si aprono, dei ritardi, delle lungaggini, però è anche il paese che quando decide di darsi un compito chiaro porta a casa il risultato. Alla fine l’Expo si è fatto ed è stato un successo. Il ponte di Genova è stato completato nei tempi previsti. E c’è un aspetto importante e positivo nel modo in cui funziona questo Recovery fund: cioè i soldi saranno anticipati dai singoli paesi e se l’obiettivo non è stato raggiunto i fondi europei non arrivano. E io penso che tutto il paese nei prossimi mesi sarà lì a dire: mi raccomando, bisogna rispettare la scadenza. In concreto. Possiamo portare la banda larga in tutte le case e in tutte le imprese. Possiamo rendere le scuole più moderne e più belle, energicamente efficienti. Possiamo aiutare le imprese a innovare. Possiamo portare il livello dei bambini che vanno agli asili nido al livello dei paesi del nord Europa e finalmente superare limiti e arretratezza. Possiamo sostenere il diritto allo studio e far andare più persone all’università. Possiamo fare dei grandi progetti su un’economia circolare, sull’idrogeno e aiutare il nostro tessuto produttivo straordinario. Se ci diamo degli obiettivi visibili e misurabili collettivamente, io penso che questo paese davvero ce la può fare. E’ questo lo spirito, di intrapresa collettiva, che dobbiamo dare a questo piano”.

 

Si ricorda spesso, facciamo notare a Gualtieri, che i soldi che arriveranno dall’Europa non potranno essere utilizzati per tagliare le tasse, perché il taglio delle tasse rappresenta una misura strutturale mentre i fondi europei rappresentano una misura una tantum. Eppure, diciamo al ministro, un ragionamento ulteriore si potrebbe fare e si potrebbe forse immaginare una riduzione delle tasse non come effetto diretto ma come effetto indiretto dei progetti che verranno finanziati dai fondi europei: un paese che diventa più efficiente è un paese che risparmia e un paese che risparmia ha margini di manovra per intervenire sulla pressione fiscale. No? “Guardi, è quello che vogliamo fare. I soldi del Recovery fund e del Next Generation Eu sono soldi temporanei e questa è la ragione per la quale un taglio strutturale delle tasse non si può finanziare con dei soldi che durano solo alcuni anni. Ma queste risorse possono finanziare delle grandi e ambiziose riforme. E possono finanziare investimenti che hanno un impatto sulla crescita, creando così uno spazio di bilancio. L’obiettivo che noi ci prefiggiamo è, in questo pacchetto di riforme che accompagneranno gli investimenti finanziati con le risorse europee, quello di far entrare a regime delle riforme che possono aiutare a finanziare una riduzione maggiore del carico fiscale, soprattutto per il lavoro e per l’impresa. Per esempio, una pubblica amministrazione e un sistema di pagamenti digitalizzati sono meccanismi che strutturalmente aiuteranno a ridurre l’evasione fiscale. Se noi modernizziamo la pubblica amministrazione, il sistema fiscale, e digitalizziamo, anche utilizzando per questa opera di digitalizzazione le risorse europee, possiamo credibilmente avere un graduale aumento di gettito con cui possiamo sostenere una riforma fiscale. Riforma che dovrà, come ho sempre detto, autofinanziarsi a regime, ed essere sostenuta dall’aumento del gettito, determinato dalla riduzione dell’evasione fiscale, accompagnandosi a una riorganizzazione di questo sistema di detrazioni, di bonus, che lo renda più semplice, più chiaro e ci consenta di avere aliquote Irpef più basse per la maggioranza dei cittadini. Dunque niente flat tax, perché noi siamo d’accordo con quello che c’è scritto nella Costituzione della Repubblica italiana, ovverosia che il sistema fiscale deve essere progressivo. Mentre invece pensiamo che sia possibile, mantenendo la progressività delle imposte, avere una riduzione del carico fiscale sul lavoro e soprattutto sui redditi medio-bassi che può anche diventare apprezzabile e significativa e accompagnarsi a un sistema fiscale più semplice, più giusto, meno astruso, che possa anche allargare le entrate con un contrasto all’evasione fiscale e portare a uno scambio positivo per la maggioranza dei cittadini. Questo si può fare, anche rendendo il sistema fiscale più amico dell’ambiente, ed è una cosa che l’Europa incentiva: è un incentivo a decarbonizzare l’economia, perché più riduci le emissioni e meno paghi, ed è un incentivo alla trasformazione del sistema produttivo. Ma anche più amico della famiglia e della genitorialità: c’è un disegno di legge sul quale il Parlamento sta lavorando che è quello dell’assegno unico. Ecco, sostenere di più le famiglie, i genitori, i figli, è un altro dei due pilastri insieme a quello della riduzione dell’Irpef, che noi speriamo, costruendo una riforma fiscale ambiziosa e collocandola nel quadro di questo Recovery plan, di rendere uno degli elementi di cambiamento e di trasformazione del paese”.

 

Ministro, le faccio un piccolo elenco. “Prego”. Vado: “Incentrare la politica economica connessa agli investimenti sulla ricerca e l’innovazione”; “migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione aumentando l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici locali”; “affrontare le restrizioni alla concorrenza”; “attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni sulla spesa pubblica”; “ridurre la durata dei processi civili; migliorare l’efficacia della lotta contro la corruzione; favorire la ristrutturazione dei bilanci delle banche”. Queste sono le raccomandazioni della Commissione europea all’Italia del 2019. Possiamo dire che l’Italia partirà da queste raccomandazioni per costruire il suo Recovery plan? “Terremo conto sia delle raccomandazioni del 2019 sia di quelle del 2020”. Ricevuto. Ma quando tutto questo finirà? “In che senso?”. Quando torneranno le vecchie regole europee, che non renderanno per esempio più possibile fare il deficit che l’Italia sta facendo oggi, il nostro paese cosa farà? Combatterà per cambiare le regole o accetterà di ritornare alle regole di un tempo? “Intanto c’è una cosa importante da ricordare ed è che, lo ha detto anche il commissario Gentiloni, noi non ci possiamo permettere troppo presto delle regole di bilancio più rigide. Anche l’anno prossimo saranno necessarie politiche espansive. E in generale, finché non si ritorna come principio a recuperare il pil perduto, sarebbe sbagliato ripartire con una stagione in cui il punto fondamentale è il consolidamento di bilancio e la riduzione del deficit. La prima cosa positiva è che mi sembra stia emergendo un consenso, e noi siamo d’accordo, sul fatto che l’anno prossimo sarà necessario mantenere una fase in cui ovviamente non si faranno livelli di deficit come quelli di quest’anno però non sarà ancora il momento della stretta. Poi occorrerà ripartire da dove eravamo, portando avanti una discussione per una riforma del Patto di stabilità. Io personalmente mi batto da tempo, da quando ero un parlamentare europeo, per la famosa golden rule: cioè lo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit. In particolare degli investimenti verdi, innovativi, di capitale umano. E contestualmente a questo, occorre fare in modo che non si interrompa questa straordinaria innovazione che abbiamo contribuito a realizzare, cioè il fatto che l’Unione europea non si limiti a rendere solo le regole più flessibili, a dire spendete i vostri soldi, un po’ di più un po’ di meno. Anche perché questo approccio ha un limite: nel senso che l’Unione europea ti può anche consentire di fare più deficit, però se questo significa indebitarsi sui mercati significa che il debito c’è, e per questo il semplice cambiamento delle regole non ti risolve questo problema. Ti risolve invece il problema, in modo molto più strutturale, il fatto che l’Unione europea decida di non essere solo un mercato e una moneta ma di dotarsi di una capacità di spesa maggiore di quella che tradizionalmente ha avuto – l’1 per cento del pil di bilancio, formato da contributi degli stessi stati membri – e faccia quello che fanno normalmente gli stati. Cioè: emettere titoli di debito sui mercati e con questi temporaneamente finanziare in deficit investimenti comuni. Questa cosa sta avvenendo. E quindi l’Unione europea emetterà 750 miliardi più i miliardi Sure, dunque mille miliardi di Eurobond che saranno utilizzati per finanziare spese comuni. Io penso, e questo è un aspetto di cui non si tiene conto, che se noi utilizzeremo bene queste risorse faremo vedere a tutti che queste risorse sono un valore aggiunto per l’Italia, per gli italiani, per l’economia italiana e per tutta l’Europa. In questo senso, potremo forse rendere strutturale questa nuova modalità di funzionamento dell’Unione europea, non limitando il tutto agli effetti della pandemia. E’ questo il sogno. E in parte dipenderà anche da noi. E se si capirà che questa rivoluzione produce un beneficio per tutti, ci sarà più consenso a renderla permanente. E proprio per questo sono convinto che un eventuale successo potrà trasformare in modo profondo non solo l’Italia ma tutta l’Europa”.

 

Quando si parla di futuro, occorre parlare di ripresa. E quando si parla di ripresa, occorre parlare di imprese. Non c’è ripresa senza un vero sostegno alle imprese, e questo lo sappiamo. Ma, facciamo notare ancora a Gualtieri, diversi imprenditori, in questi giorni, si stanno chiedendo come si faccia a scommettere sul futuro dell’Italia rimettendo per esempio in discussione l’articolo 41 della Costituzione – “l’iniziativa economica privata è libera”. Che paese è, ministro, un paese che non si fida dei suoi imprenditori e decide di imporre loro per diversi mesi addirittura il divieto di licenziamenti? “Non concordo. Non siamo stati l’unico paese a introdurre il divieto di licenziamenti. E io penso che aver deciso, durante la pandemia, due cose inedite e straordinarie – come introdurre un blocco dei licenziamenti, da una parte, e dall’altra di garantire la cassa integrazione per tutti i lavoratori – sia stato giusto e necessario per salvaguardare l’occupazione e il tessuto produttivo. Col decreto ‘Agosto’, come sa, abbiamo previsto un superamento graduale di questo stato eccezionale di emergenza. E abbiamo collegato la fine del blocco dei licenziamenti alla disponibilità della cassa integrazione Covid. Quindi finché le imprese avranno la possibilità di attingere alla cassa integrazione ci sarà il blocco dei licenziamenti. Poi speriamo ci siano le condizioni perché questa emergenza non ci sia più e l’economia ritornerà alla sua condizione normale in cui una misura di questo tipo non sarà più necessaria. Rivendico la necessità, in una fase straordinaria come questa, di mettere in campo delle risposte straordinarie. E i dati di tutti gli osservatori ci dicono che senza queste misure noi avremmo avuto delle cifre molto alte – difficile dare dei numeri esatti ma avremmo perso più di un milione di posti di lavoro. Se non avessimo messo in campo queste risorse ci sarebbero stati dei danni permanenti difficili da recuperare. Sono finiti i problemi? Certo che no. Ma nonostante questo vi dico che sono ottimista rispetto al futuro”.

 

Sulla base di quali numeri si può essere ottimisti? – chiediamo al ministro poche ore prima che Fitch abbassasse la propria previsione sulla crescita del pil italiano nel 2020, prevedendo un -10 per cento rispetto alla precedente stima di -9,5. “Il mio ottimismo è sugli indicatori di una ripresa che è in atto: abbiamo visto una ripresa della produzione industriale molto positiva già da maggio, poi a giugno e luglio. Sono indicatori che ci fanno ritenere che c’è una ripresa. Ma questo ovviamente non significa che non ci siano i problemi: abbiamo preso una botta fortissima e dobbiamo continuare a sostenere il sistema produttivo, e qui le risorse del Recovery fund saranno quelle che faranno la differenza al di là delle misure più immediate e più specifiche, perché siamo di fronte a una sfida senza precedenti. Ma io sapendo che è dura, comprendendo le difficoltà, la sofferenza, l’impegno straordinario delle imprese, dei lavoratori, di chi è di fronte alle difficoltà enormi, nella piena consapevolezza della difficoltà della sfida, mantengo l’ottimismo e la fiducia di chi vede che il paese ha reagito bene, meglio di quanto pensavano gli osservatori internazionali. Ci sono stati anche degli articoli sulla stampa internazionale: l’Italia è stata una sorpresa. E’ stato il paese ad avere il lockdown più duro, è calato meno di altri paesi e sta reagendo bene. Sono fiducioso che con l’impegno di tutti potremo superare questa fase difficile e anzi cogliere l’opportunità di far fare un salto in avanti al paese. Ma questo richiede un impegno comune e collettivo: gli italiani hanno mostrato una straordinaria duttilità e capacità e questo penso sia davvero un elemento che ci deve dare una forte fiducia e ottimismo per il futuro”. L’impegno di tutti, già. Chiediamo ancora al ministro: non avrebbe senso, dato che il programma di riforme durerà fino al 2026, ovverosia al di là del perimetro di questa legislatura, impegnarsi ancora di più affinché parte delle riforme vengano discusse anche con l’opposizione, come è successo in Portogallo? Perché non si riesce a fare anche in Italia? E non mi dica che la colpa è soltanto dell’opposizione. “Mi ha bruciato la risposta”. Proviamo a fare uno sforzo! “Forse il mio amico Antonio Cósta, in Portogallo, ha un’opposizione un po’ diversa dalla nostra. Noi il conflitto politico non l’abbiamo mai praticato. Abbiamo passato ore a discutere, abbiamo invitato l’opposizione a darci le loro proposte. Non credo ci sia mai stata una polemica da parte nostra”. Pausa. “Vede, questo purtroppo è un problema dell’Italia”. In che senso? “Nel senso che c’è stata una tendenza propagandistica a cavalcare i problemi più che a contribuire a definire le soluzioni. In Parlamento ci siamo riusciti di più, siamo riusciti a lavorare su degli emendamenti migliorativi. Siamo sempre stati aperti e restiamo aperti. Registriamo però che l’interesse principale di Salvini e della Meloni è un altro: fare polemiche assurde, parlare alla pancia del paese, enfatizzare le cose negative, fare campagna elettorale solo per sostenere i loro candidati. Non abbiamo trovato, e dico purtroppo, un’opposizione che volesse condividere fino in fondo una sfida come questa. Ma le nostre porte sono sempre aperte, anche nella discussione parlamentare che ci sarà sul Recovery fund. Le buone idee vanno bene a prescindere da chi le propone. Ma naturalmente abbiamo anche la responsabilità di fare delle scelte e di aiutare il paese ad andare avanti. Su questo non ci faremo intimidire da nessuno e saremo molto fermi e determinati”.

 

Il 5 settembre, ricordiamo in conclusione al ministro, il governo ha festeggiato un anno di vita. In quest’anno di vita è cambiato di più il Pd o il M5s? “Devo dire che il cambiamento provvidenziale che si è realizzato un anno fa con la formazione del governo credo sia un cambiamento che ha messo al centro alcuni elementi fondamentali dell’identità e della visione politica del nostro partito. Un cambiamento che ha rimesso al centro l’Europa. Ed è stato provvidenziale. Quando abbiamo giurato, pensavo che uno dei nostri compiti principali e sicuramente il mio principale era quello, dissi allora, di saldare il conto del Papeete; e lo abbiamo fatto, penso anche bene. Nessuno pensava ci saremmo trovati davanti a questa pandemia, a quest’emergenza. E quindi la nascita di questo governo ha consentito, io penso, non solo di saldare il conto del Papeete ma di salvare l’Italia. Non è un’esagerazione. Penso che sia sotto gli occhi di tutti il rischio che avremmo corso nel trovarci con una pandemia e con un governo di forze che non credono alla scienza, che sono contro l’Europa, e l’Italia avrebbe rischiato di farsi davvero molto male. E’ stato un cambiamento difficile da decidere per il nostro partito ma abbiamo preso la decisione giusta, e credo che questa cosa rimarrà come uno dei cambiamenti più importanti della storia di questo paese”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.