L'intervista

Edoardo Nesi ci spiega perché voterà No al referendum, contro la decrescita infelice del M5s

Lo scrittore premio Strega sta per ultimare il suo nuovo libro. Un saggio economico (e giornalistico) sullo stile di "Storia della mia gente"

David Allegranti

"Non voto più Pd, tranne in Toscana perché non voglio la Lega al governo", dice il romanziere

Il suo ultimo romanzo, La mia ombra è tua, diventerà un film per Fandango. Edoardo Nesi, benedetto pratese, ha appena iniziato a scrivere la sceneggiatura insieme a Laura Paolucci ed Eugenio Cappuccio, ma più di questo non può dire ché altrimenti l’amico Domenico Procacci potrebbe adontarsi. Del resto però può parlare. Del nuovo libro, Economia sentimentale, che consegnerà a breve, scritto in sei mesi, e che non sarà un romanzo (si torna alle origini di Storia della mia gente, che gli fece vincere lo Strega), e di politica.

Nesi voterà No al referendum e in questa intervista spiegherà perché. Ma andiamo con ordine. Partiamo dal nuovo libro, “iniziato a scrivere faticosamente durante il lockdown”. “Questa vacanza mi ha portato consiglio, sono riuscito a mettere insieme tutte le cose di cui c’era bisogno”, dice Nesi appena tornato a Prato dopo un’estate al Forte dei Marmi. “Avevo iniziato a scrivere diversi libri, ma alla fine questo ha quagliato. Non è un romanzo, è simile a Storia della mia gente. Un saggio economico ma anche giornalistico, perché ho intervistato diverse persone sul momento che stiamo vivendo. Non si parlerà del virus o dell’epidemia ma delle conseguenze economiche, di quello che potrebbe accadere”. O di quello che è già accaduto, aggiunge Nesi: “Qui non ci si rende conto di quello che sta succedendo, forse perché in Italia c’è stata questa elargizione di denaro pubblico che è stata provvidenziale per finanziare casse integrazioni e aziende. Un problema enorme è stato bloccato, ma non può durare per sempre. Mi pare che sui giornali italiani non se ne parli abbastanza. Ovunque le città si stanno desertificando per via dello smart working, come succede a Milano. Il che porta tutta una serie di conseguenze sugli altri che lavorano nei servizi per quelli che lavorano, o lavoravano, negli uffici. Nella City di Londra o a Wall Street vedi questi grandi palazzi pieni di uffici e ti chiedi: ma quando mai si riempiranno di nuovo? La tecnologia li ha superati. C’è un cambiamento totale delle città. Non c’è più questa gente negli uffici e non c’è più bisogno di quelli che vendevano a questa gente: bar, ristoranti, pizzerie, negozi. Se la gente lavora da casa, che fanno questi?”. Probabilmente i disoccupati, quindi la domanda adesso è come recuperi i lavori di queste persone, dice Nesi: “Ora, io non voglio fare il catastrofista, ma a metterci un po’ d’attenzione siamo di fronte a un mutamento enorme. Nel libro parlo con grandi imprenditori, banchieri e, insomma, mi chiedo, perché loro dovrebbero continuare a pagare affitti enormi per questi uffici quando possono far lavorare la gente da casa, sfruttandoli pure di più? Alla gente che sta a casa pare di stare meglio, ma non è vero. Salta parte della vita sociale. Un problema gigantesco di cui si parla troppo poco. Se anche arrivasse il vaccino, e sono convinto che arriverà e penso che funzionerà, che cosa cambia se il lavoro si fa online? Tanto i lavori produttivi, pratici, manifatturieri, li abbiamo già stupidamente regalati alla Cina. Noi ci siamo tenuti i lavori da ufficio, che adesso cominciano a dematerializzarsi”. Questo, insomma, sarà uno dei temi del libro: come si reagisce a un’economia che si smaterializza. “Ne ho parlato in una lunga intervista a Enrico Giovannini, che è il mio idolo”, dice Nesi, che in questo viaggio ha coinvolto amici, come il finanziere Guido Maria Brera e il suo macellaio, il quale gli ha spiegato che durante la quarantena aveva iniziato a vendere il quaranta per cento in più, perché la gente non voleva andare a fare la fila supermercati per paura. “E ora continuano ad andare da lui, quindi continua a vendere il quaranta per cento in più. I cambiamenti sono pazzeschi ovunque. I miei amici imprenditori tessili di New York mi dicono che la città è diversa, spettrale. Ristoranti chiusi, alberghi chiusi. Poca gente in giro e poco raccomandabile. Lì sono tutti in smart working, quindi ci sono interi quartieri svuotati. Anche Londra è in una situazione difficile. Insomma ci siamo trovati come occidentali a un cambiamento per il quale non solo non eravamo preparati ma non potevamo neanche immaginare che potesse accadere”. Ha aspettato settembre per completare il libro, perché questa “era la data indicata da tutti prima dell’estate come il redde rationem”. Per l’economia, per la scuola, per la politica.

Ma ci sono quindi punti di contatto fra Storia della mia gente, con il racconto dell’impatto della globalizzazione, e quel che è successo stavolta? “Sì, c’è la stessa radicalità e violenza del cambiamento. Io poi sono fissato con il progresso. La decrescita mi fa orrore, è il male assoluto. Non so come abbiano fatto a presentarla come qualcosa di possibile. A me piace il progresso sfrenato trainato dalla scienza e dalla tecnologia. Quella roba che si trovava nei libri di fantascienza ma che non era fantascienza. Immagina di essere nato negli anni venti o trenta, come mio babbo nel 1932, che nacque quando c’era la povertà a Prato. Il più ricco era suo babbo, che aveva la motocicletta. Dopo la guerra arrivò il benessere, portato anche dagli Stati Uniti, che continuò a spargersi. Di recente ho letto il libro dell’economista Robert Gordon, citato anche da Paul Krugman in un suo editoriale, The rise and fall of american growth. Un libro fondamentale, in cui spiega in sostanza che la crescita economica non è una cosa che c’è sempre stata o un processo costante ma è un evento singolo, con un inizio e una fine. E se ci penso è vero. Mia nonna nel 1912 andava a scuola col calesse da Grignano di Prato. Prima di morire vide l’allunaggio e salì sulla Mercedes a 8 cilindri del mio babbo. Noi siamo figli di questa roba. E il progresso si portava dietro i diritti. La crescita economica si porta dietro i diritti, perché quando i cittadini si rompono i coglioni chiedono diritti, iniziano a protestare e li ottengono non appena il mondo cresce e si sviluppa. Anche Internet ha cambiato il mondo ma, come quantità, in maniera inferiore. Quell’onda s’è fermata, ora siamo in decadenza”.

A Nesi il progresso garba un sacco, lui che racconta d’aver vissuto l’austerity. “Da bambino leggevo la fantascienza e mi  si spegnevano le luci in casa. Il babbo non poteva prendere la macchina, perché c’erano le targhe alterne. E io dicevo: ma come, nasco io ed è già finito il progresso? Già lì avevo capito che c’era un problema grosso”. Insomma, Nesi non vuole essere un progressista senza progresso. Il progresso gli garba quando è vero. Solo che a qualcuno il concetto non piace, dice: “Questa cosa non è vista molto bene dalla sinistra. Che uno guadagni, acquisti roba. Eppure non è mica una cosa brutta quando gli operai cominciano a comprare cose e a non essere schiavi della povertà e di un destino di merda. Dicono: vedi, il borghese piccolo piccolo… Ma, dico io, questa è gente che non aveva nulla. Fantozzi lo abbiamo sempre preso per il culo - un uomo di merda che faceva una vita di merda - ma aveva la macchina di proprietà, la casa di proprietà e il lavoro fisso. Ma oggi tra i ragazzi chi ce le ha queste cose? Nell’ultimo Fantozzi, va a cercare casa perché ha dato la sua a Mariangela, che s’è sposata. Non c’è un padrone di casa, non è in affitto. Poi mette il cellophane sul divano per non sciuparlo, ma è a casa sua”.

ANSA / Alessandro Di Margo

 

Pare quasi brutto sporcare questa chiacchierata con domande di politica, ma corre l’obbligo. Come voterà Nesi al referendum? “Io voto No, ma che scherzi davvero? Io ci sono stato lì dentro, in parlamento, e secondo me la riduzione da 630 a 400 di per sé non è una cosa negativa. Però la devi fare per bene. Devi assicurare rappresentanza a tutti. In più è un regalo al M5s, è l’epitome e il fulcro dei grillini, il centro del male che hanno fatto all’Italia”. Gente da mandare a casa, semplicemente. “In una situazione drammatica come questa servirebbe la migliore politica possibile. Gente che se ne intende, che ha vissuto la storia, l’industria e la politica stessa”. Loro dicono: meno siamo, meglio siamo. “Non è vero, che c’entra questo? Come fanno loro a giudicare qualcuno se tra di loro non ce n’è uno bono? Quando ci parlavo, in parlamento, loro erano orgogliosi di venire dal nulla. Ma se arrivano i soldi dell’Europa per ricostruire l’Italia, non puoi prendere decisioni ideologiche sulla base di una cazzata che ha detto Grillo 3 o 4 anni fa. Io dico No anche per questo: non voglio che continui l’idea che il parlamento non fa nulla e non serva a nulla”. Goffredo Bettini dice che la metà dei parlamentari non fa niente. “Queste sono cose false e che non si dicono. Forse voleva dire che nel sistema attuale molti parlamentari non hanno la possibilità di incidere sulla formazione delle leggi che vorrebbero avere. Questa è una cosa vera. E’ complicato incidere sulla formazione delle leggi. Io l’ho provato sulla mia pelle. Quando uscii da Scelta Civica andai nel gruppo misto che era in realtà un gruppone misto e mi accorsi di essere molto distante da dove venivano prese le decisioni. Ma non è che ogni deputato può incidere su ogni legge. Ci sono decisioni che vengono prese in altri posti e ci sono persone che le votano. Questo non significa che siano lì a non far niente”. Ma questo Pd che si accoda al M5s Nesi come lo vede? “Mi mi stupisce molto. Io ho votato centrosinistra per la prima volta con Prodi. Poi ho votato Veltroni, Renzi, ma ora il Pd non lo voto più. Ho votato Pd come tanti italiani quando il Pd era riformista. Ma se il Pd diventa la vecchia sinistra, non lo voto”. Tranne alle elezioni regionali, precisa Nesi: “Voto il Giani perché non voglio la Lega al governo della Toscana. Ma in un’altra regione non voterei questo Pd”. E alle Politiche? “Voterò per chi si presenterà come riformista. Spero in un gruppo ampio. Voterei Calenda e mi piacerebbe che si rimettesse insieme a Renzi, anche se non so quanto sia possibile. Vorrei un partito riformista che abbia un minimo di idea del futuro, che ancora si riagganci all’idea di progresso. Chi mi parla di progresso avrà il mio voto”. E il vecchio Pd? “Non so come faccia a stare con i grillini. Non sono di sinistra. Non erano di sinistra. Io quando ce li avevo accanto a Montecitorio e li sentivo parlare nelle numerose pause dei lavori non dicevano cose di sinistra. Nessuno di loro. Non so come sia passata questa cosa nel Pd”. E Giuseppe Conte è un punto di riferimento di tutti i progressisti, come dice Zingaretti? “All’inizio del libro faccio un’invettiva contro Conte. Ma come, dai il destino dell’Italia a questo che ha fatto l’avvocatino a Firenze? Non funziona così. In nessun paese del mondo finirebbe così. Capisco tutto, capisco il Pd che l’ha fatto per levare di mezzo Salvini. Però, ecco, io non sono tra voi”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.