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La burocrazia l'alimenta il legislatore, non la Pa. Il caso Bassanini

Paolo Cirino Pomicino

Bassanini passò alla cronaca politica perché in due anni, 1997-99, fece ben quattro riforme della pubblica amministrazione e dopo oltre venti anni siamo ancora a piangere

Qualche giorno fa l’annuncio, il governo aveva scovato finalmente il semplificatore della farraginosa burocrazia. Trovatolo, lo aveva subito ingaggiato al ministero dell'Economia dal ministro Gualtieri. Il suo nome è Franco Bassanini. Gualtieri è un autorevole professore di storia e come tale non poteva che andare alla ricerca di un passato recente per trovare qualche genio antico. Bassanini passò alla cronaca politica perché in due anni, 1997-99, fece ben quattro riforme della pubblica amministrazione (una legge generale e tre grandi decreti delegati se il ricordo non ci tradisce) e dopo oltre venti anni siamo ancora a piangere.

 

Bassanini, uomo colto e intelligente, si inventò la delegificazione delle procedure trasformandole in decreti legislativi che passano per il Parlamento solo per un parere non vincolante, al fine di dotare il governo di una flessibilità maggiore nell’esercizio della propria attività. Così facendo si alimentò però una bulimia di decreti legislativi trasformando la vecchia legislazione nelle cosiddette legge matrioske. Fino all’arrivo del Semplificatore, infatti, la norma primaria di legge impattava quasi sempre direttamente sulla realtà amministrativa ed economica. Dopo la semplificazione ogni legge produceva invece decine e decine di decreti attuativi che a loro volta aggiungevano procedure a procedure ingarbugliando ancora di più la italica vocazione burocratica e alimentando un disordine amministrativo che da anni penalizza imprese e famiglie (decine e decine di decreti degli anni passati non sono ancora stati emanati).

 

Questa è anche la storia di oggi. Il decreto liquidità, per esempio, ha previsto “solo” 12 decreti attuativi rispetto ai 30 del decreto “cura Italia” ma subito è arrivato il decreto rilancio che ne prevede la bellezza di 98. Insomma in tre mesi oltre ai 500 e passa articoli di legge primaria vi sono almeno 140 decreti attuativi da fare per rendere operative le misure previste. E’ il drammatico frutto della semplificazione degli anni novanta.

 

Ma c’è di più. In quegli anni meravigliosi in cui le cronache rosa ci dicevano che i vicepresidenti del consiglio andavano a Palazzo Chigi in bicicletta il nostro semplificatore, ammaliato dall’americanismo efficientista, introdusse lo “spoil system” che tradotto in italiano ha significato che ogni ministro poteva sostituire un direttore generale di carriera del proprio ministero con il suo compagno di classe o con un suo caro amico (Di Maio docet). Ma non si fermò lì, però, il nostro Semplificatore. Nella sua furia riformatrice eliminò i comitati di controllo sugli enti locali (i famosi co.re.co.) e i comuni e le province si dettero alla pazza gioia perché intanto anche i partiti di fatto erano scomparsi. La spesa aumentò e centinaia di comuni si dettero anche alla finanza creativa sottoscrivendo i famosi derivati per cui si scommetteva sul livello di tassi di interessi futuri in cambio di flussi di danaro immediati per coprire un buco nei conti del presente in cambio dell’ampliamento di un buco futuro sempre nei conti pubblici con lauti guadagni delle banche d’affari. D’altro canto per 25 anni il nostro era quasi sempre un banchiere d’affari e qualche volta un banchiere centrale. Nel 2014 il governo intervenne e bloccò questa pericolosa attività finanziaria per tutti gli enti locali.

 

Non desideriamo polemizzare con Bassanini visto che lo ha già fatto il suo stesso centro sinistra tanto che fece due altre riforme per rimediare ai guasti della sua semplificazione con Nicolais (governo Prodi) e Madia con i governi Renzi e Gentiloni. I problemi però erano così tanti che sono ancora tutti lì. Siamo felici che le prime dichiarazioni del semplificatore parla di controlli ex post piuttosto che di autorizzazioni ex ante e contro la cultura del sospetto, due pilastri della sua vecchia cultura politica che avemmo occasione di apprezzare e di respingere nel nostro comune impegno in una autorevolissima commissione di bilancio alla Camera dei deputati per oltre cinque anni. Certo che dopo i suoi, altri guasti sono stati fatti come la responsabilità erariale dei dirigenti pubblici introdotta nel 2008 dal centrodestra. E’ forse giunto il tempo di chiarire a tutti che la burocrazia l’alimenta il legislatore, non i dirigenti pubblici e speriamo che gli errori del passato non si ripetano anche se le menti legislative rischiano purtroppo di essere sempre le stesse.

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