Agosto 2013, Silvio Berlusconi partecipa alla manifestazione organizzata dai suoi sostenitori sotto Palazzo Grazioli (foto LaPresse)

Le porcherie rimosse contro Berlusconi

Giuliano Ferrara

“Accanimento ad personam”. “Insostenibile assenza del Quirinale”. “Sentenza del quarto mondo”. Sono passati 7 anni dalla condanna per i diritti Mediaset e noi oggi ripubblicheremmo quei titoli di giornale sul Cav.: chi può dire altrettanto?

All’epoca ero berlusconiano, mi definivo servo libero, per vent’anni avevo preso cappello ogniqualvolta magistrati e giudici davano segno di accanimento persecutorio e politicizzato contro la classe dirigente democratica e contro il Cav. I titoli dei commenti alla sentenza di condanna per i diritti Mediaset, detta anche sentenza Esposito dal nome del presidente del collegio giudicante della sezione feriale, a causa dei quali subimmo ingiuste condanne penali e civili, con transazioni in denaro “per una serena vecchiaia” (Davigo) dei nostri contraddittori togati, erano questi. “ACCANIMENTO AD PERSONAM E VILTÀ DI UNA SENTENZA”. “CASSARE LA CASSAZIONE”. “COM’È FATTA L’ITALIA PATACCARA”. “UNA SENTENZA DA QUARTO MONDO”. “L’INSOSTENIBILE ASSENZA DEL QUIRINALE”. Tutto piuttosto chiaro, almeno per noi del Foglio. 

 

Sette anni fa, dunque non un’èra geologica fa come sostiene un Lopapa di Repubblica, un verdetto definitivo per frode fiscale, in conseguenza del quale Berlusconi fu cacciato dal Senato della Repubblica, eliminò con la forza del diritto storto il capo dell’opposizione e più volte capo del governo. Al paese e a uno dei suoi leader, che aveva dominato la scena per vent’anni, dopo una rancida adunata politico-giudiziaria che prese il posto dell’ordinaria e legittima lotta politica, fu imposta una cocente umiliazione (servizi sociali a compensazione della mancata galera e damnatio memoriae di un capo nazionale trattato come un Al Capone). Chi al contrario di noi giubilò di fronte al compimento di una lunga guerra sporca ora dovrà spiegarsi e spiegare la registrazione di una conversazione di un relatore di quella sentenza, il giudice deceduto un anno fa Amedeo Franco, in cui il formidabile e inappellabile verdetto fu da lui giudicato “una porcheria”, il frutto di una manovra oscena di assoggettamento alla casta togata della volontà popolare, della rappresentanza politica e dei diritti dell’opposizione parlamentare. 

  

 

 

Berlusconi non è un innocente, come chiunque apra strade nuove nell’imprenditoria e nella politica, e la sua parabola si originò, come dicevamo tranquillamente anche allora da servi liberi del berlusconismo, in un’Italia semilegale piena di pasticci, ma la sua colpevolezza non è stata mai dimostrata se non a forza, brutalmente travolgendo il diritto, e con vile accanimento in spregio all’imparzialità e alla conformità alla legge del mestiere di indagare e giudicare. In tutto questo si ravvisano, come si dice, gli estremi di una manovra politica losca sulla quale è opportuno che il Parlamento indaghi senza riguardi per coloro che si sono autoinsigniti della titolarità dell’onestà, del benpensantismo e del lato peggiore di un’opinione pubblica fanatizzata, tradendo ogni deontologia del diritto. Forse ha qualcosa in merito da dire, o qualche domanda a cui dovrebbe rispondere, il giudice che lo condannò nell’afa marcescente di un giorno di agosto del 2013 e che è passato a una nuova vita professionale di commentatore sulle colonne del Fatto quotidiano di Marco Travaglio. 

 

Trump, che è un emulo maligno e pericoloso di un imprenditore-presidente pop e pregiudicato ma mite e osservante delle regole per l’essenziale, non ha mai rilasciato le sue dichiarazioni fiscali.

Berlusconi, condannato per frode al fisco, si è sempre vantato di aver pagato le tasse, ingentissime, del suo business di enorme successo, e ha indicato quali, quante e come. Come Trump, Berlusconi viene anche lui dal mondo della televisione, ma ne era il creatore nella forma della tv privata o commerciale o libera in un paese monopolista e statalista, non un clown da reality show.

Trump è andato al potere minacciando la galera per la sua rivale (lock her up!), il Cav. impose il modello del sorriso dentato, di un nuovo linguaggio liberale, e condusse il paese non al blocco e alla divisione, che spetta come responsabilità ai suoi nemici ideologici, bensì all’alternanza di forze diverse alla guida della nazione, una cosa che non si era conosciuta in tutta la storia del Regno e della Repubblica, condannate al trapasso da un regime a un altro invece che liberate nella capacità di generare un’alternativa nella dialettica tra opposizione e governo. Per questo fu combattuto da un establishment retrivo di mestieranti e di borghesi incapaci di visione e di rispetto delle norme liberali più classiche, e se ne fece l’outsider da condannare a tutti i costi, con i mezzi pesanti della distorsione del diritto e delle “porcherie”, per la gestione dei suoi beni al sole. Aprendo la strada a grottesche degenerazioni dell’onestà esibita (onestà-tà-tà), sfociate in trionfo dell’incompetenza e del più aggressivo populismo autoritario. 

Noi ripubblicheremmo oggi quei titoli di giornale: chi può dire altrettanto?

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.