Nicola Zingaretti

Mes, alleanze, vitalizi. Così il Pd rischia di scivolare sulle crisi d'identità grilline

David Allegranti

Il Fondo salva stati per la sanità è un'occasione da non sprecare, dicono Marcucci e Smeriglio. E in autunno si faranno le primarie, contro “le destre” come chiede Zingaretti ma anche contro i populisti a Cinque stelle

Roma. Il M5s è entrato nella sua privatissima campagna elettorale, con classiche dinamiche di partito in fase congressuale e i conseguenti scazzi fra Casaleggio, Di Maio e Di Battista. Ecco, il Pd teme di finirci in mezzo, ottenendo in cambio la certificazione della subalternità culturale al grillismo. Dal Mes alle alleanze per le elezioni regionali, per non parlare dei “vitalizi”, sono molte le questioni su cui il Pd rischia di scivolare sulle ugge grilline alle prese con la propria crisi d’identità. Peraltro, un qualche cedimento – con piccoli sentori anticasta – sembra già esserci nel Pd. Basta auscultare il dibattito pubblico.

 

Dopo Nicola Zingaretti (“la cassa integrazione è in ritardo e si rimettono i vitalizi. Non è la nostra Italia”), persino Stefano Bonaccini è inciampato: “Mi chiedo come si possano ripristinare i vitalizi nel momento in cui la gran parte degli italiani lotta per tenere il posto di lavoro, per alzare la serranda la mattina, mandare avanti la propria impresa”, ha detto domenica in un’intervista a Repubblica il presidente della regione Emilia-Romagna. Ma non è vero: i vitalizi non esistono più dal 2012 e non sono stati affatto ripristinati. Tuttavia, dice al Foglio Massimiliano Smeriglio, europarlamentare indipendente eletto con il Pd, “sui vitalizi francamente stendiamo un velo pietoso, non è questione di populismo ma di buon senso e di clima nel paese. Con meno 10 punti di pil e centinaia di migliaia di persone che rischiano il posto di lavoro è una discussione di cui non si sentiva il bisogno”. Non è però una posizione condivisa da tutti nel Pd e c’è preoccupazione persino fra i vertici del partito di Zingaretti.

 

L’intervista al Foglio di Ugo Sposetti, ex senatore, ex tesoriere dei Ds, ha aperto un vivace dibattito nel Pd nel fine settimana. (Allegranti segue a pagina quattro) Il vicesegretario Andrea Orlando condivide le parole del vecchio amico Sposetti e glielo ha detto in privato. Il senatore Salvatore Margiotta, sottosegretario ai Trasporti, invece ce lo dice pubblicamente: “Peccato che queste cose, sacrosante, le abbiano dette, nel nostro campo, solo Sposetti, Zanda, Gerardo Bianco. Per il resto, ‘il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto a casa, per paura del senso comune’”, ci dice Margiotta citando Alessandro Manzoni. La “paura del senso comune” è diffusa nel Pd. “Sui vitalizi chi tocca muore”, dicono da Base riformista. Il che spiegherebbe perché c’è parecchia timidezza nel Pd sull’argomento. Ma è anche vero che i problemi sono così tanti che bisogna dare un ordine e stabilire delle priorità. Il balletto sul prestito del Mes, al quale i Cinque stelle sono contrari e su cui Giuseppe Conte sta ancora prendendo tempo, sta facendo perdere la pazienza al Pd. Persino Zingaretti ha detto “basta tergiversare”: “Oggi possiamo avere le risorse per fare quei grandi investimenti che ci permetteranno di migliorare la qualità di assistenza e cura”, ha scritto il segretario del Pd su Facebook.

 

“Conte fa un grave errore se pensa di affrontare i problemi rinviando le decisioni”, dice al Foglio il capogruppo del Pd in Senato Andrea Marcucci: “Il prestito del Mes va preso, perché il Sistema della sanità non si costruisce con le ideologie”. Sul Mes, dice ancora al Foglio Massimiliano Smeriglio, “ha ragione Zingaretti. Serve un atto di coraggio e responsabilità: 37 miliardi per dare forza al sistema sanitario nazionale ricostruire presidi medici territoriali assumere medici infermieri ausiliari è un’occasione da non sprecare”. Quindi, “basta rinvii, l’Europa ci mette a disposizione per la sanità 37 miliardi. Non prenderli sarebbe sprecare un’occasione per tutelare la salute di tutti i cittadini”, dice l’europarlamentare Giuliano Pisapia.

 

C’è insomma quantomeno un sussulto del Pd, ammette Matteo Orfini al Foglio, sul Mes: “Stiamo cercando di far pesare un po’ di buon senso”. Il nodo ora però, aggiunge l’ex presidente del Pd, “è sulle regionali. E’ difficile allearci localmente con il M5s, con il quale nei territori non siamo d’accordo su nulla. E quindi queste alleanze o non funzionano, come in Umbria, oppure non riesci nemmeno a farle, perché nei nodi politici di fondo emergono le differenze fra forze politiche alternative”. Zingaretti spinge per una santa alleanza “contro le destre” ovunque sia possibile. In Puglia, il deputato Alberto Losacco, uomo di punta di Dario Franceschini nel Mezzogiorno, insiste da settimane: “In Puglia Emiliano e Laricchia, Pd, Cinque stelle, Italia viva e le altre forze della maggioranza si siedano attorno a un tavolo per siglare un accordo programmatico simile a quello che ha consentito la nascita del governo Conte… Dobbiamo partire da quello che ci unisce e non da quello che ci divide, per dare alla Puglia un governo all’altezza delle sfide che la attendono”.

 

Sulle regionali, dice Smeriglio al Foglio, “dove serve un voto più degli altri è necessario tentare l’alleanza di tutti i democratici europeisti anti nazionalisti. Altrimenti ci ritroveremo il polo sovranista e razzista al governo di tante realtà territoriali. E il Pd deve metterci una grande cura nel tentare l’alleanza larga”.

Eppure, come spiega al Foglio il capogruppo Marcucci, assestando un colpo anche a Zingaretti, teorico della battaglia “contro le destre”, “guai a trasformare le elezioni regionali in una partita nazionale. Le alleanze territoriali hanno da sempre una valenza locale, le spinte da Roma possono sortire effetti peggiorativi”. Come ama ricordare Marcucci, infatti, le alleanze omogenee non riuscivano neanche alla Dc. Il Pd sui territori, peraltro, sta cercando di organizzarsi per conto proprio. A Torino, dove si vota l’anno prossimo e dove Chiara Appendino sperava in un appoggio del centrosinistra, ormai nessuno nel Pd parla più di alleanza con i Cinque stelle: in autunno si faranno le primarie, contro “le destre” come chiede Zingaretti ma anche contro i rischi di subalternità al grillismo.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.