(foto LaPresse)

Perché il centrodestra è, dalemianamente, un amalgama mal riuscito

David Allegranti

Dopo Puglia e Campania, Salvini usa l'autonomia per minacciare di spezzare la coalizione anche in Veneto

Roma. Ha persino usato Luca Zaia come scudo umano, Matteo Salvini, dicendo che o tutto il centrodestra è a favore dell’autonomia regionale, oppure la Lega in Veneto è pronta ad andare da sola. Una vecchia suggestione, per la verità, quella di Zaia candidato senza alleati, forse persino senza Lega, come già aveva detto al Foglio l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi.

 

Dentro a Forza Italia, alleato di coalizione rimasto incastrato nella morsa del sovranismo, sperano che le sortite salviniane siano solo un modo per alzare la posta nelle trattative estenuanti – ieri c’è stato un nuovo incontro e pare che il segretario leghista se ne sia andato in malo modo – per individuare le candidature alle elezioni regionali. Anche perché al lombardo Salvini dell’autonomia del Veneto non è mai importato granché, contrariamente ai leghisti veneti (o, meglio, ai veneti in generale). Come Roberto Marcato, assessore regionale di Zaia, per il quale “è meglio correre da soli. Fratelli d’Italia è centralista”, ha detto ieri a una radio locale, Radio Cafè: “Sono considerato un falco all’interno della Lega ma io dico esattamente quello che penso”. Il problema, osserva Marcato, è che “tutti l’hanno voluta l’autonomia, persino i sindacati, il Pd e il Movimento 5 stelle a parole la vorrebbero. Ma a parole appunto. Piuttosto che chiacchiere meglio andare da soli”. Naturalmente tra quelli che chiacchierano, come sanno anche i leghisti veneti, c’è pure il segretario Salvini. Che adesso sfrutta un’esigenza reale di Zaia – dare seguito al referendum sull’autonomia di ormai due anni e mezzo fa – per duellare con gli alleati di centrodestra, Fratelli d’Italia e Forza Italia.

 

Dopo aver cercato di stoppare la candidatura di Raffaele Fitto in Puglia, Salvini s’è buttato sulla Campania, dicendo no al berlusconiano Stefano Caldoro e strumentalizzando le divisioni interne a Forza Italia, dove si sono spaccati fra anti-caldoriani (come Mara Carfagna) e caldoriani. Il risultato è che mentre il centrodestra si riunisce senza per il momento concludere, il centrosinistra aumenta le chance di conferma sia in Puglia sia in Campania. Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, ha detto che non si candiderà alle prossime regionali e non sfiderà Vincenzo De Luca, che ha dunque un avversario in meno. In Puglia, il centrosinistra ha iniziato a stampare i primi manifesti elettorali, il centrodestra non ha ancora ufficializzato Raffaele Fitto, che non comincerà la campagna e non farà dichiarazioni “da candidato” finché l’accordo complessivo non sarà chiuso.

 

Visto da fuori, il centrodestra appare sempre più simile alla vecchia definizione di Massimo D’Alema sul Pd: “Un amalgama mal riuscito”. D’altronde, dice al Foglio Gianfranco Rotondi, “questa coalizione nasce con la foto di Bologna del 2017, e non è mai andata oltre: una somma di forze diverse e con poco in comune, tranne una generica avversione per una sinistra peraltro non più a sua volta molto identificabile. Non a caso questo centrodestra non si è mai dato un nome: una volta c’era il Polo delle libertà, poi la Casa delle libertà, il Popolo delle libertà. Ora siamo un volgo disperso che nome non ha”. Lo si vede dappertutto. Lo si vede in Puglia, dove Salvini ha cercato di logorare la candidatura di Fitto lanciando quella del leghista Nuccio Altieri; lo si vede appunto in Campania; lo si vede anche in Toscana, dove la (per il momento) candidata Susanna Ceccardi ha iniziato una aggressiva campagna elettorale ripartendo dalla Pisa consacrata al leghismo due anni fa: “Secondo voi perché la torre di Pisa compare nei video diffusi dall’Isis in cui si rilancia la guerra santa? Perché i monumenti Pisani, i più belli del mondo, sono il simbolo dello splendore e della vittoria del mondo Cristiano nel medioevo”, ha detto in un video su Facebook l’europarlamentare, facendo preoccupare non poco i moderati di Forza Italia, convinti che la strategia dell’identitarismo feroce paghi poco oggi. Persino Salvini, in realtà, sembra saperlo, visto che ieri ha proposto per la candidatura di centrodestra a Roma “un manager” senza tessera di partito in tasca. Ma è solo un modo per evitare che Fratelli d’Italia ci metta il cappello sopra.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.