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Il risiko delle nomine

Valerio Valentini

Le richieste di Renzi e i nuovi equilibri della maggioranza. Quanto peserà sul governo la partita delle commissioni

Roma. Il quadro è di quelli mobili, mutevole al mutare degli umori e dei rapporti di forza all’interno della maggioranza. E di qui a inizio luglio, quando l’assetto delle nuove presidenze di commissione verrà definito, ci sarà ancora di che discutere, di che contrattare. E però un disegno, nella filigrana delle trattative in corso, già s’intravede.

 

Al Senato il rompicapo è in via di risoluzione, e si basa su una divisione a metà delle commissioni. Al M5s ne resterebbero sette, com’è già oggi: anche se non necessariamente le stesse, visto che la ridiscussione sarà generale, e non si procederà solo per singole correzioni. L’altra metà, invece, verrebbe ripartita tra gli altri tre partiti della coalizione di governo. E allora Leu punterebbe alla Giustizia con Pietro Grasso, mentre Italia viva se ne accaparrerebbe due: al che Riccardo Nencini ha fatto già sapere che lui una presidenza la gradirebbe eccome (Lavori pubblici, magari, o in alternativa Istruzione), e visto che il partito di Renzi a Palazzo Madama esiste grazie al simbolo del Psi, la vecchia volpe socialista di Barberino del Mugello qualche chance dovrebbe avercela. Mauro Marino per la Finanze, o in second’ordine Anna Maria Parente per la Lavoro, sembrano destinati a giocarsi l’altro posto di prestigio riservato a Iv. Al Pd ne andrebbero quattro, a questo punto: Dario Stefano, vicecapogruppo, è l’indiziato principale per la guida della commissione Industria, strappandola ai 5 stelle, a meno che i grillini non decidano di promuovere Gianni Girotto cedendo però, a quel punto, la ben più decisiva commissione Bilancio, per la quale, nel Pd, il nome di Stefano risulterebbe comunque spendibilissimo. Agli Affari costituzionali, fondamentale pure quella, come la Bilancio, nello smistamento del traffico del Senato, e ancor più decisiva nei mesi prossimi in cui molto si discuterà sulla legge elettorale, dovrebbe andare Dario Parrini. Sarà invece Roberta Pinotti, con ogni probabilità, a rappresentare l’area franceschiniana nella partita in corso, ottenendo la presidenza della commissione Difesa.

  

Nel complesso, dunque, si concretizzerà quel connubio tra Base riformista e AreaDem che riduce ancor più il peso, all’interno del Parlamento, del segretario Nicola Zingaretti, che d’altronde non dispone di grandi truppe alle Camere. E infatti anche la quarta casella dem, nel gioco delle presidenze di commissione, andrà a un riformista: uno tra Taricco (Agricoltura), D’Alfonso (Finanze), Pittella (Affari europei) o Collina (Sanità).

 

Un equilibrio, però, che resta sospeso sulle trattative in corso a Montecitorio, che sono assai più tribolate e rischiano di rimettere in discussione l’intero accordo. Innanzitutto, perché alla Camera il Pd s’impunta sulle necessità di ridisegnare l’Ufficio di presidenza, dove i dem, a inizio legislatura, ottennero un solo rappresentante su nove. E in particolare, puntano il dito contro Ettore Rosato, luogotenente renziano: se lui resterà vicepresidente dell’Aula, allora a Iv, si potrà concedere solo una presidenza di commissione, e neppure di prima fascia. “Di certo non la Bilancio”, dicono i deputati del Pd, dove Renzi vorrebbe il suo fidato Luigi Marattin e dove al Nazareno pensano invece a Fabio Melilli, di credo franceschiniano. Manco a dirlo, Rosato ha già fatto sapere che se davvero bisogna affidarsi alla geometrica saggezza del Cencelli, allora bisognerà pure che il Pd tenga conto della sproporzione nei posti di governo, dove Iv ha tre esponenti e i dem trenta.

  

E allora tutto torna a ingarbugliarsi, anche per il subbuglio che cresce nel M5s. I grillini reclamano la Finanze, che tuttavia – per un blitz un po’ autolesionista – a marzo è stata assegnata sì a un grillino come Raffaele Trano, ma eletto coi voti del centrodestra. Immediata è arrivata, allora, l’espulsione del M5s, ma si attendono ancora le dimissioni del deputato dalla guida della commissione. Che a questo punto, sentenziano nel Pd, non potrà più spettare a un grillino, anche perché nel frattempo Carla Ruocco ha ottenuto la presidenza della commissione d’inchiesta sulle Banche, e pure questo conta.

  

Insomma, alla Camera il M5s potrebbe prendere solo sei commissioni, mentre cinque andrebbero al Pd, e le altre da spartire tra Iv (per Marattin e Raffaella Paita, pare), Leu (che chiede la Ambiente per Rossella Muroni) e forse una da riservare al Misto. Ma il gioco degli incastri si complica: perché se il grillino Petrocelli, filorusso e filocinese, resterà a guidare la Esteri del Senato, allora il Pd potrebbe ottenere la stessa commissione alla Camera; se davvero il M5s blinda la Lavoro a Palazzo Madama, a Montecitorio potrebbe toccare a Chiara Gribaudo, visto che l’altra candidata, Debora Serracchiani, ricopre già la carica di vicepresidente del partito. Sempreché, nel guazzabuglio estivo, non si finisca per rimandare tutto a settembre.

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