Foto LaPresse

Quattro punti per una riconciliazione nazionale

Claudio Cerasa

Burocrazia, cantieri, digitalizzazione, imprese. Il piano Colao è un’occasione anche per l’opposizione. Anticipazioni

Mettiamo per un attimo da parte le immagini degli assembramenti registrati ieri nel centro di Roma durante le manifestazioni organizzate dalle opposizioni nel corso delle celebrazioni del 2 giugno e proviamo a concentrarci su un messaggio politico interessante che i leader del centrodestra hanno goffamente cercato di portare al centro dell’attenzione. Lo ha detto con toni pacati Antonio Tajani, lo ha ripetuto con toni meno pacati Giorgia Meloni, lo ha ribadito con toni esagitati Matteo Salvini, ma il messaggio in fondo per tutti ieri era più o meno lo stesso: questo governo ci fa schifo, ma dato che il presidente della Repubblica ha chiesto unità e collaborazione noi vogliamo partire da queste piazze per provare a portare delle proposte al governo.

 

Quella del centrodestra è al momento solo una posa dialettica utilizzata dai leader alternativi a quelli di governo per togliersi di dosso il profilo cupo dell’opposizione non costruttiva. Ma se tra i leader della maggioranza ci fosse qualcuno disposto a guardare le carte di Salvini, di Meloni e di Berlusconi e a smetterla per un istante di giocare a un-due-tre-stella (ovverosia: vince chi si muove di meno, disciplina in cui i leader del Pd sono campioni del mondo) ci sarebbe un’occasione ghiotta per dimostrare che in questa fase di difficoltà la politica italiana è all’altezza del paese che rappresenta.

 

L’occasione ghiotta è quella che si presenterà tra pochi giorni quando l’ex amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, offrirà al governo alcune idee, elaborate con la sua famosa e discussa task force, per il rilancio dell’Italia. E se le idee sono quelle che sono state anticipate al Foglio da uno dei pezzi da novanta della task force, verrebbe da dire alla maggioranza e all’opposizione di non fare stupidaggini e di trovare un modo per unire le forze e non perdere un’opportunità che chissà quando si ripresenterà: mettere in campo una cura ricostituente utile non solo per chi governa oggi ma per chi magari governerà domani. Non si tratta di immaginare grandi coalizioni, patti segreti, nuovi inciuci politici, commissariamenti da parte dei tecnici.

 

Si tratta solo di aprire bene le orecchie e capire che i quattro punti centrali che andranno a costituire il piano Colao rappresentano l’ossatura ideale di un patto che l’opposizione dovrebbe sottoscrivere per non governare un domani sulle macerie del paese. Il primo punto del patto possibile, che costituisce anche il primo punto delle proposte di Colao, riguarda un piano per sbloccare le infrastrutture capace di rendere più veloce l’iter delle grandi e piccole opere rimettendo mano al codice degli appalti e trasferendo su scala nazionale il modello Genova (i tempi per la realizzazione delle infrastrutture in Italia sono di circa tre anni, per opere inferiori a 100 mila euro, e più di 15 anni per le grandi opere).

 

Il secondo punto del patto possibile, ulteriore caposaldo del piano Colao, riguarda un altro elemento cruciale che ha a che fare con la lotta contro la cosiddetta burocrazia difensiva e nel piano della task force vi sarà un capitolo dedicato a questo tema con cui verrà suggerito alla politica di dotare la Pubblica amministrazione di poche regole semplici, efficaci e immediatamente operative e, dall’altro lato, di dare una tempistica certa e perentoria alle imprese per la conclusione delle operazioni di gara (prevedere che la registrazione delle delibere Cipe da parte della Corte dei conti avvenga entro sessanta giorni, come propone l’Ance, decorsi i quali la registrazione s’intende approvata potrebbe non essere più un tabù).

 

Il terzo punto del patto possibile, che sarà anch’esso al centro del piano Colao, riguarda il tema della capitalizzazione delle imprese e della digitalizzazione del paese e qui la task force di Colao farà sue le raccomandazioni inviate all’Italia lo scorso 20 maggio dalla Commissione europea. Raccomandazione numero uno: “La crisi – ha scritto la Commissione – ha rafforzato la necessità di sostenere l’accesso ai finanziamenti per le imprese. L’Italia ha adottato diversi regimi per sostenere il flusso di liquidità alle imprese, anche nell’ambito del quadro temporaneo per le misure di aiuto di stato a sostegno dell’economia nell’attuale epidemia, e l’efficace attuazione di tali sistemi, anche attraverso garanzie canalizzate dal sistema bancario, è fondamentale per garantire che tutte le imprese, in particolare le piccole e medie imprese e quelle nei settori e aree geografiche più colpiti, nonché le imprese innovative, ne possano trarre beneficio”. Raccomandazione numero due: “Il lockdown causato dal coronavirus ha sottolineato l’importanza di investire nella digitalizzazione dell’economia e ha dimostrato la pertinenza delle infrastrutture digitali. Bassi livelli di intensità digitale e conoscenza digitale delle imprese in Italia, in particolare per le pmi e le microimprese, hanno impedito loro di offrire accordi di e-commerce e telelavoro e di fornire e utilizzare strumenti digitali durante il parto. Investire nella digitalizzazione e nelle competenze attraverso un’implementazione continua e tempestiva di politiche nazionali mirate è essenziale per migliorare i modelli di e-business e aiutare le imprese ad adattarsi, nonché per aumentare la produttività e la competitività. L’accesso a un’infrastruttura digitale rapida e affidabile ha dimostrato di essere la chiave per garantire servizi essenziali nel governo, nell’istruzione, nella sanità e nella medicina e la chiave per monitorare e controllare l’epidemia”.

 

E’ difficile oggi immaginare che maggioranza e opposizione possano trovare un’occasione per confrontarsi e dialogare sul futuro del paese. Tuttavia è altrettanto difficile non capire che la salvaguardia dell’Italia oggi passa non solo dal rafforzamento dei tamponi, del potenziamento delle terapie, del tracciamento dei contagiati. Ma passa anche da altro. Passa dall’implementazione di un’app di cui la politica, nella fase 3 delle pandemia che parte oggi con la riapertura delle regioni, avrebbe urgentemente bisogno: non Immuni ma semplicemente Neuroni. E’ ora di fare politica, di proporre un grande patto e smetterla per un istante di giocare a un-due-tre-stella.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.