La nemesi di Bonafede
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Roma. “Il tentativo di sfiduciare il ministro Alfonso Bonafede nasce da uno scontro che ha rappresentato una sorta di nemesi tra populisti giudiziari, che in questi anni hanno praticato una gara all’ultima purezza. Ciò non toglie che sia sbagliato, anche nel merito, e che sia in corso un attacco al governo che va respinto”. Walter Verini, responsabile Giustizia del Pd, spiega al Foglio perché “un eventuale successo delle mozioni di sfiducia contro Bonafede, che è anche il capo della delegazione del M5s, sarebbe un colpo al governo, segnandone la crisi”. C’è anche un problema Italia viva per il governo, sottolinea Verini, “anche se non credo che il partito di Renzi arrivi al punto di provocare le dimissioni del ministro della Giustizia, pur con tutte le divaricazioni che ci sono state in questi mesi. Il paese di tutto ha bisogno meno che di una crisi al buio. Sarebbe semplicemente irresponsabile”. Anche perché, dice Verini, “le mozioni sono sbagliate anche nel merito. Di Matteo ha alluso di fatto a una sorta di ‘cedimento’ di Bonafede nei confronti dei boss mafiosi. E lo ha fatto, lui che è anche membro del Csm, in un dibattito televisivo due anni dopo i presunti fatti. Se avesse ravvisato qualche indulgenza di Bonafede nei confronti dei boss mafiosi avrebbe dovuto esercitare l’azione penale”. Quella di Di Matteo, dice Verini, è “un’allusione spazzata via dai fatti. Bonafede, nel momento in cui si è accorto delle gravi falle del sistema, ha cambiato il capo Dap Basentini mettendoci Tartaglia e Petralia, due magistrati antimafia, dando un segnale forte. In più, nel decreto ‘Cura Italia’ la parte che riguardava il sovraffollamento escludeva dal ricorso ai domiciliari i detenuti per gravi reati come associazione mafiosa, terrorismo, violenza di genere e contro i minori. Nel decreto del 30 aprile, si stabilisce che i magistrati di sorveglianza per decidere sulle richieste dei domiciliari per motivi di salute devono consultare i procuratori antimafia”.
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- David Allegranti @davidallegranti
David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.