Giuseppe Guarino

Rileggere e meditare Guarino oltre le becere strumentalizzazioni

Stefano Cingolani

Il giurista è morto all'età di 97 anni. Ha creduto nell’Europa come grande progetto, non all’Unione così come si è realizzata (e per questo l'ha criticata). È triste che sia stato fagocitato dalla nuova destra per farne quasi un padre putativo

Un nemico dell’euro o un europeista tradito, un inguaribile statalista innamorato dell’Iri (forse ancor più dopo dopo che è stato sciolto), un italiano geloso della sovranità nazionale che ha ispirato i nazional-populisti: chi era Giuseppe Guarino spentosi a 97 anni, in silenzio, ignorato dai più? Difficile racchiudere in poche parole una figura complessa di giurista (della scuola napoletana) e uomo politico (per la Democrazia cristiana) che ha influenzato l’Italia postbellica e la prima repubblica, ma è triste che questo professore puntiglioso e severo (gli esami con lui facevano tremare studenti del calibro di Giorgio Napolitano) sia stato accaparrato e fagocitato dalla nuova destra per farne quasi un padre putativo.

 

Guarino per tutta la propria vita ha sostenuto il primato del diritto sull’economia e dello stato sulla spontaneità del mercato. Da europeista convinto ha posto con chiarezza un po’ dogmatica il dilemma non risolto della Unione europea: senza unione politica non ci può essere vera unione né monetaria né economica. Siccome ci sono più cose in cielo e in terra che nella nostra filosofia, la Ue esiste lo stesso, anche se zoppa come soleva dire un altro europeista della prima ora, Carlo Azeglio Ciampi con il quale Guarino polemizzò quando alla fine degli anni ’90 l’Italia decise di entrare nella moneta unica insieme ai primi. Con lui, c’erano Cesare Romiti, Giuseppe De Rita, lo stesso Antonio Fazio anche se questi, come governatore della Banca d’Italia, fece del tutto per stroncare l’inflazione e “portare il paese in serie A”.

 

Guarino ha creduto nell’Europa come grande progetto, se vogliamo come sogno, non all’Unione così come si è realizzata. E partiva dalla concezione tipica di ogni giurista che la moneta è una merce particolare e non ha valore se non è battuta dal sovrano (la moneta legale, cioè, sovrasta quella bancaria o qualsiasi altra forma di denaro). È una discussione antica quasi quanto la moneta, che ha avuto il suo culmine teorico nella Inghilterra del primo ottocento contrapponendo la scuola bancaria a quella valutaria, liberisti a statalisti. Oggi si sente dire che basta stampare denaro dal nulla per risolvere i problemi creati dalla pandemia; le ripercussioni sul debito, sui prezzi, sui salari e sui profitti, vengono dopo. L’intendenza seguirà, il mantra di chi crede al primato assoluto della politica e dello stato.

 

La questione della moneta è stata strumentalizzata dai sovranisti e con essa le critiche all’euro da parte di Guarino il quale, in realtà, aveva molti aspetti in comune con gli ordoliberali tedeschi. L’avversario delle sue ultime battaglie è stato il fiscal compact che non ha esitato a definire illegittimo perché forzava, anzi violava, gli stessi trattati europei sia quello di Maastricht sia quello di Lisbona. La sua era una riflessione in punta di diritto anche se ci vedeva dietro manovre politiche che alla fine avvantaggiavano i paesi forti guidati dalla Germania.

 

I no euro usano nella loro propaganda due tesi contraddittorie: la prima sostiene che Helmut Kohl aderì a Maastricht accettando di abbandonare la moneta nazionale purché l’euro fosse simile al marco, cioè forte; la seconda al contrario che Berlino ha tratto vantaggio dall’euro in quanto più debole del marco, favorendo così le esportazioni tedesche. La prima affermazione non è fondata come è noto a chi ha seguito i giorni e le notti di Maastricht; la seconda non tiene conto che nei primi anni un euro arrivò a 1,5 dollari, penalizzando le esportazioni extra europee, per poi svalutarsi. Anziché trovare un accordo al suo interno (la coerenza è roba da “zecche”) la trojka Salvini, Borghi e Bagnai ha sollevato un polverone. Quanto al pareggio di bilancio siamo certi che blocchi lo sviluppo? Pochi lo hanno raggiunto in Europa, ma tra questi ci sono proprio i paesi più dinamici dal 2010 al 2019: la Germania che ha adottato l’euro e la Svezia che invece ha mantenuto la corona. Proprio la Svezia è un rompicapo per gli eurofobi: nessuno di loro riesce a spiegare come mai il paese scandinavo ha un attivo del bilancio pubblico, un surplus degli scambi con l’estero, un cambio sostanzialmente stabile e una crescita record del pil. È chiaro che la teoria sovranista dello sviluppo fa acqua da molte parti.

 

A Guarino non poteva sfuggire che il fiscal compact da lui considerato illegittimo rappresentava il pendant agli interventi della Bce per salvare l’euro… e l’Italia. Forse non gli è sfuggito, e anche per questo non ha mai attaccato direttamente Mario Draghi al quale si deve la stessa definizione di fiscal compact. Né ha mai chiarito fino in fondo se la sua critica riguardava il principio in sé (del resto rispecchiato anche nell’originario art.81 della Costituzione secondo il quale ogni spesa pubblica doveva comunque essere coperta da equivalenti entrate) oppure il modo in cui è stato realizzato fissando una formuletta matematica: per i paesi con un rapporto tra debito e pil superiore al 60% previsto da Maastricht, l’obbligo di ridurre il rapporto di almeno 1/20esimo all’anno e di non superare un deficit strutturale (cioè non legato a emergenze di qualsiasi tipo) dello 0,5% annuo.

 

Ragionando non solo da giurista, ma da esperto nell’arte del governo, Guarino metteva all’indice il vizio capitale del fiscal compact: ingessare e irrigidire la politica fiscale la quale è lo strumento principale per affrontare le crisi. La flessibilità è una dote fondamentale ancor più nella economia moderna, norme che bloccano i bilanci oggi sono d’impaccio così come i cambi fissi e il sistema monetario legato all’oro lo furono negli anni ’30. La Ue lo ha riconosciuto sospendendo il patto di stabilità. È una misura temporanea, tuttavia apre la porta a un ripensamento più di lungo periodo. Se nulla sarà come prima, ciò riguarda anche il trattato di Maastricht. E a questo punto Guarino, liberato dalle becere strumentalizzazioni, merita di essere riletto e meditato.

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