Gianni Letta e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Il Cav. tentenna, ma il suo gran ciambellano lavora al nuovo governo

Salvatore Merlo

“Il segnale sarà la riforma proporzionale”, dicono nel Pd. Il timore della Lega e il rischio d’un crollo del sistema politico. Chi lavora al post Conte

Roma. Come per Greta Garbo,  il cui passaggio dal cinema muto a quello sonoro fece epoca, con il film “Anna Christie” reclamizzato dal celebre slogan “Garbo Talks!”, così anche per il riservatissimo Gianni Letta una dichiarazione dal sapore politico è un evento. Letta talks! E cosa dice Gianni Letta? Sembra più che mai disponibile a scenari di concordia nazionale, dentro e fuori del Parlamento. E infatti, venerdì, andato a inaugurare il nuovo padiglione dello Spallanzani attrezzato per il Covid, ecco che il gran ciambellano del berlusconismo ha utilizzato l’occasione per spiegare – presente Nicola Zingaretti – che tutta quella collaborazione tecnica, politica e istituzionale che ha permesso la nascita del nuovo padiglione ospedaliero gli sembrava un buon auspicio, “quello cioè che, messe da parte le divisioni, le contrapposizioni, le bandiere, gli schieramenti, i preconcetti e i pregiudizi, si possa lavorare tutti insieme per la soluzione dei problemi che angosciano in questo momento gli italiani”. Dopodiché, per rendere forse ancora meno generico, e persino più politico, il sibillino messaggio, ha aggiunto: “Oggi i problemi sono quelli sanitari. Ma già da oggi e poi da domani saranno le conseguenze sull’economia del virus”. E insomma il grande silenzioso si fa loquace perché, come sostiene un cortigiano di Arcore che queste meccaniche le conosce bene, “Berlusconi è nel bunker e tentenna. Ma la situazione economica si fa grave. E non c’è ricostruzione senza unità nazionale. Non c’è rilancio senza un nuovo governo”. Ma il Cavaliere teme Salvini, e le conseguenze elettorali. Per questo, nel Pd, chi lavora al dopo Giuseppe Conte, ha già pronta l’offerta per liberare il Cav. dalla felpa padana: la riforma elettorale proporzionale. 

 

Solo il proporzionale, solo la possibilità di correre da solo, potrebbe rendere sostenibile per Forza Italia la rottura del patto elettorale con la Lega, sempre più distante, e su posizioni quasi incompatibili almeno per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti dell’Unione europea e dell’euro. “Il via libera per Berlusconi lo daremo tra qualche settimana con il proporzionale”, dice allora uno dei principali registi del gioco all’interno del Pd.

 

E d’altra parte Berlusconi alterna nebulose aperture pubbliche ad altrettanti dubbi e tormenti privati, espressi di fronte al suo stato maggiore terrorizzato, che in parte lo frena e lo asseconda nell’idea che perdere tempo equivalga a guadagnare tempo. “Non è ancora il momento”, dice allora il Cavaliere, anche di fronte a quei (pochi) deputati che riescono a parlargli, a prospettargli vaghezze di unità nazionale, accordati come sono a tutto quel sordo tramestio che già s’è messo in moto ai piedi del trono periclitante di Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio considerato inadeguato ad affrontare una crisi economica che nelle previsioni assume sempre di più i caratteri di un vero collasso dell’economia italiana.

 

“Non è il momento”, dice però Berlusconi – mentre pure aggiunge contraddittorio che “siamo a disposizione delle istituzioni” – teso come sembra, il Cavaliere, a ripercorrere gli eventi che nel 2011 portarono al governo di Mario Monti, quando lo spread era giunto quasi al livello di non ritorno, con il default ormai a un passo. “Se questa cosa si fa, si farà quando sarà chiaro che è inevitabile. Quando sarà ormai diventata l’unica cosa da fare”, è all’incirca l’idea. Tuttavia il rischio che si corre, e che tutti conoscono e soppesano, è che questa “cosa”, cioè la sostituzione di Conte e l’ingresso di Forza Italia al governo, si faccia troppo tardi. Mentre, nel frattempo, si rimane immobili, schiacciati in un gioco infruttuoso, che secondo qualcuno potrebbe anche portare alla crisi e al crollo dell’intero sistema politico, di tutti gli attori sul proscenio. Ci sono sondaggi che stimano intorno al 40 per cento gli elettori disgustati, che dichiarano di non voler votare nessuno degli attuali partiti. Dunque, come dice persino Pier Ferdinando Casini: “Se non ora, quando?”. Ed ecco allora l’improvvisa loquacità del sempre muto Gianni Letta, bisogna “lavorare tutti insieme per la soluzione dei problemi che angosciano in questo momento gli italiani”. Probabilmente lo ripete anche a Berlusconi. Forse basterebbe poco, basterebbe quella rassicurazione che il Pd promette di consegnare al Cavaliere: la riforma elettorale. “Sarà il messaggio del via libera”. Chissà.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.