(foto LaPresse)

Italia in ordine sparso

Salvatore Merlo

Sei partiti, sei voti diversi. Così la politica italiana arriva confusamente al voto europeo su Mes e Eurobond

Roma. Il Movimento cinque stelle vota contro i recovery bond garantiti dal bilancio europeo, ma vota a favore dei coronabond con debito mutualizzato, e si esprime contro il Mes.  La Lega invece vota contro i coronabond, ma si astiene sui recovery bond, e vota contro il Mes. Italia Viva, dal canto suo, vota sì al Mes, si astiene sui coronabond, ma vota a favore dei recovery bond.  Il Pd invece, che è al governo con i cinque stelle (ma pure con Italia Viva), vota a favore di ogni cosa e vota pure il Mes, mentre Fratelli d’Italia, che è alleato della Lega, respinge il Mes ma accetta i recovery bond e i corona bond. E infine Forza Italia, alleato degli altri due, vota contro i coronabond ma a favore dei recovery bond e anche del Mes. Ecco l’immagine di un paese che sembra non avere la più pallida idea di cosa fare. D’altra parte Kipling sintetizzava così i caratteri dei maggiori popoli europei: “Un tedesco? Un lavoratore. Due tedeschi? Una birreria. Tre tedeschi? La guerra. Un francese? Un eroe. Due francesi? Due eroi. Tre francesi? un menage. Un italiano? Un bel tipo. Due italiani? Un litigio. Tre italiani? Tre partiti politici”. Ed ecco che tra giovedì notte e ieri, al Parlamento di Bruxelles, intorno a una risoluzione complessa che doveva preparare il terreno per il Consiglio europeo del 23 aprile, mentre ci si esprimeva su argomenti centrali e indifferibili come la mutualizzazione del debito e i meccanismi di finanziamento comunitario per rispondere alla crisi, l’Italia nel suo complesso offriva il meglio della sua proverbiale confusione. Impossibile trovare, nella maggioranza o nell’opposizione, due partiti che abbiano votato nello stesso modo.

 

Cosa che ha comportato non pochi paradossi, a cominciare dal fatto che la dispersione dei voti italiani di Lega e Forza Italia, come l’astensione dei 5 stelle sui recovery bond, ha rafforzato, nel Parlamento europeo, quei paesi che, a differenza dell’Italia, si oppongono alla mutualizzazione del debito. Paesi come la Germania, ma anche l’Olanda, che però in teoria – in base alla rappresentanza parlamentare – sono una minoranza numerica se confrontati ai ben undici paesi che assieme all’Italia sostengono la bontà della nascita d’un debito comune sostenuto alla pari da tutti i paesi dell’Unione. E insomma, Matteo Salvini, presunto patriota antigermanico, con i suoi 28 parlamentari leghisti, a differenza di Giorgia Meloni, che ha votato a favore dei bond, ha contribuito a produrre il risultato politico che si augurava Angela Merkel, perché il Parlamento europeo ha dato un benestare al Mes, ha respinto l’idea dei coronabond, e di conseguenza ha offerto un forte argomento di legittimità democratica a quanti, la settimana prossima, nel corso della riunione dei capi di governo appartenenti al Consiglio europeo, vorranno opporsi alla proposta italiana, francese e spagnola di costruire i famosi titoli di debito garantiti da tutti per sostenere le spese straordinarie richieste dal flagello Covid-19. Paradossi e contraddizioni, dunque. Confusione e farsa, mai davvero lontane dagli orizzonti italiani. Per cui il M5s ha di fatto parzialmente bocciato un’idea portata avanti dal suo stesso governo, mentre Italia viva si è inspiegabilmente astenuta, confermando così che né la maggioranza né l’opposizione riescono a esprimere, ciascuna nel proprio campo, una leadership o una proposta unitaria e organica riassumibile in quell’espressione spesso abusata che cade sotto il nome di interesse nazionale.

 

Secondo Heidegger, una nazione decade quando il pensiero che la guida si allontana dal concetto fondamentale dell’essere per precipitare sotto la preoccupazione dei suoi particolari. E i sei diversi modi di votare che i sei partiti italiani hanno esplicitato, in un caos che allude al principio della fine e non al principio di un principio, sono per lo più l’esplicitazione di un pernicioso intreccio di presunti interessi particolari e di bottega. Forza Italia ha voluto seguire la linea del Ppe a trazione tedesca, di cui Antonio Tajani nel Parlamento è presidente delle delegazioni nazionali. Salvini invece ha ancora una volta dimostrato che per lui la vita politica è una faccenda allegramente interstiziale, significa spremere l’occasione, saltare sull’attimo fuggente, esattamente come per i grillini, immersi in una dimensione spettacolare e marketizzante: dunque perché votare a favore di un provvedimento su cui si era esposto il governo di Giuseppe Conte? Elettoralmente, devono avergli consigliato, conveniva il contrario. E solo Giorgia Meloni, a destra, è infatti sfuggita alla logica partigiana che impone di fare l’opposto di quello che fanno gli avversari. Si avverte così, drammaticamente, la distanza tra la politica e il populismo a torso nudo. Ma alla fine, non esprimendo in realtà una linea comune e coerente su nulla, i partiti italiani si affidano alle decisioni degli altri. Potrebbe anche non essere il peggiore dei mali.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.