Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese (foto LaPresse)

Dilemma Lamorgese: come far rispettare zona rossa e quarantene?

Valerio Valentini

Le tensioni con Giuseppe Conte sulla stesura del dpcm e la difficoltà di dover dare sostanza effettiva a delle disposizioni assai fumose

Roma. Il tono delle telefonate, a quanto pare, è stato assai vivace. E ce ne sono state parecchie, tra Giuseppe Conte e Luciana Lamorgese, per tutta la giornata di domenica. Difficile, per il ministro, nascondere un’irritazione che è scaturita inevitabile, sabato notte, nel leggere un dpcm sulla cui stesura il ministero dell’Interno era stato coinvolto poco o nulla, e informato più che altro attraverso una sciagurata fuga di notizie. Né lo scorno s’è attenuato nelle ore successive, quando i tecnici del Viminale si sono ritrovati a dover dare sostanza effettiva, attraverso una direttiva, a delle disposizioni assai fumose, imposizioni aggirabili per via di “autocertificazioni”, divieti di spostamento quasi impossibili da far rispettare, e tutta una serie di “inviti” e “raccomandazioni” che lasciava un po’ interdetto chi doveva inviare disporre il dispiegamento di uomini e mezzi. E non a caso, a manifestare più d’una perplessità al riguardo, è stato anche l’altro ministero direttamente chiamato a rendere attuabili le indicazioni del premier, e cioè quello della Difesa.

 

Un governo, in uno stato di diritto, non lancia appelli alla responsabilità, ma emana delle leggi e punisce chi le vìola: anche per questo la scelta che si è deciso di rimandare di fronte all’esodo dalle zone “arancioni” del nord verso il sud – col Viminale costretto a ricordare ai governatori di mezzo meridione che l’unico titolato a dare disposizioni ai prefetti era proprio il ministro dell’Interno – la si è poi dovuta prendere per gestire l’altra emergenza, e cioè quella scoppiata nelle carceri: e così alla fine uomini e mezzi blindati dell’Esercito sono intervenuti a Foggia. Anche per questo è durato quattro ore il Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato ieri mattina proprio dalla Lamorgese, e al quale ha irritualmente preso parte – con tanto di colloquio a tu per tu con la ministra, due ore in separata sede – anche Giuseppe Conte.

 

Il quale, pur citando Churchill ed evocando “l’ora più buia” ma senza ancora assumere le decisioni drastiche che quella circostanza imporrebbe, per ora temporeggia. Nella disgraziata attesa, dice chi conosce il suo pensiero, che il Covid19 venga finalmente percepito come un dramma europeo. Anche in quella Germania che continua a riempire gli stadi, anche in quella Francia il cui presidente – come in un distopico déjà vu – invita i suoi cittadini a uscire di casa, ad andare a teatro, a cinema. “Chiudere tutto, qui da noi, mentre gli altri fanno finta di niente, ci farebbe apparire come gli appestati d’Europa”, dice un ministro del M5s. Che però non nega che, tra le chat dei grillini, cominciano a girare i grafici che mettono a confronto la progressione dei decessi in Cina del 30 gennaio con quelle italiane di questi giorni: e il raffronto, impietoso, suggerirebbe di adottare misure definitive. Quelle, cioè, che chiede anche Matteo Renzi, anche Forza Italia, e a suo modo – un modo stranamente istituzionale: vediamo quanto dura – anche Matteo Salvini, che ieri ha chiamato il premier al telefono. L’istanza che insomma viene un po’ da ogni parte, anche da un pezzo del Pd, è quella di estendere la zona rossa a tutt’Italia, di imporre la chiusura generale delle attività commerciali per almeno dieci, quindici giorni. E così, in un paese che oscilla tra la sbracata anarchia felliniana di “Prova d’orchestra” e la farsesca ricerca dei colonnelli di Monicelli, ecco che il dibattito si sposta sulla necessità di nominare un “supercommissario” all’emergenza: ed ecco il nome – lanciato da Renzi e benedetto dal Cav. – di Guido Bertolaso, ecco la tentazione di Gianni De Gennaro. Col dubbio che poi, di commissariamento in commissariamento, si finisca col mettere in discussione anche la guida del governo. Arturo Parisi, uno che di esercito s’intende essendo stato l’uomo della Difesa di Prodi, ieri commentava su Twitter la “diserzione” del popolo di fronte agli inviti alla responsabilità delle istituzioni. “La diserzione – scriveva – purtroppo è l’atto terminale di una catena. Se il cavallo non salta è anche a causa del cavaliere”.

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