Marco Minniti (foto LaPresse)

“Per quanto ancora dovremo sopportare il grillismo?”, chiese Minniti

Valerio Valentini

In Aula alla Camera il M5s grilleggia a manetta sulle intercettazioni e fa saltare i nervi al Pd, per un pelo non viene giù tutto

Roma. A un certo punto perfino Marco Minniti s’è avventato su Andrea Orlando: “Per quanto ancora dovremo sopportare?”. Ce l’aveva col M5s, certo, ma pure con l’eccessiva cedevolezza del suo gruppo, quel Pd che un po’ per senso del dovere, ma un po’ anche per il riemergere di mai sopite pulsioni giustizialiste, da quando sta al governo col M5s è finito succube del manettarismo grillino. E così, dopo un mese di diplomazie complicate, con parlamentari e ministri occupati a tempo pieno a sminare il campo dalle insidie dei renziani sulla prescrizione, ecco che i dem si ritrovano a dover ascoltare la dichiarazione di voto finale sul decreto intercettazioni.

 

 

Sono le 20.30 di giovedì quando dai banchi del M5s si alza Elisa Scutellà, aspirante avvocato calabrese, e inizia la sua arringa. Dovrebbe essere il discorso finale, pronunciato dal partito di maggioranza relativo, al termine dell’approvazione di un decreto molto tribolato: di solito, in questi casi, si cerca una sintesi. Solo che la Scutellà, come d’abitudine per i grillini, prima di entrare in Aula è stata convocata al quarto piano, negli uffici della comunicazione gestiti da Fabio Urgese, il ras di Montecitorio che agisce in nome e per conto dell’entourage di Luigi Di Maio. “E’ stata disposta la diretta televisiva”, “la giustizia è il nostro cavallo di battaglia”, “dobbiamo andarci duri”: queste sono le raccomandazioni che la deputata si sente rivolgere. Ed ecco che allora, quando si alza in piedi, la sventurata parte con un filippica contro la corruzione del Palazzo, il marciume nei partiti. In tutti, dice lei. E più il suo tono si fa stentoreo, più tra i banchi del Pd monta un’insofferenza che un misto di rabbia e incredulità: Fassino si porta le mani alla testa, la Madia si sbraccia. Ma la Scutellà, non contenta, inizia a leggere anche gli stenografici di alcune intercettazioni tristemente note. Quando arriva a quelle di Mafia Capitale, che sia pure indirettamente tirano in ballo proprio pezzi del Pd, a Maria Elena Boschi quasi non pare vero . E allora ammicca agli ex compagni: “Ce l’ha con voi. Visto? Voi li difendete e loro vi danno dei ladri”. L’Aula è una bolgia. Se in quel momento le opposizioni chiedessero la verifica del numero legale, la maggioranza salterebbe in aria. Ma non succede. Succede invece che Alfonso Bonafede, dopo essersi dato una sistemata ai capelli, prova ad alzarsi per farsi vanto della sua riforma in diretta tivù. Enrico Borghi e Emanuele Fiano, costretti a gestire il gruppo in assenza di Graziano Delrio, gli fanno segno di sedersi: “Un altro affronto? Non se ne parla”. Il ministro Federico D’Incà si gira verso il suo compagno grillino e gli dice, grosso modo, “se ora intervieni non garantisco su cosa succede in Aula”. Bonafede si risiede. Poco dopo, terminata la seduta, in mezzo al Transatlantico una delegazione del M5s va a chiedere formalmente scusa agli alleati di Pd e Leu. L’incidente è stato sventato, ma il clima resta attossicato: anche perché, e non è la prima volta, le assenze dei grillini in Aula – in un misto di sciatteria e dissenso interno – sono tantissime.

 

Ma il malumore è forte anche dentro al Pd. Tra gli imputati finiscono il sottosegretario Andrea Giorgis e il responsabile Giustizia Walter Verini: entrambi accusati di essere troppo molli coi 5 stelle, forse perfino troppo inclini a condividerne le istanze forcaiole. “Finché Renzi continua a fare il sabotatore, non potremo dargli ragione neppure quando ce l’ha”, aveva catechizzato i suoi Lorenzo Guerini, giorni fa. Ma a molti questa linea comincia ad andare stretta. E non solo sulla giustizia. Perché lunedì scorso, un inciampo analogo a quello sulle intercettazioni c’era stato sulla revoca delle concessioni alle piattaforme petrolifere. E lo stesso, più in generale, vale sulla gestione delle deleghe ministeriali. Quando s’è diffusa la notizia delle dimissioni (per ora ritirate) del renziano Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri defraudato della titolarità del Commercio estero da Di Maio, qualcuno nel Pd, ieri, ha fatto ironia: “Il solito tatticismo di Matteo”. Ma il senatore Stefano Collina ha scosso il capo: “E se pure al Mise Patuanelli assegna tutte le deleghe sull’energia ai 5s, che facciamo?”.

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