(foto LaPresse)

Dietro la partita delle suppletive a Roma (dove i giochi sono altri)

Marianna Rizzini

Trattandosi di Roma, si vota anche pensando a domani, e cioè al giorno in cui ci si metterà in corsa per sostituire il sindaco a Cinque stelle Virginia Raggi

Roma. In sordina e in punta di piedi, visto anche il quadro generale complicato dal coronavirus – però le elezioni suppletive di domani nel collegio Roma I sono arrivate. Si vota per il seggio della Camera lasciato vacante da Paolo Gentiloni, ex premier e ora commissario Ue all’Economia. Si vota oggi ma, trattandosi di Roma, si vota anche pensando a domani, e cioè al giorno in cui ci si metterà in corsa per sostituire il sindaco a Cinque stelle Virginia Raggi. E se, negli ultimi giorni, alla chiusura della campagna per il seggio vacante, la questione nazionale – conseguenze del virus sul sistema paese – faceva capolino ovunque, tanto più agli eventi in cui si presentavano ai cittadini i candidati del centrosinistra Roberto Gualtieri, ex europarlamentare e ministro dell’Economia, e il candidato del centrodestra Maurizio Leo, docente esperto di politiche tributarie ed ex assessore al Bilancio nella giunta Alemanno – la questione locale, sempre negli ultimi giorni, non è mai uscita dalla scena. Anche perché tanto locale non è. Nessun partito, nessun movimento e nessun polo a geometria variabile può infatti permettersi di sbagliare troppe mosse in previsione del dopo-Virginia Raggi, sindaco che due anni fa, a parole, mostrava di aborrire l’idea di un secondo mandato, e che ora sembra invece puntare a un non abbandono del campo, anche se magari nel contesto di una lista civica. Ed ecco che l’occasione-suppletive, con sette candidati per un seggio, si rivela ideale per fare prove generali, tanto più che ognuno ha qualcosa da giocare che va oltre l’occasione in sé.

 

Il centrosinistra, che in questo caso converge sul ministro Gualtieri, candidato unitario di Pd, Leu, Italia viva, Si, Psi, Articolo 1, ieri sfidava la psicosi da virus con i banchetti diffusi – banchetti per Gualtieri, organizzati dai vari partiti ma per l’obiettivo comune, con comune sostegno e comune presenza (sul lato renziano Maria Elena Boschi ed Ettore Rosato, su quello pd l’ex premier Enrico Letta); mentre dalla sinistra-sinistra, via Twitter, interveniva l’ex viceministro dell’Economia nel governo Letta poi deputato eletto con LeU Stefano Fassina, che dichiarava il suo voto per Gualtieri, facendo insorgere il candidato del Partito comunista Marco Rizzo (“pensavo che Fassina si fosse ‘emendato’ da un suo recente passato di bocconiano”, scriveva Rizzo; risposta di Fassina: “Provo a fare politica”). E se questo scenario di concordia attorno a Gualtieri può soddisfare al momento il segretario Zingaretti, che a inizio anno puntava sul “grande centrosinistra inclusivo”, resta il problema di fondo, evocato sottotraccia sia dal lato renziano sia da quello pd: va bene partire dai bisogni della città, ma il nome conta (come si vede peraltro in questo caso). E il nome che unisce “dai centri sociali a Carlo Calenda”, come diceva tempo fa il presidente di centrosinistra dell’VIII municipio Amedeo Ciaccheri, al momento non c’è – di conseguenza anche l’altro sogno non detto, quello di trovare una personalità che si imponga da sola al di sopra e a monte delle primarie, non è detto possa avverarsi, nonostante la non brillante prova da sindaco di Virginia Raggi offra ai concorrenti la cosiddetta “prateria”. E però i concorrenti non si trovano soltanto a sinistra, anzi. Matteo Salvini, non da oggi, ha lanciato la sua Opa sulla capitale, e il fatto che ora, alle suppletive, il centrodestra si compatti attorno al nome di Maurizio Leo, esponente di Fratelli d’Italia, non significa che in futuro questa unione possa essere automaticamente replicata rispetto a qualsiasi nome (sia dal lato Lega sia dal lato FdI sia dal lato del centrodestra moderato). I Cinque stelle, intanto, prendono tempo e schierano la candidata Rossella Rendina, militante del M5s finora sconosciuta. Per tutti, il primo nemico da battere (oltre al fantasma del virus) si chiama astensionismo.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.