Sergio Mattarella, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Indizi utili per capire se ora il governo farà o no la fine di uno yogurt

Claudio Cerasa

Guardare alle mosse di Renzi e del Cav. Perché, oltre che sul risultato del voto di ieri, il futuro di Salvini e del governo si gioca su un asse di stabilità che parte dalla Leopolda e arriva fino ad Arcore

Nel momento in cui questo giornale va in stampa non conosciamo ancora l’esito finale del doppio voto regionale ma sappiamo bene che a uno sguardo attento basteranno alcuni piccoli indizi per comprendere quanto i risultati di ieri impatteranno davvero sul futuro del governo. Al di là dei toni roboanti che sentirete uscire stamattina dalle bocche dei vincenti, il partito che oggi ha in mano le chiavi della legislatura non è né quello di Nicola Zingaretti né quello di Matteo Salvini. Certo: un’affermazione di Salvini in una o in due regioni o una resistenza del Pd di Zingaretti avrebbero l’effetto di indebolire l’avversario. Ma per quanto possa essere difficile da credere, da oggi chi avrà le leve per spostare da una parte o dall’altra il destino e il cerino della legislatura sarà il partito quasi inesistente dal punto di vista elettorale ma molto esistente dal punto di vista parlamentare guidato da Matteo Renzi. In caso di doppia vittoria di Matteo Salvini, scenario che mentre starete leggendo questo pezzo vi sarà chiaro se si sia realizzato oppure no, la Lega avrebbe tutto il diritto di chiedere di andare alle elezioni e, come si dice, di “restituire la parola al popolo”. Ma per realizzare il suo sogno il leader della Lega avrebbe solo una strada da percorrere: strappare alla maggioranza un numero di parlamentari tale da togliere a Pd e M5s la maggioranza quantomeno al Senato. 

 

 

Lo scenario dello shopping salviniano a Palazzo Madama potrebbe restare valido a prescindere dal risultato di ieri in Emilia-Romagna e in Calabria (vale sia in caso di vittoria sia di sconfitta: nelle liste di Salvini è verosimile che si starà molto larghi) ma il leader della Lega e il suo braccio destro Giancarlo Giorgetti sanno bene che anche lo scippo di parlamentari potrebbe non bastare per far cadere il governo, perché in questa legislatura vi è un partito insospettabile che al netto delle apparentemente perentorie dichiarazioni di facciata farà di tutto per evitare di tornare al voto quale che sia l’esito del voto di ieri. Quel partito – e tra poco arriviamo a Renzi – è ovviamente Forza Italia e non è difficile immaginare che un minuto prima della perdita della maggioranza al Senato al presidente del Consiglio venga offerta da un pezzo del partito del Cav. una mano piuttosto sostanziale per rafforzare i suoi numeri al Senato e alla Camera (nel Pd hanno già una lista di responsabili molto lunga pronta a dare una mano).

 

La ragione è legata alla particolare e forse unica composizione del Parlamento e quello che in molti non sanno è che il partito del Cav. è tanto poco rilevante dal punto di vista elettorale quanto molto rilevante dal punto di vista parlamentare (al momento ha persino più senatori della Lega: 61 contro 60) e per questo è altamente probabile che ciò che resta del centrodestra moderato farà di tutto per prendere tempo e tentare di arrivare con questi numeri alla nomina (2022) del prossimo capo dello stato (e in fondo è stato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a evocare in tempi non sospetti l’eventualità di far propria l’opzione della maggioranza Ursula per dare più forza all’esecutivo).

 

In un modo o in un altro, dunque, a prescindere dal risultato di ieri il baricentro invisibile di questa legislatura è destinato a scorrere sulla fragile e forse involontaria convergenza parallela che esiste in modo tanto simmetrico quanto casuale tra il partito di Renzi e il partito del Cav. (ah, il Nazareno) che oggi avrebbero oggettivamente entrambi troppo da perdere da una caduta precipitosa di questa legislatura. Salvini sa bene che se fosse per lui, se fosse per Zingaretti, questa maggioranza non si sarebbe mai dovuta formare e sarebbe dovuta cadere già da un pezzo e più volte in queste settimane il segretario del Pd ha avuto modo di confermare al leader della Lega nel corso di colloqui informali la sua tentazione continua – confidata in un’occasione anche al Quirinale, che ha invitato con ferma gentilezza il leader del Pd a valutare altre opzioni – di far saltare tutto e di andare a votare. Ma il leader della Lega sa bene che il gruppo parlamentare del Pd mai e poi mai baratterebbe un più che incerto e forse suicida scenario elettorale con uno scenario come quello attuale di sostanziale e progressiva egemonia del governo (più il M5s si spaccherà e più il Pd unito ovviamente conterà). E per questo l’unico politico che come dicevamo potrebbe aiutare il leader della Lega a tagliare la corda e andare a votare sia in caso di crollo sia in caso di non crollo del centrosinistra in Emilia-Romagna e in Calabria è sempre lui: Matteo Renzi.

 

Ciò che spera Salvini – il ragionamento che vi riportiamo ce lo ha consegnato un importante dirigente leghista qualche giorno prima del voto alle regionali – è che la piccola finestra elettorale concessa dal referendum sul taglio del numero dei parlamentari (se il Parlamento si sciogliesse prima del referendum di conferma, che potrà essere convocato tra il 15 marzo e il 31 maggio, si voterebbe un Parlamento con i numeri attuali) e la possibilità di non archiviare l’attuale legge elettorale non approvando il proporzionale con soglia al 5 per cento già incardinato alla Camera (il Rosatellum ha sì i collegi uninominali ma anche la soglia di sbarramento al 3 per cento) possano essere due elementi capaci di spingere l’ex presidente del Consiglio a provare a competere anzitempo con il Pd di Zingaretti (sempre che i risultati di ieri del Pd di Zingaretti possano essere tali da indurre tentazioni affrettate di competizione).

 

La speranza di Salvini – che pur di far staccare la spina a Renzi potrebbe essere disposto persino a immaginare in futuro una collaborazione con Renzi stesso – è una speranza difficile da realizzare quale che sia lo scenario che si andrà a materializzare con chiarezza oggi, perché nessuno degli avversari di Salvini ha interesse a regalare il governo all’ex Truce e a rinunciare ad avere un ruolo centrale nella partita delle prossime nomine del governo. In un modo o in un altro dunque oggi tutto può cambiare e tutto può persino precipitare (e chissà che prima o poi nella Lega, a prescindere dallo scenario delle regionali, non emerga un fronte capace di suggerire a Salvini di provare a trovare in questa legislatura una maggioranza per governare). Ci saranno ovviamente molti indizi che forse ci porteranno verso una direzione di instabilità. Ma se farete attenzione e userete bene la bilancia scoprirete forse che da oggi ciò che tiene unita la maggioranza di governo potrebbe essere persino più forte di ciò che la teneva prima. E per quanto possa sembrare difficile da credere il futuro di Matteo Salvini e anche di Giuseppe Conte passa da un asse della stabilità che parte dalla Leopolda e arriva fino ad Arcore. Il resto poi si vedrà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.