Giancarlo Giorgetti (LaPresse)

L'uovo di Giorgetti: tornare al Mattarellum

Salvatore Merlo

Intervista al numero due della Lega che propone una “mediazione sensata” a Pd e M5s sulla legge elettorale e rilancia il dialogo: “Attenti, nel burrone ci cadiamo tutti”

Roma. “Avanzo una modesta proposta a tutte le forze politiche, torniamo al Mattarellum. Un sistema elettorale che porta il nome di garanzia del nostro presidente della Repubblica. Una legge che ha funzionato e che è stata sinonimo di alternanza”. Giancarlo Giorgetti è l’uomo della politica, nel senso che nella Lega ha questo ruolo qua: Salvini si fa i selfie con la crescentina, abbraccia Peppone e don Camillo, cita Berlinguer e raccoglie consensi a colpi di like, mentre lui è invece quello che pratica l’arte antica e sperimentata della manovra, anticipando, spesso correggendo, talvolta criticando – ma sempre aiutando – il suo facondo e inarrestabile leader.

 

Così adesso l’architetto di retrovia del salvinismo d’opposizione, mentre sfreccia in automobile verso Bologna – “vado in visita nell’ormai ex repubblica socialista sovietica dell’Emilia-Romagna” – mette giù con il Foglio una serie di considerazioni di buon senso funzionalista e torna, come alcuni mesi fa, a tendere la mano alle forze che – dice lui – “momentaneamente rappresentano la maggioranza di governo”. E allora, dice Giorgetti, “se dobbiamo fare una riforma della legge elettorale sarebbe bene farla avendo in mente l’interesse generale del paese e non quello particolare e contingente delle forze politiche. L’interesse del paese è quello di avere un sistema che consenta di avere, il giorno dopo le elezioni, un governo stabile, duraturo, che sia nelle condizioni di esercitare la sua funzione e che rispecchi rispettosamente l’indicazione democratica che arriva dal popolo elettore. Dunque mi sembra evidente che si debba andare verso un sistema che contempli quantomeno degli elementi di maggioritario, che è il sistema che i cittadini apprezzano nelle amministrazioni locali, che consente un rapporto più diretto tra elettori ed eletti e di conseguenza è anche più sano perché responsabilizza i parlamentari e toglie alle segreterie e ai leader le briglie di quel meccanismo pernicioso che fin qui è stato la cooptazione di deputati e senatori. Gente che risponde ai capi dei partiti e non a chi li ha votati in un’urna elettorale”.

 

L’obiezione immediata è che la Lega propone questo sistema perché teme le alternative proporzionali che sembrano avanzare nei dedali sotterranei che collegano tra loro il Pd, il M5s e Renzi. “Guardi”, risponde Giorgetti tagliando corto, “io voglio presentare una legge costituzionale con la quale si stabilisce che in caso di riforma elettorale quel nuovo sistema prima di entrare in vigore salti un turno. Si tratta di un dispositivo di garanzia, contro le schizofrenie e gli opportunismi, che esiste in altri ordinamenti europei. Sui pasticci elettorali nessuno in Italia è vergine. Però bisogna metterci una pezza. E sul serio. Lo dico perché abbiamo cambiato troppe volte il sistema elettorale. E ogni volta lo abbiamo peggiorato. Adesso ci troviamo di fronte a un tornante decisivo. Lo spauracchio Salvini, l’uomo nero che reclama i pieni poteri, sta portando a una legge che fotografa l’attuale scenario balcanico e ingovernabile”. E però Salvini ci ha messo del suo per diventare l’uomo che giustifica interventi da eccezionalità democratica. “E’ uno spauracchio. Una scusa. Facciamo invece qualcosa che aiuti l’Italia a funzionare meglio, per una volta”. 

 

La Lega ha presentato un referendum, per la reintroduzione del maggioritario, sul quale la Consulta dovrebbe pronunciarsi domani. “Abbiamo presentato il referendum nell’unico modo possibile, quello di un maggioritario puro”, dice Giancarlo Giorgetti. “Però la proposta di mediazione politica, di sintesi, che contempla un modello conosciuto e ampiamente costituzionale, è quel benedetto Mattarellum che in passato ha garantito l’alternanza, pensate a Prodi e Berlusconi. Un sistema che inoltre, attraverso i collegi, ha portato in Parlamento tanti sindaci e tanti imprenditori, personalità legate ai loro territori d’espressione. Bastano 24 ore per ripristinare il mattarellum, se c’è la volontà. Sarebbe a beneficio di tutti. Poi, quando si andrà a votare – io spero prestissimo mentre il Pd e il M5s tifano forse nel 2050 – ci sarà un vincitore nelle condizioni di governare ordinatamente il paese”.

 

Il referendum come pungolo, insomma, dice Giorgetti. Anche se la corte potrebbe pure respingere il quesito presentato dalla Lega. “Sarebbe un brutto segnale. Perché precipiteremmo di sicuro nella palude. Ricordo soltanto che il maggioritario nacque all’inizio degli anni Novanta grazie al referendum di Mario Segni. Allora, come oggi, la Consulta ha un ruolo di attore istituzionale. Quei referendum diedero la possibilità di dare una spallata benefica al sistema. E si arrivò al compromesso ragionevole del Mattarellum. 75 per cento maggioritario, 25 per cento proporzionale. Andrebbe benone anche oggi. Governabilità e rappresentatività. Insieme”.

 

L’alternativa qual è? “L’alternativa è l’opposto della governabilità e della rappresentatività. Sento parlare di una legge elettorale ‘alla tedesca’, ma che, per come viene descritta dai suoi stessi proponenti, è in realtà un proporzionale puro. La fotografia, come dicevo prima, dell’attuale paesaggio politico. Una cosa che rende necessario, direi inevitabile, il ricorso ancora una volta a un governo di coalizione. Come gli ultimi due che abbiamo visto in questa legislatura. Dunque due, tre, quattro, forse persino cinque partiti, insomma chi più ne ha più ne metta, costretti in Parlamento a perpetuare un tipo di governo che già aveva difficoltà a funzionare ai tempi della prima repubblica, quando pure esistevano dei partiti veri, esisteva cioè la disciplina di partito, si facevano i congressi, e c’erano pure le grandi ideologie a regolare con il loro tic tac i tempi, i riti e i codici della politica. Oggi tutto questo non esiste più. I partiti sono emanazione personale delle leadership. E noi vogliamo ripristinare un sistema elettorale che era stato immaginato per un mondo che non esiste più? Ma davvero la paura di Salvini può spingerci a tanto? Davvero bisogna arrivare al punto che, per paura di questo terribile Truce, si consegna l’Italia alla certezza dell’ingovernabilità? Mi sembra una scelta pericolosa. Il Truce non è un pericolo democratico, ma è evidente che serve a giustificare un pasticcio orrendo. Per il quale il paese soffrirà. E questo sì che è un pericolo. Se ci aggiungiamo, per soprammercato, che le liste di questo proporzionale puro sono liste bloccate, come sembra, ecco che la mostruosità raggiunge vette da film horror. Non solo un sistema politico frastagliato e incapacitato a governare, ma pure la perpetuazione di una classe politica di cooptati”.

 

Com’è oggi d’altro canto. “E infatti il livello del dibattito politico parlamentare come le sembra?”. A dir poco scarso. “Appunto. Se passa la riforma che stanno disegnando, sarà persino peggio. E’ tutto così chiaro che per non vederlo bisogna avere i paraocchi. Un Parlamento di nominati, che non rispondono agli elettori ma ai capipartito, in un contesto disordinato che costringe a innaturali alleanze post elettorali tra forze che saranno a quel punto spinte a ragionare continuamente in termini elettoralistici anche una volta arrivati al governo”. La fotografia della coalizione gialloverde, in pratica, ma anche di quella rossogialla. “E tutto questo in un contesto di globalizzazione in cui persino quelle democrazia dotate di governance dirette e teoricamente efficiente hanno difficoltà ad agire”.

 

Va bene. La proposta è sensata. Ma chi sono gli interlocutori? Dove può fare presa? “Nel centrodestra credo siano tutti d’accordo. Nei mesi scorsi avevo lanciato l’offerta di un dialogo ampio, sulle regole. Appello caduto nel vuoto. La maggioranza pensa di essere autosufficiente. Ma questa autosufficienza è a difesa di un interesse particolare. E gli uomini e le donne che compongono la maggioranza dovrebbero rifletterci di più. Anche perché mi sembra non siano così saldi, né autosufficienti, in politica estera come su tutti i dossier più importanti che affastellano la scrivania del presidente del Consiglio: da Alitalia fino alle autostrade. Mi sembrano esempi banali per far capire che si poteva utilizzare in maniera migliore l’offerta di dialogo che avevo avanzato. La paura di Salvini produce danni, più danni di quanti gli avversari non ne attribuiscano a Salvini stesso. E allora lo ribadisco: parliamo. Spero ascoltino, stavolta. Anche se sembrano totalmente sordi e chiusi nel fortino. Ma il fortino è assediato. E non si sa se regge”.

 

Giuseppe Conte dice che perdere in Emilia non avrebbe importanza. Sono elezioni locali. “Il presidente Conte non ha mai preso un voto in vita sua, quindi lo capisco che dica così. Ma Zingaretti? Che non gli importi dell’Emilia-Romagna mi sembra impossibile. E Di Maio? Prende il 5 per cento in Emilia e anche in Calabria, e se ne infischia? Non lo so… Guardi, per come è messo il Parlamento bisogna fare uno scatto. Lo ripeto. Se lo scatto non lo fa il sistema politico, spero che lo faccia domani la Corte costituzionale. Altrimenti diventano sabbie mobili in cui veniamo risucchiati tutti. Attenzione, dico tutti”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.