Andrea Orlando e Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

Passeggiate romane

Triangoli spagnoli: mettere in mezzo Renzi e far sponda su Salvini

Franceschini è proporzionalista per stabilità del governo, Orlando e Zingaretti puntano a sgonfiare Iv e imbarcare Leu

Dario Franceschini è l’uomo forte del Pd nel secondo governo Conte, ma nel partito l’uomo forte resta Andrea Orlando, senza contare, ovviamente, il segretario che nonostante le voci e le indiscrezioni si sta rafforzando. E l’ex ministro della Giustizia da sempre è un tifoso del sistema elettorale spagnolo. Quello coi i collegi molto piccoli, grazie al quale Italia viva scomparirebbe e Leu di Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza sarebbe costretta a entrare nel Pd. Sì perché lo spagnolo favorisce i partiti più grandi mentre penalizza gli altri. Ebbene mentre Franceschini cercava un accordo di maggioranza che stesse bene a tutti sulla legge elettorale (e lo aveva trovato, con il proporzionale e lo sbarramento tra il tre e il quattro per cento) Andrea Orlando continuava a spingere sullo spagnolo. Della validità di questo sistema si è andato convincendo anche Nicola Zingaretti, intuendone le potenzialità positive per il Pd (tra le quali anche quella di vedere finalmente Matteo Renzi all’angolo). Perciò sulla riforma si è saldato un asse tra il segretario e il suo vice.

 

 

Sia chiaro, l’intesa tra Orlando e Zingaretti non è certo fatta in funzione anti Franceschini, che è e resta l’unica speranza per il Pd di tenere la barra dritta al governo. Semplicemente il ministro della Cultura sembra più attento ai problemi della tenuta della maggioranza che non vorrebbe veder fibrillare a causa della riforma elettorale. Difficilmente infatti Renzi potrebbe accettare lo spagnolo senza avere la tentazione di mettere prima in crisi il governo.

 

 

Comunque Orlando e Franceschini hanno dalla loro l’appoggio della Lega. Nell’intervista a Matteo Salvini pubblicata ieri dal Corriere, l’ex ministro dell’Interno infatti apre al sistema proporzionale, però aggiunge che sono necessari dei correttivi e focalizza la sua attenzione proprio sui collegi. E il sistema spagnolo prevede appunto collegi piccoli. Si vocifera addirittura che l’accordo con i leghisti sia già fatto. E ieri per mandare un segnale a Renzi che recalcitra, e a Luigi Di Maio che non ha chiuso allo spagnolo ma di cui comunque il Pd non si fida (“e se cambiasse idea all’improvviso?”, si chiedono al Nazareno) è sceso in campo il gran consigliere di Zingaretti e Orlando, cioè Goffredo Bettini. Con una dichiarazione che lascia pochi spazi alle ambiguità: “A gennaio – dice l’ex eurodeputato – avremo una verifica di governo, o si approva o non si approva. Non possiamo stare appesi a Di Maio e a Renzi”.

 

 

Nel frattempo tutti i partiti stanno lavorando per le regionali. In Calabria il candidato dei “Cinque stelle Francesco Aiello ha aperto al Pd. Non si sa se questa trattativa andrà in porto. Ma si sa per quale motivo ha fatto questa apertura: Aiello nei sondaggi è dato addirittura sotto il 5 per cento e in Calabria, per la legge elettorale adottata da quella regione, bisogna oltrepassare l’8 per cento per avere la speranza di entrare in Consiglio regionale. Sembra invece definitivamente chiusa la trattativa (in realtà mai messa in campo seriamente ) tra i Cinque stelle e il Pd in Emilia. Il Movimento non appoggerà Stefano Bonaccini. Il quale comunque non appare pessimista circa l’esito delle elezioni. Come ha avuto modo di constatare di persona la settimana scorsa Nicola Zingaretti, che era in Emilia-Romagna proprio per spingere il partito a impegnarsi al massimo in queste elezioni che avranno inevitabilmente conseguenze anche sul piano nazionale per quanto riguarda il Pd.