Matteo Renzi (foto LaPresse)

In questo teatrino nessuno è reo, nessuno è innocente

Giuliano Ferrara

Lo scandalo giudiziario intorno alla Fondazione Open, il finanziamento della politica e la saggezza manzoniana. Dipende tutto dal saper prendere bene le grida, e dall’imparzialità di chi le maneggia

Molti politici non vogliono pigliare pesci, ché pescare è per paradosso uno sport da coraggiosi, e tacciono invece di prendere posizione. Molti di noi, di fronte allo scandalo giudiziario intorno alla Fondazione Open e al giro di Matteo Renzi, non sappiamo che pesci pigliare. Di qui le prudenze, gli imboscamenti, i rinnegamenti e altra consueta materia di renitenza a capire e di viltà che abbiamo ben conosciuto fin dagli anni, e qui il tempo si è fermato, di Craxi e di Berlusconi. Io mi faccio aiutare da Alessandro Manzoni, conoscitore del cuore umano e dei fatti di giustizia: mise in bocca al dottor Azzecca-garbugli che “a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo e nessuno è innocente”. E lì siamo, immobili intorno alla verità di quel brocardo.

 

Una volta i finanziamenti erano rigorosamente in nero, mazzette, in rubli in dollari in lire. Gli agenti del nero circolante erano eroi della causa nella Guerra fredda, e nell’epoca in cui furono approvati i finanziamenti pubblici un’amnistia (1989) li liberò dal fardello di doverlo eventualmente dimostrare in tribunale. Poi c’erano i profittatori, e quelli ci sono sempre, specie quando un flusso finanziario è segreto e corre di mano in mano. Era un sistema, che a un certo punto saltò travolgendo la repubblica dei partiti. Poi nelle diverse e minori incarnazioni di una vecchia storia di sistema, ecco che le gride, cioè le leggi, cambiano. I finanziamenti pubblici non ci sono più, e quelli privati sono assoggettati a regole. Ma “a saper ben maneggiare le regole, nessuno è reo e nessuno è innocente”.

 

La reputazione degli uomini pubblici dipende interamente dalla forza, non dalla giustizia. E per forza si intende il tipo di azione investigativa esercitata dalla magistratura, la sua direzione, la sua disponibilità allo scambio con il sistema mediatico attraverso i leaks, le propalazioni, il suo accanimento e senso del teatro. Nessuno può negare che i politici siano amici e sodali di professionisti, che mettano su associazioni allo scopo di finanziare la loro attività, e che tutto questo determini un campo di influenza e di potere inevitabilmente mescolato, a parte le ovvie distinzioni tra atti legali e non legali, con le decisioni, le  nomine, le mille occasioni in cui vantaggi, interessi, fedeltà a una politica e a una squadra che la promuove, si fanno largo. Ma chi decide se un prestito privato, regolarmente rimborsato, è un finanziamento irregolare della politica o del politico? Chi può negare che un prestito si chiede a un amico, e che l’amico di un politico è spesso in cordata con lui e con il gruppo? Come ci si districa nel garbuglio delle gride anticorruzione, dell’osservanza dei precetti relativi ai conflitti di interessi e al traffico di influenze, fantasmatici elementi della vita reale ossificati in reato penale con somma leggerezza? Il finanziamento della politica sarà – s’immagina – materia per avvocati, notari, collaboratori di un leader che è portavoce di tutto il progetto, dunque anche deputati, senatori, sindaci o che so io. E ciascuno porta la sua impurità, per dir così. Questo prende parcelle per il suo mestiere, l’altro negozia su appalti e altro ancora, quest’altro manovra perché nessuna cattiva intenzione di incastrare il gruppo con pretesti grideschi vada in porto, e ognuno ha la sua parte di reità e di innocenza, direbbe il dottore manzoniano.

 

Dipende tutto dal saper prendere bene le gride. E dall’imparzialità, dall’equilibrio di chi le maneggia, dalla responsabilità di chi dà conto del tutto nei media. Uno può procurarsi una reputazione di imbroglione o mantenere una credibile fama di politico senza pecche eccessive a seconda di come la forza delle gride, che non è giustizia, pencola da una parte o dall’altra, viene interpretata, sminuzzata, riproposta alla pubblica opinione, in parallelo con il consenso popolare, che da questa forza poi dipende in larga misura, in un gioco di rimandi, opposizioni, intimidazioni, calunnie, denunce, minacce. Va’ poi a vedere se tutto era fatto per bonifici, se niente era in sé contro la legge, se i conflitti d’apparenza fossero più o meno evitabili, e va’ poi a vedere come si distingue la conformità alla legge dal buon gusto. E’ un sistema, imperfetto come tutti i sistemi, e fondato per di più su una ipocrita presunzione di colpevolezza di chiunque riceva finanziamenti pubblici o privati senza i quali la democrazia politica non saprebbe come organizzarsi. E in questo teatrino che mette alla gogna ora questo ora quello in realtà nessuno è reo e nessuno è innocente.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.