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Perché M5s e Lega dovrebbero scommettere su Draghi presidente della Repubblica

Claudio Cerasa

In Italia, al momento, i populisti hanno abbandonato la retorica anti euro. L'unico modo però per darsi davvero una ripulita sarebbe quello di favorire l'elezione dell'ex presidente della Bce al Quirinale

Nel corso del suo ultimo consiglio direttivo da presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, con un sospiro a metà tra il sollievo e la goduria pura, ha affermato che l’Europa non se la passa poi così male e che per quanto riguarda la moneta unica le cose, oggi, non potrebbero andare meglio: “La popolarità dell’euro”, ha detto Draghi, “non è mai stata così alta e anche in Italia hanno tutti chiaro e ben fissato che l’euro è irreversibile”.

 

Il presidente della Banca centrale europea, evidentemente, si riferisce alla presenza sulla scena politica italiana di due partiti populisti che, per provare a ripulirsi, hanno messo da parte le proprie battaglie contro la moneta unica. Il primo partito è il M5s, che quattro anni fa raccoglieva firme in giro per l’Italia per uscire dalla moneta unica e che oggi ha accettato di fare un governo con il Pd anche per evitare di regalare il paese a chi ha fatto della battaglia contro la moneta unica un suo tratto distintivo. Il secondo partito è invece la Lega, che fino a due anni fa scriveva nelle sue mozioni congressuali che è “solo conquistando l’egemonia di governo che potremo rimettere in discussione la moneta unica” e che oggi, per bocca del suo segretario, dice, lo dice Salvini sul Point in edicola questa settimana, che “l’euro è stato sì un brutto esperimento ma che la storia non può essere riscritta” (“comme l’Histoire ne peut pas être récrite”). I populisti, con varie sfumature, hanno evidentemente capito che per poter essere presentabili, per poter essere considerati come affidabili forze di governo, hanno la necessità assoluta, goduria pura, di mostrarsi con un volto diverso rispetto a quello con cui si sono fatti conoscere negli ultimi anni. Draghi, dunque, ha ragione a segnalare che in Italia, a differenza di due anni fa, non c’è alcuna forza politica antisistema desiderosa di riscrivere la storia della moneta unica. Ma esattamente come capita nelle coppie in cui il marito promette alla moglie, piangendo, “tesoro, scusa, non farò più cazzate, non mi ubriacherò più”, salvo poi continuare ad andare in giro con i fiaschetti di rum nascosti nella tasca della giacca, allo stesso modo i populisti, pur promettendo di cambiare, hanno grandi difficoltà a dimostrare di essere cambiati davvero.

 

Vale quando si parla della Lega, ovviamente, e per quanto Salvini si sforzi di dire – come ha fatto lunedì scorso su La7 – che “io non sto lavorando per uscire dall’euro”, fino a quando continuerà a nascondere nella giacca i fiaschetti No euro offerti da Borghi e Bagnai, lasciando ai due campioni antieuro la libertà di promettere che un giorno la Lega tornerà ad aggredire l’euro, continuerà a dare l’impressione che la moderazione non sia un fine bensì un mezzo per poter conquistare l’egemonia e provare a sfasciare il sistema una volta conquistati i pieni poteri. Lo stesso vale per il M5s, che per quanto possa sforzarsi di essere più europeista, più parlamentarista, più educato rispetto al passato, resta sempre il partito che esprime un ministro della Giustizia che considera la giustizia giusta solo quando prevede il carcere, che al Parlamento europeo si astiene sulle risoluzioni sui porti aperti e che sostiene, come detto ieri al Foglio dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mario Turco, che “Taranto debba pensare al suo futuro senza vederlo legato allo stabilimento dell’ex Ilva”.

 

I populisti sono dunque vittime dei dèmoni che hanno creato, gli estremisti sono ostaggio dell’estremismo che hanno alimentato, gli antisistema sono intossicati dai pozzi che hanno avvelenato e fin quando tutti coloro che hanno ubriacato l’Italia con taniche di antipolitica non metteranno da parte i propri fiaschetti di rum non ci sarà svolta annunciata che possa essere credibile. E se Salvini avesse un po’ di fiuto dovrebbe avere il coraggio di dire quello che in privato il suo alleato Silvio Berlusconi dice da tempo: scommettere su Mario Draghi non come prossimo presidente del Consiglio ma come prossimo presidente della Repubblica. Il veleno dai pozzi, volendo, si può iniziare a togliere anche così. Più fatti, meno chiacchiere e meno fiaschetti, thanks.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.