Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Pd-M5s: governo coi fichi secchi

Luciano Capone

Manovra e programma, pochi soldi e tanti problemi. Lo stato maggiore eonomice dice che in teoria è semplice allearsi con il M5s, ma in pratica è tutto molto difficile 

Roma. Istituzionale o politico, solo per sei mesi o per tutta la legislatura, per disinnescare l’Iva o per rilanciare la crescita. Non si sa come e per cosa, ma il nuovo governo sostenuto dalla strana alleanza Pd-M5s sembra destinato a nascere. Il voto al Senato che ha messo in minoranza la Lega sull’anticipo del voto di sfiducia al governo Conte ha mostrato una nuova maggioranza embrionale, che nei prossimi mesi dovrebbe trasformarsi in un nuovo esecutivo che ha l’obiettivo di contenere l’avanzata di Matteo Salvini. Lo stato maggiore economico del Pd ragiona su quali dovrebbero essere gli obiettivi, gli orizzonti e la politica economica di questo nuovo governo e quando si scende nel concreto tutti si rendono conto di trovarsi davanti a un progetto di difficile attuazione, a una specie di salto mortale. Perché il primo ostacolo è una manovra che parte con -23 miliardi, necessari a cancellare l’aumento dell’Iva. Insomma, soldi non ce ne sono, e il matrimonio Pd-M5s bisogna farlo con i fichi secchi. “Bisogna partire da una valutazione oggettiva della situazione economica del paese, che è di estrema fragilità”, dice un dirigente dem. Niente pazzie quindi, ma un governo con l’obiettivo di sterilizzare l’Iva tendendo sotto controllo il deficit. “Bisogna minimizzare i danni fatti da questo governo”. Con quali soldi? “Risparmi da reddito di cittadinanza e quota 100 e da un negoziato con l’Europa che Salvini non potrebbe fare”. Insomma, una specie di governo di emergenza con l’obiettivo di stabilizzare i conti nel breve periodo e, al limite, se c’è un orizzonte di legislatura, di rilancio della crescita su tre pilastri: “Taglio del cuneo fiscale, crescita sostenibile, istruzione”.

 

“Una manovra dell’entità di quella che ci apprestiamo a varare necessita di un accordo politico molto forte”, dice un altro dirigente dem, “e al momento le condizioni non ci sono”. Si può trovare un punto d’incontro sul taglio del cuneo fiscale, ma è un costo aggiuntivo su una legge di Bilancio già pesante. “Serve una maggioranza capace di resistere allo stress test della manovra, altrimenti è meglio non partire”. Per un altro big del partito il problema non sono tanto le risorse, “sull’Iva il cammino non è impossibile”, né trovare generici punti di convergenza “dal Rdc al salario minimo, dalla scuola all’ambiente”, il problema è il giorno dopo giorno, quando ci saranno da affrontare ad esempio i dossier industriali (Ilva e Alitalia) e infrastrutturali (Tav e Gronda), insomma gli stessi problemi che con i grillini aveva la Lega. “Alla fine è probabile che nasca un governo limitato e che dopo pochi mesi si vada al voto”.

 

“Ma un governo con il M5s ha senso solo se ha una prospettiva pluriennale, altrimenti è meglio non partire”, ragiona un altra personalità che nel Pd si occupa di questioni economiche. Molte sensibilità sono comuni, dal lavoro all’ambiente, e non dovrebbe essere difficile trovare punti di sintesi. “Si può mantenere il reddito di cittadinanza, magari facendolo funzionare meglio come il Rei. Si può smontare un po’ quota 100, che non difenderanno a spada tratta. Sull’autonomia si può atterrare sul modello Emilia Romagna, come punto di equilibrio. Salario minimo, se non si fissano su questa cosa dei 9 euro che è un disastro. E poi stop all’Iva, niente flat tax, taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, investimenti su scuola e ambiente”. Il programma di legislatura è fatto, non ci sono problemi. “Ferma, ferma... è facile dire ‘ambiente’, ma poi gli impianti li facciamo o no? La loro legge sull’acqua è inaccettabile. E poi non c’è solo l’economia, bisogna cambiare registro sull’immigrazione, dare un segno di discontinuità sulla classe politica. E inoltre evitare che nasca un governo contro il nord”.

 

L’approccio minimalista (governo sì, ma solo per pochi mesi) ed emergenziale (fermare Salvini) non convince un altro parlamentare del gruppo dirigente. “Non puoi fare un governo contro l’Uomo nero, che politica economica è? Andare al governo per fare un dispetto a Salvini è una roba che non lo ferma, ma gli prepara un’autostrada. Un governo lo fai sulle politiche per la crescita e distributive”. Insomma, su come fai aumentare il pil e come lo redistribuisci. Ma l’economia è ferma e soldi non ce ne sono, perché li hanno già spesi tutti lo scorso anno M5s e Lega, che ora lasciano un pesante conto da pagare. “Non fermi il pericolo nero con l’Iva, bisogna mettere 10-12 miliardi sul taglio del cuneo fiscale e costruire una politica comune su scuola, ambiente e salute. Bisogna fare scelte importanti e quindi serve una maggioranza che regga l’urto della manovra, altrimenti è meglio fermarsi prima”. Facile a dirsi, ma molto complicato a farsi. “Le risorse si possono anche trovare, ma c’è bisogno di un disarmo bilaterale. Ognuno deve ammainare le proprie bandierine politiche e chiedere un passo indietro ai propri falchi”. Renzi e Di Maio. Ma chi, in un M5s senza Di Maio, è in grado di far rispettare un patto del genere? E chi nel Pd può garantire a nome di tutte le correnti?

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali