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Il patto abortito tra Cav. e Truce fa spuntare “15 responsabili” di Forza Italia

Valerio Valentini

Mentre Salvini s’impantanava nella palude del Palazzo anche la trattativa per la ricomposizione del centrodestra si complicava. E ora sembra essere svanita

Roma. A chi gli chiedeva una spiegazione sull’impasse, Osvaldo Napoli, deputato forzista della vecchia guardia, due giorni fa tagliava corto: “Il punto è che Salvini non si fida di Berlusconi, e Berlusconi non si fida di Salvini”. E forse in fondo sta tutto qui, il sugo della storia, l’inghippo mai davvero superato in una trattativa arenatasi prima ancora di essere davvero intavolata. “C’è una intesa di massima”, garantivano i leghisti vicini al leader, già lunedì scorso. Inducendo in errore, e forse in tentazione, anche qualche coordinatore regionale di Forza Italia che, con uno zelo perfino sospetto, già s’accingeva a dividere i sommersi dai salvati. “Tu quanti ne hai sacrificati?”. “Due terzi già depennati”. E allora ecco le indiscrezioni sui posti in lista (“Si useranno le proporzioni delle Europee”, dicevano nel Carroccio), addirittura l’ipotesi di un listone unico. Tutto sembrava approssimarsi alla conclusione, ogni obiezione venendo travolta dalla ruspa del Capitano in marcia trionfale verso il voto anticipato. “L’errore – dice ora l’azzurro Gregorio Fontana, questore di Montecitorio – è stato nell’impostazione. Si pensa alle liste, e non al programma di un centrodestra che va ricostruito da capo, dopo un anno e mezzo di governo gialloverde. Ci si illude di poter tagliare subito i nastri, e invece bisogna ancora aprire il cantiere”.

 

E così fatalmente, mano a mano che la Bestia s’impantanava nella palude del Palazzo, pure la trattativa per la ricomposizione del centrodestra si complicava. E allora si scopriva che le interlocuzioni, per giorni, erano state condotte solo a livello di staff, che a mediare in nome del Cav erano Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli. Che però, per detta dei senatori azzurri, “stanno pensando solo a garantire se stessi: hanno chiesto la miseria di trenta posti”. I due leader si sono sentiti solo martedì: tre, quattro, cinque telefonate. “Ci vuole tempo”, dicevano dall’entourage del Cav., sapendo bene che il tempo è proprio ciò che Salvini non ha, se vuole votare a ottobre. Ed essendone consapevole, Berlusconi giocava al rialzo, faceva perfino sapere che il fido Gianni Letta brigava per ritessere la tela del Nazareno, forse col solo scopo di fare pressione sul vicepremier leghista (“mi fanno sorridere quelli che dicono che avrei riallacciato i contatti con la Boschi”, si sarebbe lasciato scappare con qualche confidente il diretto interessato. Aggiungendo, poi: “Mi fanno ridere perché non c’è nulla da riallacciare. Semplicemente non si sono mai interrotti”).

 

E allora si spiegano le cinque telefonate di martedì. E si spiega come mai, in ognuna di queste, sorgeva un nuovo intoppo che toccava poi di nuovo alla Ronzulli provare a rimuovere, confabulando però non col capo del Carroccio, ma con la sua portavoce, Iva Garibaldi, nei corridoi di Palazzo Madama. Proprio nel mentre, però, che in Aula si consumava l’atto che forse rendeva perfino inutile tanto trafficare. Perché col voto sul calendario, di fatto, la nuova maggioranza a trazione demogrillina s’è materializzata. E il resto arriverà. “Per il governo tra Pd e M5s – se la ride Giorgio Mulè – ‘non esistevano le condizioni’ la notte di San Lorenzo. Alla vigilia di Ferragosto crearlo era ‘complicato’. Quando il primo cavallo passerà la terza curva del Casato al Palio dell’Assunta, farlo diventerà ‘doveroso’”. E siccome quando nascerà il nuovo governo “si ballerà su un’altra musica”, ecco che la conta non è più per i posti in lista, ma per il pallottoliere giallorosso. Al Senato, dove la maggioranza nascerà un po’ traballante, gli sherpa del M5s incaricati di sondare il terreno hanno già contato tra i 18 e i 23 “responsabili”. Chi conosce dall’interno gli umori della truppa azzurra ridimensiona, ma non più di tanto: “Una quindicina”. E tra questi già circolano i primi nomi: Andrea Causin, Donatella Consatti, Paola Binetti, Gaetano Quagliariello. Alla Camera neppure serviranno. E però anche lì c’è chi, come Gian Franco Rotondi, ha già spiegato al Cav. che “noi dobbiamo far parte di questo governo di solidarietà nazionale”, e ha fatto sapere di non essere il solo, a pensarla così.

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