Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini si sfida con i voti, non con i veti

Claudio Cerasa

Un governo Salvini fa paura, ma uno anti Salvini fa ancora più paura. Ragioni e spunti per tifare per le elezioni presto

La crisi ad alta velocità innescata da Matteo Salvini all’indomani della mozione sull’alta velocità si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con un percorso istituzionale a bassa velocità all’interno del quale sta maturando una interessante linea di frattura tra coloro che con sfumature diverse si considerano all’opposizione del leader della Lega. La linea di frattura riguarda la contrapposizione tra due tesi – non sovrapponibili – utili da mettere a fuoco per cercare di capire quali sbocchi potrà avere la XVIII legislatura e che ostacoli ci sono per votare, come vorrebbe Salvini, il prossimo 3 novembre.

 

 

Una prima scuola di pensiero, incarnata come abbiamo raccontato ieri dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e dal presidente del Pd, Paolo Gentiloni, prevede la necessità, da parte del Pd, di non prestarsi ad alcun gioco parlamentare e ad aiutare il leader della Lega ad arrivare alle elezioni il prima possibile, per sfidarlo a viso aperto e provare a raccogliere alle urne il budino grillino. Una seconda scuola di pensiero, incarnata da un pezzo rilevante del gruppo parlamentare Pd, lo stesso che ha chiesto di calendarizzare al Senato prima la sfiducia a Salvini e poi quella a Conte, punta invece a disarmare il Truce non sul piano elettorale ma su quello parlamentare, ritardando quanto più possibile il voto, facendo leva sul rischio di far entrare l’Italia in esercizio provvisorio e mettendo in rilievo il pericolo di regalare il paese a un leader fuori controllo.

 

La seconda scuola di pensiero individua come strategia possibile per realizzare questo disegno la trasformazione del governo di transizione – che verrà nominato dal presidente della Repubblica per accompagnare il paese al voto dopo aver preso atto della sfiducia all’attuale premier – in un esecutivo, sostenuto tanto dal Pd quanto dal M5s, più invernale che balneare, capace cioè di “evitare di far scattare l’Iva” e “mettere in sicurezza il paese” qualora la crisi di governo dovesse innescare una crisi finanziaria (ieri spread a 240 punti). Per un giornale che da mesi mette in evidenza la pericolosità di un politico come Salvini, con il suo tratto antieuropeista, con il suo profilo giustizialista, con il suo delirio securitario, può sembrare una contraddizione augurarsi che la prima scuola di pensiero, la battaglia elettorale, prevalga sulla seconda scuola di pensiero, ovvero la battaglia parlamentare. E la domanda in fondo potrebbe essere questa: ma se il Truce è così truce non sarebbe la meno truce delle opzioni quella di ritardare il voto e far sbollire così, a poco a poco, lentamente, inesorabilmente, la pentola del salvinismo?

 

 

La tesi della resistenza parlamentare è una tesi legittima e perfettamente costituzionale (ieri Salvini l’ha definita, nientemeno, “antidemocratica”) ma la tesi della battaglia elettorale è quella giusta per tentare di realizzare quello che ogni democrazia matura dovrebbe essere in grado di fare: dimostrare che l’alternativa al bubbone salviniano è un progetto vincente, gagliardo, allegro, responsabile, lucido e folle, e non una fredda formula algebrica frutto di un accordo tra partiti un po’ incapaci, un po’ codardi e un po’ perdenti (e che aspetta la destra non truce a emanciparsi dal trucismo?). Salvini è un pericolo per l’Italia e la convergenza di interessi per rallentare la sua ascesa può essere persino giustificabile. Ma considerare un tabù le elezioni solo per paura di perderle, senza rendersi conto che ogni avventura elettorale è fatta di mille ingredienti imprevedibili e spesso non razionali, non è una strada giusta per arginare il consenso dell’avversario. E’, semmai, una strada definitiva per certificare la forza del trucismo, la sua centralità, la sua inevitabilità e regalargli in prospettiva ancora altro consenso.

 

 

Le elezioni si possono perdere, così come si possono eventualmente ripetere ancora una volta e un’altra ancora e ancora un’altra come ci insegna con allegria la Spagna che ha votato tre volte negli ultimi quattro anni e che potrebbe tornare a votare una quarta volta senza che questo abbia portato a chissà quale instabilità istituzionale, e la storia moderna del nostro paese in fondo ci insegna anche che la resipiscenza degli italiani, in un verso o in un altro, è qualcosa di possibile. I voti arrivano con la stessa velocità con cui se ne vanno, chiedere a Di Maio e a Renzi. E per quanto i populisti al governo possano essere un pericolo per l’Italia, l’anno di governo sovranista ci ha insegnato che di fronte alla complessità della realtà il populismo tende a esaurirsi in fretta e se non smentisce se stesso tende a sciogliersi come neve al sole. L’Italia, con difficoltà, ha digerito, e respinto, un governo formato da due populisti. Per provare a fermare Salvini la competizione più che essere ostacolata merita di essere agevolata. Andiamo a votare, facciamo presto e pazienza se lo spread per un po’ ci farà ballare, grazie.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.