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I leghisti sognano l'addio di Toninelli. Salvini se lo tiene stretto con tutto il M5s

Valerio Valentini

Il capo del Carroccio attacca Conte: “Si è montato la testa”. Rixi: “Ma perché il Pd non sfiducia il ministro dei Trasporti?”

Roma. Mentre beve un caffè col collega Alessandro Morelli, Edoardo Rixi non lascia neppure il tempo che gli si faccia la domanda, che subito ribatte: “La mozione di sfiducia a Salvini? Se davvero il Pd volesse mettere in difficoltà il governo, la mozione di sfiducia la farebbe a Toninelli”, sibila l’ex viceministro dei Trasporti, che dal dicastero di Porta Pia è stato estromesso dopo i guai giudiziari. E subito dà voce ai sospetti che, a quanto dicono i leghisti, anche Giancarlo Giorgetti ha esternato mercoledì pomeriggio, non appena il renziano Andrea Marcucci nella canea di Palazzo Madama annunciava l’atto ostile contro il capo del Carroccio. “E’ tardi, ormai”, si sfogava alla buvette Matteo Renzi, per il quale “la mozione contro Salvini serviva a mostrare plasticamente come l’unica forza realmente anti leghista è il Pd”. E ci sta, certo. “Ma è altrettanto vero – rispondeva a distanza il leader del Carroccio al Senato, Massimiliano Romeo – che con un’azione simile finiscono per ricompattarci, proprio ora che c’era tensione”.

 

E’ un po’ lo stesso ragionamento che fa, ventiquattr’ore dopo, Francesco D’Uva, il capogruppo del M5s a Montecitorio che addenta un panino dopo avere parlato fitto fitto col suo omologo del Pd, Graziano Delrio, che appunto sulla calendarizzazione della mozione di sfiducia a Salvini cercava un’intesa. “Ovvio che voteremo contro”, dice D’Uva, che rinnova la sua convinzione: “Il governo va avanti. Anche perché Salvini lo sa che solo con noi può stare al 35 per cento, per questo ci preferisce al centrodestra”. Poi, però, anche negli occhi del grillino, luccica un lampo di malizia: “Certo, se l’avessero fatta contro Toninelli, sarebbe stato più difficile”.

 

“Salvini – prosegue D’Uva – attacca Toninelli ormai ogni giorno, anche se poi si rivende lo sblocco dei fondi del Cipe che proprio Danilo ha reso possibile; sarebbe stato curioso capire cosa si sarebbe inventato la Lega”.

 

Curiosità destinata a restare insoddisfatta, perché nel Pd non ci pensano neppure a mettere nel mirino il ministro dei Trasporti. “Questa maggioranza entrerà in fibrillazione comunque, magari già a settembre”, dice Andrea Giorgis, membro della nuova segreteria zingarettiana. “Ormai la conflittualità è esasperata. La finestra elettorale? Questi se ne infischiano delle regole – prosegue – e piuttosto ci portano in esercizio provvisorio”. Enrico Borghi, uno che di sconti ai grilloleghisti non ne fa mai, in Aula, quando gli si fa notare che un pezzo della Lega spera nel soccorso rosso per silurare Toninelli, quasi sbuffa d’insofferenza: “Se Salvini ritiene Toninelli inadeguato, si prenda la responsabilità di chiederne la rimozione. Se non lo fa, è perché evidentemente gli sta benissimo così”. Il che forse non è una mera provocazione. E a dimostrarlo non sta solo il fatto che, come ricorda il senatore del Pd Salvatore Margiotta, “una mozione di sfiducia a Toninelli l’abbiamo già presentata a marzo, e la Lega lo difese”.

 

A testimoniare di come, nonostante tutto, il leader del Carroccio al momento non voglia forzare la mano, ci sono anche le rinnovate intese tra Salvini e Luigi Di Maio. I due si vedono a Palazzo Chigi, a ora di pranzo, e si confermano vicendevolmente la fiducia. Il grillino implora pazienza per la sua recalcitrante minoranza di duri e puri sempre pronti a strillare contro la violazione dei valori originari; il leghista prende le distanze dalle insofferenze di buona parte dello stato maggiore del suo partito, che auspica una crisi immediata. E poi c’è il premier, ovviamente, che i suoi vice evitano d’incontrare e verso il quale entrambi nutrono sospetti. “Si è montato la testa, forse qualcuno lo ha illuso con questa storia del ‘suo’ partito”, sbotta Salvini. “E’ evidente che certe uscite non sono farina del suo sacco”. Neppure farina del sacco grillino, però. “E la storia della Tav lo dimostra”, sussurra a metà pomeriggio, nel cortile di Palazzo Madama, il capogruppo grillino Stefano Patuanelli. “Conte è sempre stato imparziale, super partes, e semmai era la Lega a descriverlo come filogrillino”, aggiunge, accendendosi una sigaretta. Adesso, semmai, la convinzione di entrambi è che a suggerire all’orecchio del premier ci sia il capo dello stato Sergio Mattarella. “E insomma mentre Salvini dimostra di andare d’amore e d’accordo con Di Maio – chiosa Borghi, del Pd – dovremmo essere noi a liberarlo da Toninelli con una mozione ad hoc? Anche no. Qui, di regali, non se ne fanno”.