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L'acrobazia impossibile di Conte in Europa

Luciano Capone

Questa volta non è come la Tav. I tentativi (vani) del presidente del Consiglio di tenere insieme l'inconciliabile: evitare sia la manovra correttiva sia la procedura d’infrazione

Roma. “Tutte le prossime iniziative che vorrete intraprendere dovranno rispettare, pertanto, questa duplice esigenza”, scriveva a marzo il premier Giuseppe Conte nella lettera inviata alla società Telt sulla alla questione Tav. All’epoca i problemi erano l’imminente scadenza dei capitolati di gara e la “duplice esigenza” era di “evitare di assumere impegni” gravanti sullo stato italiano e al contempo “adoperarsi per non pregiudicare gli stanziamenti finanziari” messi a disposizione dell’Unione europea. Da un lato non pubblicare i capitolati di gara per la Tav, come pretendeva il M5s, e dall’altro non perdere i finanziamenti europei per realizzare la Tav, come voleva la Lega. Rispetto a quella scadenza, il vincolo di mandato che aveva il premier era quello di tenere insieme due condizioni inconciliabili poste dai suoi vice, perché la mancata pubblicazione dei bandi avrebbe fatto perdere i fondi europei. Il coniglio dal cilindro fu l’uso della formula lessicale francese “avis de marché”, ovvero avvisi per le manifestazioni di interesse, il cui significato giuridico ha un certo margine di ambiguità che ha consentito di scalciare il dossier in avanti per qualche mese.

 

Ora il presidente del Consiglio è nella stessa, ma più difficile, situazione con la lettera da inviare all’Unione europea, perché stavolta in ballo ci sono la tenuta del governo e soprattutto l’economia del paese. Conte si trova di nuovo stretto nella morsa di una “duplice esigenza”: da un lato disinnescare la procedura d’infrazione per debito eccessivo e dall’altro evitare una manovra per mettere i conti in ordine. Solo che questa volta le due condizioni sono ancora più irriducibili delle due poste da Lega e M5s sul dossier Tav, perché per l’Europa una correzione dei conti è necessaria per non aprire una procedura d’infrazione dichiarata giustificata dalla Commissione e da tutti gli stati membri (esclusa l’Italia, ovviamente). E la difficoltà di risolvere questa insolubile contraddizione è resa evidente dalla difficoltà nel mettere nero su bianco questa lettera, che pareva pronta già una settimana fa: “Ho pressoché ormai preparato una bozza di lettera che rivolgerò alle istituzioni europee, che diventerà pubblica e sarà l’occasione per ribadire come da un lato vogliamo rispettare il Patto di stabilità e crescita e riteniamo che la manovra sia in linea, ma dall’altro lato non vogliamo rinunciare a offrire un contributo critico alle regole Ue. E’ il momento di affrontare e aggiornare le regole europee”. Dal 12 maggio la lettera è in fase di elaborazione: è “quasi pronta”, “il premier la sta limando”, “mancano pochi dettagli”, raccontano le cronache più informate. Ma non è ancora stata spedita. Un po’ come Penelope, il premier lavora di ago e filo, cuce e scuce, e intanto il tempo passa e la scadenza si avvicina. L’invio della missiva dovrebbe avvenire entro mercoledì perché il Consiglio europeo in cui si parlerà della situazione italiana è fissato per giovedì 20 (a meno che Conte non voglia consegnarla personalmente a mano). Dopo le europee, il premier ha perso anche quel margine di manovra politica che la sua posizione di equilibratore tra i due vicepremier gli assegnava. A questo punto è evidente che Conte, che aveva lanciato diversi ultimatum a mezzo stampa in cui pretendeva pieni poteri nella gestione del negoziato con l’Europa, deve attendere il ritorno di Salvini – il premier ombra di questo governo – per formalizzare la posizione italiana.

 

Ma neppure questo servirà a sciogliere la posizione contraddittoria del governo che vuole evitare sia la procedura d’infrazione sia la manovra correttiva. Anche perché Salvini, più che soluzioni, pone altre condizioni inconciliabili: “Non ci accontentiamo più delle briciole a Bruxelles – ha dichiarato da Washington –. La flat tax ci sarà nella prossima manovra. Taglieremo le tasse lo stesso e a Bruxelles se ne dovranno fare una ragione”. Non solo niente correzione dei conti, quindi, ma un’altra manovra da fare in deficit da aggiungere ai 23 miliardi sostitutivi dell’aumento dell’Iva in assenza dei quali il deficit salirebbe al 3,5 per cento. Si tratterebbe di uno scontro frontale con l’Europa, cosa che sia Conte sia Tria vogliono evitare. Anche perché mettere in discussione le regole o chiederne una modifica – che Conte ha già annunciato – non eviterebbe la procedura d’infrazione, anzi, sarebbe un’implicita ammissione di colpa che la renderebbe ancor di più giustificata. La “duplice esigenza” è destinata a scindersi: prevarrà l’ultimatum di Conte o il diktat di Salvini?

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali