Silvio Berlusconi in visita a Torino per la chiusura della campagna elettorale (foto LaPresse)

Che cosa aspetta Forza Italia a ripensare il centrodestra?

Paolo Cirino Pomicino

I risultati di queste elezioni e alcune domande inevitabili per non farsi mettere all’angolo dalla strategia di Matteo Salvini

Al direttore - I risultati elettorali pongono a tutti alcune domande che non potranno rimanere senza risposte. La prima delle domande riguarda la linea che assumerà Forza Italia dopo la sua sconfitta elettorale, anche alla luce dei successi dei suoi alleati negli enti locali, la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. E’ diventato stucchevole continuare a sentire la litania dei suoi dirigenti, ripetuta durante la campagna elettorale, in cui si è chiesto a Salvini di lasciare l’alleanza di governo con i Cinque stelle e ricomporre a Roma quell’alleanza di tutto il centrodestra che governa già oggi moltissime regioni, a cominciare da quelle più forti. Forza Italia sembra abbia perduto la capacità di ascolto e non sembra accorgersi che continua a dire che la sua strategia è l’alleanza con Salvini, senza però proporre alcuna alternativa: per quale motivo Salvini dovrebbe cambiare la propria, rimettendo dentro il governo un partito in via di estinzione?

 

Moltissimi elettori di Forza Italia, non a caso, son passati alla Lega facendo un ragionamento semplice: se dobbiamo andare sempre con Salvini ci vado direttamente votandolo senza aspettare che mi ci porti Forza Italia. I più esperti dei fondamentali della politica questa cosa la sanno, ma molti forse l’hanno dimenticata. E la Meloni oggi lo dice in maniera esplicita, immaginando un governo di destra senza alcun centro, pronta poi ad accogliere e a omologare nel suo partito tanti centristi come Raffaele Fitto, che ha smarrito la propria memoria storica, il proprio impegno antico e quello della sua famiglia: parafrasando un vecchio detto napoleonico, Bruxelles val bene un cambio di casacca.

 

Infine c’è un dato politico ineludibile. Forza Italia è l’unico membro del Partito popolare europeo a teorizzare un’alleanza con la destra, oggi addirittura maggioritaria nella coalizione di centrodestra italiano. Una cosa impedisce al partito di Silvio Berlusconi di fare ciò che già fa Salvini, l’alleanza in periferia con tutto il centrodestra e mano libera a livello nazionale. Forza Italia dovrebbe dichiarare e fare la stessa cosa iniziando un cammino diverso, solo così recupererà quel voto centrista che è molto più diffuso di quel che si crede e che oggi altro non ha che un’offerta da un partito di destra che pratica un nuovo autoritarismo nascosto dal finto buon senso e da una cattolicità tanto ostentata quanto falsa. Il perenne leone Berlusconi vedrà lui stesso nei contatti che avrà a Bruxelles come le destre nazionaliste non hanno alcuna alleanza con i popolari. Quando uno dei suoi membri come Orbán pratica una linea diversa dal Ppe viene subito ibernato.

 

Un’altra domanda a Salvini è d’obbligo. Sino a quando questo governo continuerà nella sciagurata strategia dell’isolamento internazionale, fibrillando i rapporti nell’Eurozona con danni economici e finanziari che da un anno a questa parte colpiscono l’Italia, e minacciando di continuo fuoco e fiamme contro l’Europa ed i suoi vertici? O questa è una nuova e originale politica del buon senso oppure rischia di scivolare verso un bullismo provinciale che non si addice né al primo partito e men che meno a un uomo di governo – presidente in pectore del nuovo esecutivo – di un grande paese come l’Italia.

 

Una domanda va fatta anche al Partito democratico e ai suoi vertici. Il successo elettorale, ancorché non ancora competitivo fino in fondo, è certamente una chance per un nuovo inizio, che però necessita di un allargamento del perimetro elettorale visto che anni fa si preferì unire due culture diverse in un solo partito piuttosto che rafforzare un’alleanza strettissima tra le stesse. Oggi più che mai serve costruire un pensiero politico nuovo e compiuto, capace di offrire una risposta complessiva e comprensibile alle nuove sfide del Terzo millennio. Le due culture di fondo che animano la vita del Pd hanno la forza per approdare a questo nuovo pensiero, non solo con lo sguardo all’Italia ma anche all’Europa e all’intero pianeta, sul quale soffiano venti terribili. Sarebbe infatti un errore limitarsi ai soli problemi organizzativi, che pure sono essenziali per controllare un disordine periferico – in particolare nel Mezzogiorno nel quale pur guidando alcune grandi regioni i risultati non sono all’altezza delle altre regioni.

 

Infine una domanda provocatrice a Luigi Di Maio: fino a quando dovremo aspettare dopo questo disastro elettorale per vedere la fusione con la Lega, visto il comune modello autoritario di partito e una sintonia legislativa più forte del presunto dissidio tipico della commedia dell’arte?

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