Il corteo Lega da Porta Venezia a Piazza del Duomo (foto LaPresse)

Una giornata da leghisti

Valerio Valentini

Cosa vogliono da Salvini? Cosa pensano del governo? Dove vogliono arrivare? Cronaca di un pazzo viaggio infiltrati in un pullman di militanti da Grosseto alla piazza di Milano

La lussuosa station wagon nera entra nel parcheggio davanti al velodromo di viale della Repubblica quasi a passo d’uomo, increspando appena la superficie delle pozze che il temporale del mattino ha riempito d’acqua e fanghiglia. Dal lato del guidatore esce una figura d’uomo allampanato, l’aria da dongiovanni nella sua incipiente fase di decadimento: “Ma dove vanno – chiede – tutti questi comunisti?”. E allora subito, anonima ma rappresentativa dell’umore generale, dal nugolo di persone assiepate nel piazzale, s’alza una voce di rimando: “In culo alla tu’ ma’”.

 

E insomma che non saranno contegno e compostezza, a movimentare il viaggio, diventa finalmente chiaro – meno male, peraltro, perché da qui, da Grosseto, fino a Milano, ci vorranno più di sei ore, e le prime discussioni, invischiatesi subito sulle sorti del governo e sull’attendibilità dei sondaggi, erano già fin troppo seriose. Invece basta poco, per sfaldare quel sussiego in sbracata goliardia: basta che il pullman apra le portiere, che arrivi l’ordine della salita, e subito il clima si distende, metà assalto alla città nemica e metà scampagnata fuori porta che pare tendere quasi al pellegrinaggio quando uno dei presenti, uno sulla sessantina coi capelli già tutti bianchi, chiede senza alcuna ironia allo sconosciuto che gli sta accanto: “Ma il nostro leader ha già parlato, oggi?”. E certo sarà una coincidenza se proprio in quel momento trilla un cellulare (“Ecco la notifica”), ma tanto basta perché il tutto appaia meraviglioso, accidente provvidenziale che preannuncia la buona riuscita della giornata, se non fosse che proprio in quel momento, quando ancora ci si sta sistemando sui sedili, d’improvviso riprende a piovere. “Buongiorno Amici”, sorride bonaccione, su Facebook, Matteo Salvini. “Oggi dalle 15 riempiamo piazza Duomo, tutti a Milano, e ci riabbracciamo!”. 

 

Saremo una quarantina di persone, sul pullman. Età media assai elevata: una discreta metà pensionati e comunque parecchi sopra i sessanta. I giovani, quelli perlopiù stavano ieri notte fuori dai bar tra via Garibaldi e piazza Martiri d’Istria, coi bicchieri di plastica in mano e le cannucce colorate, e rendevano sguardi di perplessità a chi chiedeva loro se sapessero del luogo di ritrovo per la gita leghista a Milano dell’indomani. Sul pullman, una ragazza con lunghi capelli rossi, silenziosa, ansiosa di mostrarsi più grande dei suoi vent’anni, un paio di ragazzotti sulla trentina, e un adolescente soltanto, Ray-Ban in testa e doppio taglio, che passerà la maggior parte del viaggio con lo smartphone in mano, intanto che sua madre, intabarrata in un poncho sudamericano, lamenterà per ore il freddo e l’umidità.

 

Pochi giovani, dunque, e poche pure le donne: non più di otto o nove, in tutto. E però, a dispetto della loro inferiorità numerica, sono proprio loro le più operative. A prendere in mano il microfono è Barbara, grossetana cinquantatreenne e con trascorsi politici non molto fortunati in Fratelli d’Italia, che esibisce il cipiglio dell’insegnante in gita coi suoi alunni mentre procede all’appello, invocando un minuto di attenzione. In città tutti la conoscono per il suo “Opificio delle idee”, associazione con pretese culturali che in verità è diventata nota, più che altro, per aver promosso il primo “Nucleo cittadino di controllo di vicinato”, ovvero piccole ronde che dovrebbero vigilare sulla sicurezza nei quartieri. Se la si cerca su Facebook, per capire chi è la persona che si occuperà di li a poco di riscuotere dieci euro da ciascun partecipante, il secondo post che si trova sulla sua bacheca mostra la foto delle statue degli apostoli di Notre-Dame di Parigi, quelle a cui sono state momentaneamente rimosse le teste dal collo per ragioni di restauro. La bacheca di Barbara racconta, però, un’altra inconfessabile verità: “Quelle statue sono state decapitate con la fiamma ossidrica. Testimoni parlano di operai musulmani che sfogavano la propria rabbia maledicendo e insultando i vari simboli religiosi. Ora proviamo a pensare insieme agli ingredienti della ricetta: Musulmani; Libero accesso; Rabbia; Fiamma ossidrica; Decapitazione di statue; Notre dame va a fuoco. Secondo voi quali possono essere state le cause dell'incendio?”. E’ a lei che si è dovuto telefonare per prenotare un posto sul pullman, ed è lei che coordina la chat di WhatsApp dove si comunicano le varie direttive per la giornata.

 

A rovistare in buste e scatoloni, accanto a lei, è invece Paola, cinquantanovenne di origini francesi dal sorriso un po’ frivolo, da anni nella Lega di Grosseto, di cui è responsabile organizzativa provinciale. “Ecco le sciarpette”, dice mentre il pullman è ancora in manovra per uscire dal parcheggio, sventolando delle badane da concerto bianche e azzurre. E subito un paio dei militanti di lungo corso del Carroccio, nel vedersi consegnare quei foulard da concerto, protestano orgogliosamente: “A qualcuno dispiace se noi si usa quello vecchio?”, ed esibiscono il loro bavaglio verde col sole delle Alpi e il blasone del Granducato.

 

Qui a Grosseto, del resto, l’affermazione della Lega è stata meno improvvisa che in altre parti della Toscana, ed è stata preceduta da una lenta gestazione fatta di attivismo anonimo e derelitto, prima del grande trionfo. Nel 2016, alle amministrative, quando Antonfrancesco Vivarelli Colonna strappa il comune alla sinistra, il Carroccio con l’8 per cento risulta il partito più votato nella coalizione del centrodestra. Primi segnali di quel che sarebbe poi avvenuto in modo più evidente il 4 marzo del 2018, quando la Lega avrebbe sfiorato il 21 per cento eleggendo nel collegio uninominale della città un suo candidato cresciuto nelle file della destra sociale, Antonio Lolini.

 

Che oggi se ne sta lì, quasi accartocciato sul suo sedile nelle retrovie, parlando solo a bassa voce e limitandosi perlopiù a osservazioni sul tempo balordo. “L’onorevole”, lo chiamano tutti: ma più col tono canzonatorio con cui nei circoli di paese ci si rivolge al compagno del tressette apostrofandolo a mo’ di sfottò con la carica elettiva che ricopre all’interno di quella istituzione farlocca (“L’onorevole vorrebbe sapere a che velocità si va, perché ‘gli è un po’ stanco”). L’altra star di giornata è Luca Grisanti, primo cittadino di Campagnatico, 2500 abitanti nella Valle dell’Ombrone, eletto nell’estate del 2017 con una lista civica e poi di fatto acquisito dalla Lega: sarà uno dei sindaci che Salvini farà sfilare in testa al corteo milanese, donandogli un pomeriggio di gloria che lui immortalerà con una foto dal palco: “Da qui facevate un effetto bellissimo”, scriverà in serata ai suoi amici. Ora, col suo vicino di pullman, discute di reddito di cittadinanza: e ne discute come lo farebbe Carlo Calenda, forse, e cioè criticandolo come una forma di dispendioso assistenzialismo ed evidenziandone le storture più grottesche: “Praticamente, in molti casi, conviene non cercarlo nemmeno, un lavoro”.

 

Di politica nazionale si discute parecchio, in effetti, nella prima parte del viaggio. E ciò che in generale colpisce, nei vari conciliaboli, è la mancanza di quel baldanzoso ottimismo che ci si attenderebbe dai sostenitori di un partito che pare avviato a stravincere le elezioni di domenica prossima. E un po’ è prudenza (“I sondaggi non contano: per me stiamo ancora al 17 per cento del 4 marzo”), un po’ magari è anche scaramanzia (“’un diciamo nulla, che ‘un si sa mai”), ma sta di fatto che l’umore dei leghisti grossetani è abbastanza nero: “Questo governo ’un mi garba per nulla, ma finché la barca va...”, sospira Andrea, dipendente del comune di Grosseto che sfoggia degli appariscenti occhiali bianchi e fucsia che recano la scritta “Vota Vizzotto”. “I grillini son dei grulli, matti da legare, imprevedibili. Sono degli scappati di casa...”, conferma Carlo, sessantadue anni, una lunga carriera in Ascom Confcommercio e l’aria di chi la sa lunga, venendo interrotto dalla voce di Paola, che passa di nuovo tra i sedili a distribuire braccialetti di gomma con su scritto “Il buonsenso in Europa. #26maggiovotolega”.

 

I discorsi si susseguono scomposti, prendendo spunto dalle impressioni del momento. Si chiede all’autista di accendere la radio, e immediata scatta l’invettiva: “Ma cos’è ‘sta cosa che Matteo ora vuole salvà Radio Radicale? A me ‘un mi torna, ci deve esse’ quarcosa sotto. Pannella a me m’ha sempre fatto schifo”. C’è chi rinnova il piagnisteo salviniano sul complotto delle procure (“Ci riprovano, come con Berlusconi: è un bombardamento a tappeto”), c’è chi nota, fuori dal finestrino, delle pale eoliche che abbrutiscono la monotonia sonnacchiosa della Maremma, coi suoi maneggi e le sue porcilaie, e allora insulta Greta Thunberg. E poi c’è Paola, che infaticabile prosegue con la distribuzione dei gadget sovranisti: “Ci sono solo la M e la XL”, dice riferendosi alle t-shirt ancora incelofanate.

 

La prima sosta è alla periferia di Follonica, sul piazzale di un hotel un po’ anonimo dove, ad aspettarci con le stesse facce stravolte dal sonno non finito del sabato mattina, sono in cinque o sei. Tra questi c’è Roberto, la cui apparizione viene salutata dall’interesse generale delle prime file, ansiose di ricevere ragguagli sui sondaggi. “Secondo me ce la si può fare, al ballottaggio”, sentenzia lui, con fare oracolare. “E CasaPound?”, chiede Paola, mentre pesca da una scatola delle matite che ricordano a tutti come votare il 26 maggio (“Due a testa, tanto ce n’è un mucchio”). “Eh, CasaPound ci si dovrà lavorare”, sibila Roberto, dentista affermato coi capelli ingelatinati che pare rassegnarsi a stento all’età che avanza, candidato al consiglio comunale della sua città alle amministrative di fine mese. “Ci si dovrà lavorare perché il voto, per il ballottaggio qui a Follonica, gli andrà chiesto sotto banco, sennò rischiamo di perderci il sostegno dei moderati. E poi, in più, riattaccano con la storia del fascismo”. Ed è un attimo, e attraverso un discorso logicissimo, nella sua sgangheratezza, si finisce con l’impantanarsi in una dotta dissertazione storiografica sul saluto romano. “Ora tutti a scandalizzarsi, ma se ci pensate è un gesto naturale. Un’abitudine inveterata del genere umano, e infatti per quello gli antichi romani lo adottarono”. “Come se poi davvero solo i nazisti avessero fatto stragi. E i gulag, allora? E il milione e mezzo di tibetani sterminati dai cinesi?”. “Ma infatti. E nemmeno gli americani han tirato coriandoli su Hiroshima e Nagasaki, eh. O pensa anche al napalm in Vietnam”. “A Grosseto mitragliarono una giostra di bimbi, altroché”. E la conversazione proseguirebbe ancora, se non fosse che Paola si fa di nuovo largo, sgomitando e brandendo in aria delle scatole contenenti degli strani dischi di plastica col solito logo leghista. “Sono salviette per le mani”, dice, e la prima a essere poco convinta è proprio lei, che induce quasi tutti a metterle da parte senza troppe domande. Ed è un bene, perché invece quei pochi che si lasciano prendere dalla curiosità, si accaniscono su quei bizzarri dischi apparentemente impossibili da aprire: e così qualcuno li addenta per forzarne la chiusura, qualcuno riesce come può a estrarre una specie di rotolino di garza del tutto asciutto, mentre il liquido umettante schizza fuori in zampilli che producono bestemmie. E non c’è tempo per la protesta, però, perché di nuovo irrompe la voce esultante di Paola: “C’è un’altra cosa!”, e sventola delle shopping bag con Alberto da Giussano impresso sopra. Abbondanza di chincaglieria, esibizione di efficientismo organizzativo, sfoggio di abbondanza: “Oh, con la borsetta della Lega ci vo’ a fà la spesa alla Coop”.

 

Il dibattito sulla sosta nasce mentre le Apuane, nella loro improvvisa mastodontica superbia, s’impongono alla nostra vista, in lontananza sulla destra, e il frutto della loro commercializzazione sta accatastato a pochi metri dalla carreggiata su cui procediamo, in parallelepipedi regolari con decine di variazioni di bianco. “Mattiamo a votazione, perché noi siamo altamente democratici”, dice Barbara. E il sondaggio stabilisce che l’Autogrill prescelto per la sosta sia quello di Sarzana. E’ il momento della seconda colazione, e tutto assume un clima straniante e conviviale, inquietantemente cameratesco, quando ci si ritrova a fare apprezzamenti sulla tipa al bancone del bar, o in fila davanti agli orinatoi, uno accanto all’altro come un plotone schierato, col palmo della mano poggiato contro le piastrelle in un gesto collettivo e stranamente coordinato, a sospirare di sollievo per la vescica finalmente liberata. “Hanno incrociato il pullman sbagliato per fare i ganzi”, sbuffa pochi minuti dopo Massimiliano, giovane cacciatore impiegato in una cantina che produce Morellino, barba nera curatissima e un piercing sul labbro, quando due ragazzotti, in fila alla cassa, lo urtano involontariamente. Ma è un attimo, poi tutto si rasserena. Aspettiamo che arrivino anche i livornesi, per proseguire insieme il viaggio verso Milano. E si capisce immediatamente che lì il clima è più euforico. Lo si capisce quando dalla portiera del loro pullman esce un manipolo di ragazzi con giubbotti di pelle e jeans strappati, immotivatamente esaltati e con in testa gli stessi occhiali (“Vota Vizzotto”) che porta Andrea, solo che in questi il bianco vira al rosa, anziché al blu. Elena Vizzotto è lì, in mezzo a loro, nel ruolo che un ragazzo di Ardenza, nel raccontare la sua giornata, definirà di “animatrice”. Lei in realtà è tesoriera del partito, in Toscana, candidata alle europee del 26 maggio: per questo va votata. Chi invece a Livorno la sua apoteosi l’ha già vissuta è Manfredi Potenti, approdato alla Camera l’anno scorso, che si gode la giornata in mise casual, e quando sale sul nostro pullman per un rapido saluto viene accolto da tutti – anche da quelli che mezz’ora prima lo definivano “uno inaffidabile”, perché “a Livorno non si sa cosa sta combinando, ma ne sta facendo di cazzate” – con cori di giubilo.

 

D’ora in avanti, in effetti, le discussioni verteranno assai più sulle beghe locali, che non sulle polemiche nazionali. E basta ascoltarli per un paio d’ore, questi militanti leghisti, per capire che, anche in Toscana come altrove, il partito che si pretende granitico è invece scosso da inimicizie e tensioni interne, sopite al momento dal consenso elettorale. Ma che i rancori covino sotto la cenere dei sondaggi, diventa chiaro quando Carlo e Paola parlano di Susanna Ceccardi, il grande capo del Carroccio toscano e fedelissima di Salvini. “Una miracolata”, dice Carlo. “Una che quando cammina porta in testa sempre questo”, aggiunge, e con le mani disegna sulla sua fronte una specie di rombo dall’inequivocabile significato. “La Toscana ha problemi enormi sulla sanità e sullo sviluppo economico, e questa continua a parlare sempre e solo di migranti e di sicurezza. Ma pensiamo davvero di vincere la regione così, l’anno prossimo?”. Viene considerato scontato, qui, che sia lei la candidata della Lega per la successione a Enrico Rossi. E anche questa sua ubiquità ha generato malumori, nei giorni scorsi. “Perché non puoi essere commissario regionale, consulente al Viminale, candidata alle europee, sindaco di Cascina e già pensare alle regionali. Ora è pure incinta. Ma come fa?”. “E’ un’arrogante, non ha umiltà. Salvini quando parla di immigrati lo ha un certo modo, lei schiuma rabbia, è davvero razzista”.

 

E invece voi, voi cosa siete? Voi che appena si arriva alle porte di Milano, appena ci s’infila nelle vie del Corvetto, alla vista del primo nero che chiede l’elemosina fuori dal supermercato cominciate a mugugnare, a urlare “fai schifo” da dentro al pullman, come se potesse sentirvi, e battete pure i pugni contro il finestrino: voi non siete razzisti? Questo verrebbe da chiedere. Solo che poi, a rifletterci bene, ci si ritrova a passare in rassegna i compagni di viaggio, e ci si accorge che le sei ore precedenti le si è condivise perlopiù con professionisti, medici affermati in città, avvocati civilisti con studi rinomati perfino a Firenze, geometri e impiegati pubblici: gente che ha hobby neppure troppo economici, che tiene la barca, per quanto striminzita, già messa a punto per l’estate, che frequenta abitualmente i circoli tennis di Grosseto e che cita a memoria i ristoranti della Versilia. Nulla di davvero lussuoso, ma neppure quella povertà proletaria a cui i sovranisti dicono di avere donato una protezione. Tutto a un passo dalla realizzazione piena, prima che qualcosa si inceppasse. E allora viene da pensare che forse non è dal razzismo che scaturisce questo odio per il diverso, ma semmai dal risentimento per non essere riusciti davvero ad appagare i propri sogni, le proprie smanie di malinteso benessere che qualcosa è arrivato a rovinare: e siccome quel qualcosa deve pure avere un volto, allora l’eritreo che sta col cappello in mano fuori dalla Esselunga, e che di certo quindici o vent’anni anni fa – quando “le cose andavano bene” – lì fuori non c’era, è di sicuro colpevole. E infatti nel corteo che seguirà, che partirà dai bastioni di Porta Venezia per arrivare fino al Duomo, molta della mistica degli slogan si concretizzerà nel feticcio di una imprecisata liberazione. “Umbria?”, gridano i capipopolo. “Libera”, risponde il popolo. “Firenze?”. “Libera”. E così via. E dunque Roma va liberata dai Cinque stelle, l’Umbria va liberata dal Pd, il Veneto autonomista va liberato dall’Italia, l’Italia liberata dall’Europa, l’Europa va resa “libera” da... Da cosa? “Dai barconi, dai buonisti, dai burocrati e dai banchieri”, urlano gli animatori del corteo. “Mi te bati minga i man, perché e capisi nient de quel che te se drè a dì”, sbufferà più tardi in mezzo alla piazza, durante il comizio in francese di Marine Le Pen, una signora brianzola, settant’anni, rivolgendosi a una sua coetanea livornese, e ricevendone uno sguardo interdetto. Poi subito una folata di improvvisa euforia investe la folla, tutti urlano di gioia e di rabbia, e allora anche la signora brianzola si ritrova a gridare: “Brava. Brava. Tutti fuori dalle palle, brava”. E anche la livornese grida insieme a lei.

Di più su questi argomenti: