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La sfida Salvini-Calenda è quella giusta per capire cosa c'è in ballo alle europee

Un voto per l’Europa, ma non solo. Perché il leader della Lega e l’ex ministro sono i candidati che meglio incarnano lo scontro fondamentale in atto: quello tra chi crede nella chiusura e chi crede nell’apertura

Il problema è tutto lì: in politica, così come nella vita, si può essere o no parzialmente incinta? A pochi giorni dalla fine della campagna elettorale – durante la quale i partiti che hanno promesso di rivoluzionare l’Europa sono sempre stati molto attenti a parlare di tutto tranne che di Europa, per evitare di rendere eccessivamente palese il fatto di non avere la minima idea di cosa significhi cambiare davvero l’Europa – ci sono molti temi che si potrebbero affrontare per tentare di trarre qualche conclusione relativamente allo scontro tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione. Il tema forse più importante e meno indagato in queste ultime settimane di campagna elettorale riguarda un concetto che dovrebbe essere chiaro ma che invece è stato misteriosamente trascurato da buona parte degli osservatori: ma esattamente, noi, su cosa ci stiamo dividendo? In Italia, buona parte dei mezzi di informazione ha scelto di cadere nella trappola tesa dai due sovranismi di governo e ha accettato in modo a volte un po’ supino di credere alla favola offerta da Salvini e Di Maio agli osservatori più pigri e distratti: la storia di questa campagna elettorale siamo noi, la nostra divisione, i nostri litigi, il nostro essere alternativi.

 

Credere a questa favola, alla favola dell’alternativa tra Di Maio e Salvini, ha contribuito a trasformare la corsa elettorale più in una campagna focalizzata sui temi italiani che in una campagna focalizzata sui temi europei. E uno dei motivi per cui il M5s e la Lega hanno scelto di far diventare i temi di politica interna più importanti dei temi di politica europea è legato al fatto che per Lega e M5s sarebbe stato complicato sui temi di politica europea fare quello che sono riusciti a fare sui temi di politica interna. Ovvero: dimostrare il loro essere alternativi. La visione dell’Europa del M5s e della Lega, come ci raccontano oggi nello splendido monografico Paola Peduzzi e Micol Flammini, è perfettamente simmetrica e perfettamente complementare. E per questo, per capire quali sono le vere divisioni culturali e politiche che si nascondono all’interno di questa campagna elettorale, occorre allontanarsi dalle polemiche interne al governo e concentrarsi su quella che è simbolicamente una sfida che più delle altre sintetizza lo scontro tra due visioni pienamente e fieramente alternative dell’Europa. E quello scontro, se vogliamo, è quello che si andrà a manifestare nel collegio del nord-est, tra Carlo Calenda (capolista per la lista Pd-Siamo Europei) e Matteo Salvini (capolista per la lista della Lega).

 

Il problema è tutto lì: in politica, così come nella vita, si può essere o no parzialmente incinta? Se ci si pensa bene, il dato interessante della campagna elettorale tra Calenda e Salvini è che al centro della loro corsa vi è una volontà esplicita e chiara: non avere vergogna a presidiare senza ipocrisie una delle due metà campo disponibili sul terreno di gioco. Lo scontro tra il modello Calenda e il modello Salvini è lo scontro più genuino e interessante che esiste in questo momento in Italia perché mette a confronto due visioni del mondo diametralmente opposte.

 

E’ lo scontro tra chi considera l’integrazione dell’Europa un problema da risolvere perché non è abbastanza veloce e tra chi lo considera invece un problema perché la vera sovranità un paese la ottiene proprio rallentando quel processo di integrazione. E’ lo scontro tra chi considera la globalizzazione un fenomeno da governare e chi invece lo considerare un avversario da arginare. E’ lo scontro tra chi crede che il modo migliore per far sentire più al sicuro i propri cittadini sia scommettere sulla protezione offerta dall’Europa, l’unione come forza non come debolezza, e tra chi invece crede che il modo migliore per far sentire più al sicuro i propri cittadini sia scommettere sulla protezione offerta dal protezionismo. E’ lo scontro tra chi crede che i problemi dell’Italia siano da individuare più in ciò che non fa l’Italia che in ciò che non fa l’Europa e tra chi crede che i problemi dell’Italia siano da individuare non in ciò che non fa il nostro paese ma in ciò che non fa l’Europa. E’ lo scontro tra chi non dimentica gli anni di benessere, di pace e di prosperità garantiti dall’Europa e tra chi invece sceglie di considerare il progetto europeo sacrificabile sull’altare della grammatica anti sistema. E’ lo scontro tra chi considera la stabilità finanziaria di un paese non un ostacolo da superare ma un principio da tutelare e chi invece considera la stabilità finanziaria di un paese qualcosa a cui rinunciare, qualcosa facilmente sostituibile magari anche con l’aiuto di un’altra moneta. E’ lo scontro tra chi sa che porsi al di fuori dell’Unione europea può portare a maggior indipendenza nelle politiche economiche ma non necessariamente a una maggiore sovranità e chi considera invece l’Unione europea come una benda che toglie fiato ai paesi sovrani. E’ lo scontro, in definitiva, tra chi, in modo più o meno ordinato, in modo più o meno pasticciato, in modo più o meno credibile, ha capito che in una fase storica come quella attuale, come quella in cui viviamo oggi, non si può essere parzialmente incinta, non si può essere poco poco sovranisti o poco poco anti sovranisti, ma bisogna scegliere se stare o di qua o di là. “Se c’è una cosa che ammiro di Merkel e Macron – ha detto Steve Bannon dialogando lo scorso ottobre con Giuliano Da Empoli sul Foglio – è che non nascondono il loro programma. E’ importante che la gente capisca: non c’è alcun complotto! Tutto viene detto apertamente, alla luce del sole! Macron ha pronunciato un discorso un anno fa nel quale ha tratto le logiche conseguenze del progetto europeo, della visione di Jean Monnet. Molto in dettaglio e in modo del tutto coerente. E’ un disegno fatto di ulteriore integrazione politica, di ulteriore integrazione commerciale, di ulteriore integrazione dei mercati di capitali. In pratica si tratta degli Stati Uniti d’Europa, dove l’Italia diventa la Carolina del sud rispetto alla Francia che è la Carolina del nord, ok? Ora, se credi in questo, e ti piace, vuol dire che credi nel progetto di Macron. Salvini, Orbán, Marine Le Pen e le altre voci del movimento populista nazionalista dicono di no. Lo scontro è tutto qui, tra quelli che in Europa pensano che gli stati nazionali siano un ostacolo da superare e quelli che pensano che siano un gioiello da preservare”.

 

Lo scontro è tutto qui. E il 26 maggio i voti non saranno gli stessi, le preferenze non saranno le stesse, i consensi non saranno gli stessi ma se c’è una sfida culturale che ha un senso studiare per il futuro, quella sfida è tra chi crede nell’apertura e chi crede nella chiusura. E tra i candidati alle prossime europee, coloro che meglio incarnano questo scontro – provocando, indignando, dividendo, facendo discutere – sono Carlo Calenda e Matteo Salvini. Apertura vs chiusura. Solo il tempo ci dirà se quelli attuali sono i partiti che meglio possono interpretare il vero scontro che vive nel cuore dell’Europa assediata dal sovranismo e se l’incontro che ci sarà stasera a Milano (quello tra Renzi e Calenda alle 20.30 all’Auditorium della Fondazione Cariplo) è un incontro che può indicare un’altra via alternativa al nazionalismo (e all’Europa che russa: ops!).

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