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Insofferenze liberali verso Zingaretti e Salvini

David Allegranti

I moderati del Pd e di Forza Italia soffrono il segretario dem e il leader della Lega, malumori e prospettive organiche

Roma. L’apparente stato d’equilibrio fragile del Pd cela uno spirito facilmente irritabile. Basta una frase di Graziano Delrio considerata troppo allusiva o improntata a eventuali operazioni consociative con i Cinque stelle per far saltare sulla sedia le minoranze, consapevoli che dopo le europee qualcosa potrebbe succedere. O forse già sta succedendo. I renziani o i diversamente renziani sparpagliati nelle varie correnti postcongressuali appena sentono le parole “dialogo” o “confronto” – anche solo riferite a circostanze parlamentari su tematiche precise come le misure a sostegno delle classi sociali svantaggiate – mettono mano alla fondina di Twitter e imbracciano gli hashtag: #senzadime. Lo dicono tutti, da Maria Elena Boschi a Anna Ascani. Lo dice al Foglio Roberto Giachetti, che accusa Nicola Zingaretti di essere poco chiaro per non dire poco trasparente sulle intenzioni future del Pd: “Prima faceva interviste alla Smeriglio”, cioè nelle quali teorizzava intese con i Cinque stelle, come da sempre fa Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della regione Lazio e braccio sinistro di Zingaretti, oggi candidato al Parlamento europeo con il Pd. “Poi a ‘Porta a Porta’ ha dato una risposta ambigua sul reddito di cittadinanza”, dice Giachetti, che ammette di essere preoccupato per l’atteggiamento ondivago del suo segretario. “Ha stretto un accordo con i fuoriusciti per farne rientrare qualcuno; lui dice che non è un rientro ma di fatto lo è. E’ tranchant sul no all’alleanza con i Cinque stelle ma alle europee candida Smeriglio che sosteneva la necessità di un accordo con i Cinque stelle”. Insomma, dice Giachetti, sembra esserci un piano.

   

“Ora esce Delrio che subito dopo le primarie si era consegnato mani e piedi a Zingaretti parlando di ‘grande risultato’. E Delrio è uno di quelli che si erano spinti in avanti per l’accordo con il M5s prima di essere stoppati da Renzi”. In più per ora la strategia del segretario, dice Giachetti, non funziona, “non stiamo esplodendo di consensi, non guadagniamo nulla neppure con Articolo1”. Aggiungiamoci pure “la proposta di legge sull’aumento per la paga dei deputati”. Tutti aiuti che sembrano fatti apposta per facilitare gli avversari, dice l’ex candidato alla segreteria del Pd: “E poi dicono che il fuoco amico lo facciamo noi!”. Concorda anche l’ex presidente del Pd Matteo Orfini, che con i Cinque stelle non vuole nemmeno sedersi a tavola, perché “con queste nuove destre il Pd non può e non deve avere nulla a che fare”; d’altronde Di Maio è quello che “ha prodotto un paese in recessione, il crollo dell’occupazione e la demonizzazione dei più fragili per seguire Salvini”. Insomma, fuori dai denti: non è che la prossima scissione potrebbe essere da destra, con parte delle minoranze riformiste pronte a staccarsi? Il tema è sentito nel Pd, una parte del quale tiene aperto ogni scenario, compreso quello che adesso viene scacciato via con forza, perché ci sono le europee e c’è quantomeno da capire quanto prenderà il partito di Zingaretti contro populisti e sovranisti. Non solo, ci sono anche le amministrative in diverse città importanti, ci sono le elezioni regionali in Piemonte… Insomma, il fragile equilibrio del Pd è destinato a durare quantomeno fino alla fine di maggio. Poi si vedrà. Intanto però di fronte a chi apre interlocuzioni con i grillini c’è chi rispolvera appelli centristi. Lo fa Lorenzo Guerini nell’intervista al Foglio a pagina tre, lo fanno altri del Pd come il senatore Ernesto Magorno, che dice: “E’ fondamentale pensare al Pd come a un partito aperto, capace di parlare alle persone e di coinvolgere i moderati”. L’insofferenza riformista non è tuttavia circoscritta al solo Pd ma si allarga anche a quella parte di Forza Italia che non vuole morire salviniana, a cominciare da Mariastella Gelmini, della quale viene riferita la preoccupazione per la incessante deriva leghistoide del centrodestra. C’è tuttavia un problema non da poco. Il condominio liberal-democratico è parecchio affollato, visto che al centro guardano – con prospettive diverse – in parecchi, da Carlo Calenda allo stesso Matteo Renzi, che è in attesa di assistere a qualche schianto (dal M5s allo zingarettismo). I generali dunque sono molti, l’esercito quanto sarà numeroso?

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.