Giancarlo Cancelleri al voto a Caltanissetta (foto LaPresse)

Dove i Cinque stelle governano, i Cinque stelle scricchiolano (dalla Sicilia in su)

Marianna Rizzini

I grillini prendono voti in fretta, ma li perdono altrettanto in fretta nei luoghi in cui la realtà li assale

Roma. La rivoluzione dal basso, la democrazia diretta, il Signor nessuno nella stanza dei bottoni e il teorema di Gela (chiamiamolo così): i Cinque stelle prendono voti in fretta, ma li perdono altrettanto in fretta nei luoghi in cui la realtà li assale. E’ successo domenica alle amministrative nella suddetta Gela, città dove Domenico Messinese, ex sindaco del M5s poi espulso, era già stato messo in minoranza dal suo stesso partito – ma anche se il M5s, come ad allontanare l’ombra della sconfitta, dice oggi che il sindaco non era più da tempo parte della baracca, resta il fatto che Gela, che ora ha abbandonato i Cinque stelle, è stata una delle città in cui il movimento ha visto il suo primo boom. Ed è successo a Bagheria, dove l’ex primo cittadino del M5s Patrizio Cinque (anche in questo caso “non più” del movimento dopo l’autosospensione per problemi giudiziari) aveva già fatto da detonatore allo scatenarsi di opposte pulsioni interne attorno all’acquisto di un cosiddetto “ecomostro” da destinare a un futuro forse alberghiero (mai sfidare, nei Cinque stelle, l’immagine ecologista dei Cinque stelle).

  

 

Ma in generale vanno male, i grillini, nell’isola che simbolicamente è stata trampolino e anticamera del successo, fin dalla bracciata trionfale di Beppe Grillo attraverso lo Stretto, nel 2012, con seguito via terra, di corsa per paesi e piazze, tra curiosi e speranzosi, come una specie di Forrest Gump del “vaffa”. E anche se il leader locale del M5s Giancarlo Cancelleri vuole oggi vedere il bicchiere mezzo pieno (“se gli italiani avessero in questi anni avuto la possibilità di trovare al centro del dibattito i risultati concreti dell’azione politica anziché le opinioni, probabilmente non avremmo perso l’abitudine di valutare i numeri anziché le chiacchiere”, ha detto su Facebook, aggiungendo che “la legge delle alleanze e delle coalizioni” non ha premiato i candidati grillini), stavolta la massima autoassolutoria “è colpa di quelli che c’erano prima” – massima che funziona quasi ovunque in campagna elettorale e nei primi mesi di governo a cinque stelle – non può essere pronunciata: prima c’erano loro, i Cinque stelle medesimi. E c’erano loro anche nei tanti “altrove” italiani dove, a ogni voto – non importa se amministrativo o politico – quasi sempre si conferma un fatto: che il M5s, alla prova di governo, fa perdere consensi al M5s.

 

Esempio degli esempi: la Roma di Virginia Raggi dove, nella primavera-estate del 2018, a poco meno di due anni dalla vittoria di Raggi, i cittadini hanno prima rieletto alla regione Lazio Nicola Zingaretti, già governatore e futuro segretario Pd, e poi, nei municipi, hanno sanzionato i loro ex beniamini da tsunami tour, con una generale tendenza al ribasso e alcuni dati abnormi – nel primo municipio il M5s passava dal 24 al 12 per cento; nel IV, in periferia, dal 37 al 24; nell’VIII e nel III si assisteva alle vittorie a sinistra di Amedeo Ciaccheri e Giovanni Caudo. E nella Torino dove Chiara Appendino era stata eletta nel 2016, il M5s, alle politiche 2018, perdeva circa cinque punti. Giustificazione: malumore dei cittadini, spiegava il sindaco, dovuto “alle scelte dettate dal gravoso impegno di rimettere in ordine i conti della città” (variante del leitmotiv suddetto – “è colpa di quelli che c’erano prima”).

  

Anche dove un sindaco a cinque stelle pareva, all’inizio, meno lontano dalla realpolitik – per esempio nella Livorno di Filippo Nogarin, eletto nel 2014 – il teorema in qualche modo ha colpito: Nogarin non si ricandida (corre per le europee, dopo aver dichiarato apertamente le difficoltà che l’hanno portato a non voler ripetere l’esperienza amministrativa, anche per via dell’inchiesta sull’alluvione), e i sondaggi non sorridono certo al Movimento. Per non dire dell’Abruzzo, dove il M5s, dopo una campagna tonitruante (con Sara Marcozzi e Dibba), non soltanto non ha ottenuto la presidenza della regione, due mesi fa, ma, rispetto alla politiche, ha perso quasi il venti per cento (hai voglia a dire “però queste erano amministrative”: sarà stato forse l’effetto “gialli al governo schiacciati dai verdi”, ma, in Abruzzo, tra gli elettori che hanno dichiarato di aver votato i Cinque stelle nel 2018, dice un’analisi Swg, molti non hanno ripetuto la scelta nel 2019: il 46,6 per cento si è astenuto e il 21 per cento ha cambiato partito. Sembra esserci finora una sola eccezione al tracollo post governativo: Federico Pizzarotti, eletto sindaco di Parma nel 2012 e nel 2017. Ma (non a caso) al momento della rielezione non militava più, e da tempo, nei Cinque stelle.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.