Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Mattarella certifica che quella sulla legittima difesa è una pessima legge

Redazione

Il Capo dello Stato promulga il testo ma invia una lettera ai presidenti delle Camere e al premier Conte per evidenziare le sue perplessità. L'avvertimento è chiaro: il rischio caos è imminente

Simultaneamente alla promulgazione della nuova legge sulla legittima difesa, Sergio Mattarella ha reso note le sue perplessità in merito ad alcune incongruenze del provvedimento. La più rilevante riguarda lo “stato di turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”, che giustifica la reazione anche se questa arriva all’omicidio. Mattarella chiede in sostanza che questo principio non diventi automatico, che sia necessario dimostrare il rapporto tra pericolo e turbamento, il che, in forme nuove, riapre la possibilità di intervento della magistratura per accertarlo.

 

Oltre a questa osservazione, che sembra fatta apposta per invitare la magistratura investita di un caso del genere a eccepire l’incostituzionalità di una norma troppo imprecisa, il presidente della Repubblica sottolinea alcune contraddizioni che determinano squilibri poco giustificabili. Le spese di giudizio vengono accollate allo Stato in caso di legittima difesa “domiciliare”, ma non in luoghi diversi dal domicilio; inoltre si prevede la possibilità di ottenere la condizionale se si risarcisce il danno per il furto con strappo o in appartamento, ma non per la rapina, il che porterebbe all’assurdo che si può ottenere la sospensione della pena senza risarcimento per un reato più grave, appunto la rapina.

Se con la prima delle sue osservazioni Mattarella sostanzialmente critica la genericità e il tentativo di introdurre un automatismo improprio, con le altre mette in luce errori di stesura della legge, il che equivale, nel linguaggio formale del Quirinale a una tirata d’orecchi al governo per incompetenza.

 

Qualcuno può chiedersi perché, allora, abbia promulgato la legge, rendendola effettiva. Non ravvisando gli estremi della evidente incostituzionalità, il presidente rinvia l’esame di merito alla magistratura e alla fine alla Consulta, mentre sottolinea i pasticci combinati nella stesura del testo, con un implicito invito al governo a correggerli. In questo modo non crea polemiche su una opzione politica che non spetta al Quirinale, ma allerta le Camere sulla situazione di confusione creata da una legge mal fatta. Senza uscire dall’ambito delle sue prerogative, ma senza rinunciare a farle valere in modo chiaro. Chi vuole intendere intenderà.

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