Raffaello De Ruggieri con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (foto LaPresse)

L'uomo dei sassi

Marianna Rizzini

Raffaello De Ruggieri, sindaco visionario della Matera capitale europea della Cultura, “giovane anziano” per autodefinizione

Strana la vita, anche delle città. Succede che la giovane sindaca di Roma Virginia Raggi si trovi, dopo tre anni di sindacatura a dir poco non memorabile, a dover ora rispondere di presunte pressioni sull’ex ad di Ama. E succede che a Matera il sindaco quasi ottantaquattrenne Raffaello De Ruggieri diventi esempio non formale di fantasia creativo-governativa. “Io sono un giovane anziano”. L’ha detto lui, De Ruggieri. L’ha detto non più tardi di tre mesi fa, al momento di dare avvio ufficiale all’anno di Matera “capitale europea della Cultura”. L’ha detto nel bel mezzo di un discorso dall’energia visionaria talmente fulminante che, se la Lucania fosse la Silicon Valley, De Ruggieri potrebbe benissimo sembrare, giovane anziano quale è, un nuovo e agguerrito Steve Jobs. E se Jobs diceva “siate affamati, siate folli”, De Ruggieri dice che a Matera non c’è “asfissia di futuro”, ma passione viscerale e formidabile “spinta aggregativa” dei cittadini che, con la loro “costanza”, hanno reso “inevitabile” ciò che pareva “altamente improbabile”: sbaragliare i concorrenti nel cuore e nelle menti dei commissari Ue. Si parla dunque di lui (anche oltreoceano, dopo che l’ha intervistato il New York Times), tanto più ora che Matera deve inaugurare la nuova stazione della ferrovia Appulo Lucana (a firma Stefano Boeri), simbolo di uno “scollegamento” da collegare, anche se non necessariamente soluzione al problema dell’isolamento non soltanto geografico.

 

Intervistato dal New York Times, ascoltato da chi non vede nella città “asfissia di futuro” ma “passione collettiva” viscerale

E si parla di lui, De Ruggieri, come dell’uomo che ha rovesciato, nel suo piccolo, il paradigma vittimistico da questione meridionale pigramente irrisolta in opportunità senza lagna: non è l’Italia che dà a Matera, è Matera che “ha qualcosa da offrire al paese: la carica di energia”, ha detto all’inaugurazione dell’anno di gloria europea, di fronte al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E si commuoveva, nel dirlo, in piedi con la fascia tricolore, e sorrideva con tutto il viso e con gli occhi lucidi quando si autodefiniva “gratificato” nel vedere un sogno che si avverava, perché Matera, un tempo definita “vergogna nazionale”, si faceva capitale della Cultura. Vergogna nazionale: cioè la città che il governo De Gasperi, nel 1952, dopo varie illustri denunce sulla condizione di vita nei Sassi (Primo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”, e poi Palmiro Togliatti), rese destinataria della legge speciale anche detta legge dello “sfollamento”: trasferimento di diciassettemila uomini (e in alcuni casi animali) e ricollocamento degli stessi nei quartieri del risanamento, nuova vita per molti snaturata perché, come ha scritto Simonetta Sciandivasci su questo giornale, nei Sassi “era vero che si moriva, ma era pure vero che si viveva, e certe volte si era felici. Questo non si dice mai, perché non ne ha scritto nessuno, perché è stata più forte la narrativa della ‘dolente bellezza’, ma ci sono alcune foto che Fosco Maraini e Cartier-Bresson scattarono nei Sassi negli anni Cinquanta e tutto c’era, in quelle immagini, tranne che un’umanità collassata, riversa, imbestialita. Il punto è sempre lo stesso: Matera è imprendibile, è un mostro selvatico, e quando le si fa del bene le si fa anche del male”.

 

 

 

Crede nella spinta vitale cittadina che ha reso “inevitabile” ciò che era “altamente improbabile” (la candidatura Ue)

E insomma De Ruggieri, il giovane anziano, aveva poco meno di vent’anni al momento dello sfollamento. E avendo vissuto quella salvazione-trauma, gli è rimasto forse un senso di straniamento, oltre alla voglia di riscattare un luogo e una memoria personale e collettiva. Sarà forse per questo che De Ruggieri, prima di fare il sindaco (dal 2015), è stato scopritore di segreti nascosti nei Sassi. Poi, a ottant’anni, è stato protagonista di una campagna elettorale per certi versi sorprendente: da avvocato e fondatore della fondazione Zètema per il recupero e la valorizzazione del patrimonio artistico locale, ha vinto all’inizio le “primarie aperte” indette dall’associazione “Matera 2020” per la scelta di un candidato senza vincoli di appartenenza politica (ma gravitante di fatto tra il centro e il centrodestra), e alla fine ha vinto pure le elezioni, superando il sindaco uscente di centrosinistra Salvatore Adduce, altra istituzione in città. E anche nel dualismo tra i due, e nel loro incontro-scontro, sta una delle chiavi della storia recente della Matera che sbaraglia tutte le altre città candidate, a dispetto della geografia e dei trasporti e delle infrastrutture e di quella che, al momento della scelta della capitale europea per il 2019, era lo stato dell’arte (progetti, visione) in città. Chi è stato il demiurgo, tra i due? si sono domandati cittadini ed esegeti di miracoli lucani. Adduce, che era sindaco quando la scelta è stata fatta e che, da non-neofita dell’amministrazione (consigliere comunale a Ferrandina per il Pci negli anni Ottanta, deputato e senatore ai tempi dei Ds e dell’Ulivo), sapeva muoversi e rilanciare tra rivalità politiche e intoppi delle burocrazie? Oppure De Ruggieri? Ovvero l’uomo che da molto prima di diventare sindaco aveva visto, prima di tutto con gli occhi della mente, una Matera che si innalza sulle spalle dei suoi Sassi, e dal cui scrigno di terra lui stesso, da presidente dell’allora circolo “La Scaletta” per la ricognizione del patrimonio rupestre della città, aveva contribuito alla scoperta e all’uscita non metaforica dal buio della cosiddetta “Cappella sistina della Lucania”. Cioè la Cripta del peccato originale, grotta-chiesa con pareti affrescate tra l’VIII e il IX secolo, simbolo della Matera che dal 1993 è anche parte del patrimonio mondiale dell’Unesco, con i suoi vicoli e cunicoli e volte di antica sabbia neolitica diventata roccia. Qualcosa che poteva ricordare la turca Cappadocia o le “Città invisibili” di Italo Calvino agli studenti che ci arrivavano in gita nei primi anni Novanta, prima dell’esame di maturità, e restavano basiti: “Questa città ce l’abbiamo in Italia e non ne sentiamo praticamente parlare mai?”, era il commento sotteso agli sguardi sconcertati di meraviglia, dopo la prima passeggiata. E se Calvino parlava di Matera come di una “città ragnatela”, sospesa sull’abisso, e poi anche forse (nel senso che non si sa se quella città invisibile sia proprio Matera), di un luogo quasi magico le cui vie “sono completamente interrate, e le stanze sono piene d’argilla fino al soffitto” e “sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con le nuvole”.

 

Il trauma dello “sfollamento” vissuto a neanche vent’anni, e il sogno extra-rupestre dell’uomo che dei Sassi ha visto il futuro

De Ruggieri e Adduce fanno parte in qualche modo della Matera (ancora) invisibile del futuro, se è vero che a un certo punto, da mezzi-nemici che erano, e da avversari nei primi anni di sindacatura De Ruggieri, sono ora letteralmente sullo stesso palcoscenico, nell’anno materano da capitale europea della Cultura: Adduce è infatti diventato, a inizio 2018, presidente della Fondazione Matera Basilicata 2019. E da quel momento, raccontano i lucani, è come se una crepa si fosse ricomposta. Crepa politica, simbolica, geografica: De Ruggieri è nato a Matera e di Matera porta i segni, figlio com’è dei Sassi e dello sfollamento. Adduce è nato a Ferrandina, la cittadina dove si è fermato non Cristo ma il treno, e chissà se adesso (c’è chi a Matera dubita) la nuova stazione progettata da Boeri davvero aiuterà a colmare quella piccola, invalidante distanza di trenta chilometri: quella che era la littorina appulo-lucana, infatti, non è detto che riesca a farsi vero ponte con il mondo soprastante (su per lo Stivale), e questo nonostante l’impegno dell’archistar, che in Matera ha visto un “museo vivente dell’urbanistica” della seconda metà del Novecento. Come scrive Vincenzo Viti nell’introduzione di “Matera Capitale - Dal rapporto socioeconomico (1970) al dossier per la candidatura (2013)” (ed. Rubbettino), “Matera è stata, tuttora è, un luogo totale nel quale architettura, cultura materiale, valori della tradizione popolare hanno sedimentato segni, aperto a tracce di un eccezionale lavoro di scavo, ispirato grandi scuole di sociologia e antropologia… cinema, pittura e letteratura hanno investito su una città descritta come disincarnata, con i Sassi assunti a immutabile metafora del tempo e a storia scabra popolata di ombre. Quei Sassi che, dall’essere stati un pieno sociale drammatico dolente, sarebbero divenuti il motore di una straordinaria operazione di investimento sulla città”.

 

Il suo pianto all’avvio del 2019 materano, e lo scontro-incontro simbolico con l’ex avversario ed ex sindaco Salvatore Adduce

E il sindaco De Ruggieri, mentre arringa la sua Matera “indomabile” e “trepidante”, e la presenta al mondo (premier, ministri, giornalisti) come elemento taumaturgico per tutto il paese, sembra lunare, felicemente lunare, specie se visto dalla Roma sconquassata e senza visione. Lui la visione vuole trasformarla in azione, dice. E l’ha fatto anche sfiorando la leggenda metropolitana: pare infatti che volesse dotare il parco del Castello Tramontano, costruzione di impianto aragonese incompiuta per via di una rocambolesca sommossa popolare contro il conte tiranno di cui porta il nome, in un parco-giochi per bambini con costruzioni fatte di mattoncini Lego. E gli autoctoni, quando raccontano l’aneddoto, si illuminano di riflesso: lì, sotto al castello, nel luogo della truculenta ma libertaria insurrezione (i cittadini si nascosero dietro a un masso per architettare l’uccisione dell’oppressore), ha già avuto luogo un simbolico riscatto di Matera, nato e continuato nei Sassi recuperati alla vista (e in alcuni casi diventati dimora per viaggiatori esigenti, rispettosi dell’elitario genius loci). Il suo metodo, il sindaco l’ha illustrato qualche anno fa, nel giorno dell’inaugurazione del progetto “Casa di Ortega”, dal nome dell’artista spagnolo che a Matera ha soggiornato: “La nostra linea di lavoro si traduce nel ‘pensare per fare’. In controtendenza con la politica degli annunci e delle astratte strategie noi realizziamo progetti che si alimentano dei valori del territorio e che traducono le risorse culturali in strumenti di sviluppo e di occupazione… il vitalismo culturale di Matera si contrappone alla sterile prassi degli eventi e dell’effimero, caratterizzata da rapide realizzazioni e da più rapide dissipazioni di denaro pubblico”.

 

Quando poi De Ruggieri è diventato sindaco, ha applicato il metodo alla roccia da cui è nata e in cui è esplosa e implosa la sua città. Intervistato dal New York Times, ha intanto rivelato di straforo alla giornalista Danielle Pergament che nei ‘sassi’ alcune persone ci vivono da cinquant’anni, senza interruzioni (quindi ignorando il divieto del periodo dello sfollamento), e poi si è inoltrato nella complicata e contraddittoria questione di Matera e dell’affluenza a Matera, dicendo chiaro e tondo che lui i turisti a Matera in fondo non li vuole, perché “spengono l’anima preistorica della città”. E forse intendeva i turisti da selfie sulla soglia delle grotte o i maleducati con cartaccia che sfugge dalla tasca, fatto sta che in quella frase sta tutta la tensione (non contraddizione) tra la Nemesi che vuole Matera principessa popolare del paese che un tempo la vedeva simbolo di degrado, e la Weltanschauung materana del vivere nascostamente. Ma vallo a dire ai curiosi mordi-e-fuggi che, dal 2004, giungono numerosi anche dall’America, sulle orme della “Passione di Cristo” di Mel Gibson, film girato per la maggior parte tra i Sassi dopo che il regista, così ha detto, “ha perso la testa per la città”, perché era “semplicemente perfetta”. Ma il giovane anziano De Ruggieri questo non lo dice, forse perché la perfezione, a giudicare dalle sue parole, non è acquisizione presente ma materia ideale di cui è fatto il suo sogno extra-rupestre.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.