La Nave Mare Jonio (foto LaPresse)

Su Mare Jonio Salvini torna a giocare con lo stato di diritto

Luca Gambardella

Il ministro riprende la sua crociata contro i salvataggi dei migranti nel Mediterraneo. Lo fa con l'ennesimo atto anomalo, condito da fake news. Ma stavolta Di Maio e il ministero della Difesa non lo sostengono

Ci risiamo. Come promesso domenica scorsa, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha emanato una nuova direttiva, la terza da quando guida il Viminale, per ricordare a tutte le autorità competenti – Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Marina e Guardia costiera – che i porti italiani restano chiusi alle navi delle ong. L’aveva già fatto il mese scorso, ma ora Salvini riprova a fermare Mare Jonio, la nave dell’ong Mediterranea Saving Humans. Pur non esistendo condanne a carico dell’equipaggio e dell’armatore della nave, (se non “un accertamento nel corso di un procedimento penale”, come specificato nel testo) il ministero prova in modo maldestro a sostituirsi alle decisioni dei tribunali. Tanto maldestro al punto che, dicono fonti del ministero della Difesa all'agenzia AdnKronos, i vertici delle forze armate non avrebbero gradito quello che giudicano un atto di ingerenza da parte del ministero dell'Interno. "Quel che è accaduto è gravissimo", aggiungono le stesse fonti, perché "viola ogni principio, ogni protocollo" ed è "una forma di pressione impropria". "Noi rispondiamo al ministro della Difesa e al Capo dello Stato, che è il capo Supremo delle Forze Armate".

  

Ma oltre a suscitare l'ira dei vertici militari, per limitare l’attività di salvataggio dei migranti da parte delle ong la direttiva ministeriale dà per assodate quelle che sono catalogabili alla voce fake news. Come il fatto, scritto a chiare lettere nel documento del Viminale, che “le strategie criminali dei trafficati di migranti sfruttano l’attività in mare (quella delle navi delle ong, ndr) svolta da imbarcazioni private che non hanno titolo e legittimazione a porre in essere azioni idonee al contrasto del traffico illecito”. I numeri dimostrano che non esiste alcuna correlazione tra la presenza di ong in navigazione nel Mediterraneo e il numero di partenze di migranti dalla Libia.

   

Ma tant’è, e Salvini decide di passare oltre anche rispetto alla grammatica giuridica. Così, da mero atto amministrativo quale in effetti è, la direttiva pretende ora di sovvertire le convenzioni internazionali. Secondo il ministero, la Libia è “un’autorità straniera legittimamente titolata ai sensi della vigente normativa internazionale al coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nelle proprie acque di responsabilità”. Insomma, dice il Viminale, la Libia ha una zona Sar e questo basta a renderla un porto sicuro per lo sbarco dei migranti. Le due cose, come ricordato più volte dai giuristi, non si tengono insieme guardando alle norme internazionali. La zona Sar, va ricordato, è un atto unilaterale di un singolo stato membro dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo). Per unilaterale si intente che non esiste una valutazione oggettiva da parte di organi terzi se uno stato sia effettivamente in grado di compiere operazioni di salvataggio. Ma oltre a questo, sono le Nazioni Unite a vietare i respingimenti in Libia dei migranti perché questo stato è considerato un porto non sicuro.

 

In ogni caso Salvini sa che non è sul piano giuridico che si gioca la partita – sotto questo aspetto la direttiva in sé vale quasi nulla – ma piuttosto su quello politico. Con il voto delle prossime europee, con gli sbarchi sulle nostre coste che non si sono interrotti, con le indagini a carico del ministro dell’Interno per sequestro di persona, Salvini sente un’urgenza duplice: tranquillizzare il suo elettorato ribadendo il suo mantra dei “porti chiusi” e minacciare le ong, descritte come il vero veicolo di terroristi-migranti sulle nostre coste. Le stesse motivazioni sono state alla base della direttiva gemella del mese scorso, ma ora qualcosa è cambiato. Gli alleati grillini stanno realizzando che sostenere il pugno di ferro di Salvini non paga politicamente. E oggi, a differenza di quanto accaduto un mese fa, Luigi Di Maio ha attaccato il collega di governo: “Se veramente abbiamo il problema di 800mila migranti in Italia, di certo non li fermi con una direttiva che nessuno ha mai ascoltato. Se vogliamo aiutare l'Italia molliamo quei paesi (che non accolgono i migranti, ndr), invece di allearci con essi", come fa Salvini, "da Orbán in giù". E’ quindi una corsa, quella tra Di Maio e Salvini, a chi è più pronto a strumentalizzare i famigerati “800 mila migranti”. Una invasione che ad oggi esiste solo nelle frasi minacciose lanciate ieri dal nostro alleato libico, Fayez al Serraj, per provare a conviverci a fare qualcosa in più per aiutarlo contro Khalifa Haftar (ma "il suo blitz è fallito", ha assicurato oggi Salvini). Gli unici dati assodati sono quelli forniti dall’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Iom). In Libia gli sfollati al momento sono 18.250. La strada che porta all’invasione sembra essere ancora lunga.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.