Gianluigi Paragone (foto LaPresse)

Paragone di piazza

Marianna Rizzini

Senatore m5s, ex conduttore post-leghista, uomo di confine tra gialli e verdi, riserva del “vaffa” in assenza di Grillo e Dibba

Beppe Grillo si è stufato, l’associazione Rousseau è stata multata dal Garante, Alessandro Di Battista non si candida e il Movimento cinque stelle si tiene a galla tra una lite e l’altra con la Lega. E però c’è già pronta per così dire la riserva del “vaffa”, l’uomo che potrebbe incarnare il piano B (e che per ora incarna lo Zeitgeist dell’Italia che si è autodenominata “Italia del cambiamento”, nel senso dello spirito del tempo populista-complottista-antisistema). Lui, l’uomo, Gianluigi Paragone da Varese, ex conduttore de “L’ultima parola” (Rai2) e de “La gabbia” (La7), trasmissioni-palestra del grilloleghismo in nuce, non è propriamente un papa straniero nel Movimento, ché siede tra le fila del M5s in Senato, con il pallino della casta da scaraventare giù dal piedistallo e dei poteri forti da tampinare senza tregua, e con un passato da giornalista un po’ verde e un po’ giallo prima ancora che i gialli e i verdi addivenissero all’accordo anche detto “contratto di governo”.

 

Le dirette Facebook martellanti in cui denuncia i poteri forti e offre lavoro per conto degli imprenditori, “disintermediando”

E non è da oggi che Paragone interviene su tutto in diretta Facebook (dal Senato, da casa sua, in camicia e in felpa se è domenica), ma oggi il suo nome ricorre più che mai tra quelli in prospettiva spendibili in modalità “frontman”, nel futuro non più così rassicurante per il Movimento. Per non dire del presente: di Paragone si è infatti parlato come del possibile presidente della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, non senza suscitare stupore tra alcuni astanti. Ma più si esprimono velati dubbi, dal Colle giù giù fino all’opposizione, passando anche per qualche anfratto della maggioranza, più Paragone – che sulle banche, nel 2017, ha scritto un libro dal titolo di autoevidente intento polemico (“Gangbank - Il perverso intreccio tra politica e finanza che ci frega il portafoglio e la vita”) – si sente rinvigorito. E quando l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli scrive “Commissione parlamentare sulle banche: 20 deputati e 20 senatori.

 

Speriamo scelgano qualcuno di competente o che almeno ci capisca qualcosa. Che cosa ne pensate?”, Paragone spara su Facebook, a lettere cubitali, la risposta in linea con l’ideologia “dal basso”: “Ma quando quelli che ci capiscono qualcosa, quelli competenti, insomma, hanno fatto saltare le banche, nulla quaestio? Cosa li spaventa?”. E quando la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati commenta “il Quirinale sulla banche ha ragione: nella commissione solo esperti del settore”, Paragone ribadisce il concetto, dicendosi peraltro d’accordo con il “nemico” di sinistra-sinistra Stefano Fassina e riproducendone in bacheca il pensiero sul tema: “Non è compito delle presidenze delle Camere dare indicazioni sui curricula dei componenti di una commissione d’inchiesta. Ciascun deputato o senatore ha diritto, al pari di ogni altro, di far parte della Commissione, anche se non è tra gli esperti del settore”.

 

Non ci si può distrarre: il senatore ogni giorno compare più volte in bacheca. E se non scrive post sulle banche, sempre su Facebook si fa direttamente ufficio di collocamento, forse per fare una prova generale dei futuribili centri per l’impiego collegati all’erogazione del reddito di cittadinanza, forse per aderenza ormai totale alla disintermediazione, parola magica che ha favorito l’ascesa al potere dei Cinque stelle: c’è un’offerta di lavoro, dice Paragone con l’aria soddisfatta di chi ha spazzato via in un colpo solo i corpi intermedi che tanto dispiacciono ai suoi compagni di partito. Un mio amico, spiega il senatore con tanto di cartello con indirizzo mail dell’imprenditore in questione, “ha bisogno di un progettista disegnatore metalmeccanico. Con esperienza, assunzione immediata. Vi do suo indirizzo di posta elettronica”. E la cosa, apprende il neofita osservatore delle dirette di Paragone, funziona in senso biunivoco: mi metto a disposizione degli imprenditori che cerchino lavoratori per questa o quella posizione. Scrivetemi.

  

E insomma non c’è più “La Gabbia” – in morte della quale, nell’estate del 2017, dopo l’arrivo al vertice de La7 di Andrea Salerno, Paragone pronunciò la frase: “La Gabbia termina qui, chiude qui i battenti. Ha vinto il Ciaone. E con questo Ciaone ci salutiamo” – non prima di aver intervistato Luigi Di Maio all’interno della stessa ultima puntata: “Voi siete l’antisistema, vero?”, chiedeva l’allora conduttore Paragone al futuro vicepremier, e lo chiedeva essendo già noto al pubblico per la trasmissione suddetta, talk in cui i partecipanti venivano lasciati (e lanciati) a sfidarsi come gladiatori nell’arena, in piedi, senza neanche un bracciolo di poltroncina a fare da appoggio, e forse chissà: la scomodità acuiva la virulenza delle parole. E “La Gabbia” non c’è più, appunto, ma si può dire che “La Gabbia” sia entrata direttamente nel Palazzo, ché tra le presenze ricorrenti c’era l’altro futuro vicepremier Matteo Salvini, oltre al giovane filosofo antisistema (Diego Fusaro) e agli economisti no-euro nonché futuri presidenti della commissione Finanze della Camera e del Senato Claudio Borghi e Alberto Bagnai, e al sindacalista Fiom in ascesa presso le sinistre riflessive Maurizio Landini, attuale segretario generale della Cgil, e ai giornalisti (del Fatto e non), e agli esponenti del Pd disposti a sopportare, per due ore, di essere messi metaforicamente in castigo da un quartetto (almeno) di oppositori diversamente inferociti. Ed era chiaro, da quell’ultima puntata, che tra Paragone e Di Maio era già intesa pre elettorale ufficiosa: dopo qualche mese Paragone sarà alla festa nazionale dei Cinque stelle a Rimini, e a gennaio 2018 annuncerà la propria candidatura.

 

Si autopromuove per la presidenza della Commissione d’inchiesta sulle banche, con le banche come bestia nera

Il perché lo dirà in quell’occasione, e lo ripeterà appena eletto: “Il Movimento cinque stelle è la forza che più mi ha seguito in questi anni di denunce, soprattutto al sistema bancario”. Ma la sua forza, oggi, deriva anche dal suo essere uomo di confine tra i due mondi che ora governano, urtandosi come macchinette all’autoscontro. Credibile Paragone lo è per questi e per quelli, tanto più che, già nel 2012, non rinnegava il passato leghista (ex direttore della Padania, ex vicedirettore di Rai2 quando Rai2 era terra di conquista verde, ex pupillo di Umberto Bossi e infine, scherzo del caso e del cambio di vedute, sfidante di Umberto Bossi nello stesso collegio di Varese). L’aveva detto per tempo, Paragone: “Ho un passato leghista e non mi pento di quello che ho fatto”. L’uomo che ha fatto della massima “non voglio essere credibile, voglio essere creduto”, si avviava così verso la carriera politica potendo vantare ottimi rapporti con una parte dei futuri alleati e con una parte del mondo berlusconiano, oltre a una saltuaria convergenza di opinioni – per assurdo – con la sinistra anti Pd. E non tutto si tiene, oggi, ma certo Paragone è colui a cui ora è affidata la missione di fare (sottotraccia) il mini Tsunami tour che Grillo non vuole (non può?) più fare: tocca infatti spiegare agli elettori gialloverdi, scossi dalla turbolenza a Palazzo Chigi, e tentati dalla fuga o dalla retromarcia (verso la destra-destra, verso il centrosinistra, verso l’astensione), che la storia la sta scrivendo – ora, qui – il Movimento che nei sondaggi perde consensi. Ed ecco infatti Paragone, colui che ai tempi de “L’Ultima parola” andava in scena con chitarra e scarpe da ginnastica fluorescenti, prendere e partire, con tam-tam e videotestimonianza sui social network, per impegnarsi, settimana dopo settimana, a partire dall’8 marzo, nel “Dignità tour”, nel ruolo informale di colui che deve rilanciare ciò che rischia, se lasciato alla deriva, di non essere più rilanciabile, vista la volatilità del consenso da e per il Movimento che ha fatto del voto “di pancia” la leva per aprire la scatoletta di tonno in cui ora si ritrova (tanto che l’Espresso, a gennaio, contando i post di Paragone condivisi sulla pagina Facebook ufficiale dei Cinque Stelle, titolava “Gianluigi Paragone è la nuova stella su cui punta il M5s”). Detto e fatto: Paragone appare in diretta Facebook da Fabriano, a metà marzo, davanti a una platea attentissima, intento a discettare di modernità (“stiamo andando verso la modernità… ci conviene, ci torna utile? Perché non correrle dietro?”, e la domanda è ovviamente retorica, ché il senatore parte dal cellulare per arrivare a disegnare l’orrore nascosto dietro al cloud). Ma lo si sente anche, Paragone, difendere il Medioevo, il secolo verso cui gli oppositori dei Cinque stelle vedono arretrare i Cinque stelle. Ed ecco che Giotto, S. Agostino, S. Tommaso, le cattedrali gotiche come le università di Oxford e Salamanca entrano a far parte di un unico schema difensivo, che parte dal secolo presunto buio fino a precipitare sulle rotaie della Tav, passando per la bestia nera: i piccoli prestiti che ti illudono di poter avere tutto (mio nonno non comprava quello che non si poteva permettere, è il concetto).

 

L’arringa motivazionale del “Dignità tour”, giro d’Italia per spiegare quello che forse non è già più difendibile

E qualcosa di grillesco (nel senso di Beppe) aleggia nell’aria mentre Paragone sventola il buono del supermercato che pubblicizza la mini-concessione di credito, e poi mentre sale con l’invettiva in un crescendo di “no” al desiderio che porta all’indebitamento. E alla fine si torna al punto di partenza: le banche (“il M5s non ha rapporti tossici con il mondo bancario e finanziario”, è il mantra). Motivo per cui a ogni tappa del “Dignità tour” (sottotitolo: “Raccontare il cambiamento all’Italia intera”, Paragone dice in modi diversi ma uguali le stesse cose, e cioè, come da dichiarazioni d’intenti del tour stesso, che “il Movimento cinque stelle è vivissimo: abbiamo fatto tantissime cose in questi mesi. Però a quanto pare giornali, televisioni e media in generale hanno preferito parlare d’altro. Quindi è giunto il momento di uscire dai palazzi e tornare nelle piazze e nelle sale per raccontare questi dieci mesi di lavoro”. In piazza, cioè sul palcoscenico che era di Grillo e poi del “Dibba”, quando i due mattatori erano ancora lontani dalla loro Africa, si sarebbe detto in tempi veltroniani, e cioè dalla tentazione di un arretramento (momentaneo o definitivo) dalla linea del fronte, vuoi via ritorno al teatro (Grillo) vuoi via giro del mondo e reportage sul Fatto (Dibba). “Questi dieci mesi di lavoro hanno ruotato intorno alla parola dignità”, scrive allora Paragone per presentare il tour, “quella dignità che per anni gradualmente i cittadini hanno smarrito per le scelte sciagurate della vecchia politica, e che ora come Movimento cinque stelle vogliamo rimettere al centro dell’agenda politica e del dibattito pubblico”.

  

La difesa del Medioevo, l’invettiva sull’altra faccia della modernità, lo schema de “La Gabbia” portato nel Palazzo

Tutto considerato, vista la situazione di bisticcio perenne tra alleati e visti i titoli di giornale (Repubblica di ieri: “La Lega abbagliata dal potere”, dice Di Maio. “Basta con i no”, dice la Lega), le parole di Paragone si collocano a metà tra il sermone motivazionale e il premio di consolazione: “Se i corrotti beccati con le mani nel sacco finalmente finiscono in carcere, è perché abbiamo fatto lo Spazzacorrotti, se negli ultimi due mesi del 2018 le stabilizzazioni dei lavoratori precari sono aumentate del 101 per cento rispetto all’anno prima, è grazie all’entrata in vigore del decreto Dignità… se chi vive ai margini della società senza alcuna prospettiva può tornare a immaginarsi un futuro, è perché abbiamo realizzato la rivoluzione del reddito di cittadinanza, se chi si è spezzato la schiena con lavori massacranti arrivato a 62 anni può finalmente decidere di andare in pensione, è in virtù della formulazione della ‘Quota 100’, se presto il Parlamento italiano avrà 345 parlamentari in meno, è perché siamo riusciti a far partire l’iter di riforma per tagliarli”.

  

Basta crederci? Chissà. Per tutto il resto c’è Paragone. Paragone che dice, camminando con una coppola in testa, “non è facile piegare le gabbie dei potenti”. Non bastasse, c’è Paragone che interpreta alla lettera la campagna anti ministro dell’Economia Giovanni Tria. Prima con un video: “Credo che la consigliera Claudia Bugno e il ministro Tria debbano spiegare ai cittadini e a noi del M5s, principale forza politica in Parlamento… famosi perché rendicontiamo tutto e non vogliamo sentirci privilegiati nel Palazzo. E proprio perché figli e figliastri non devono avere trattamenti di favore, è giusto che Bugno e Tria spieghino”, dice il senatore chiedendo delucidazioni sull’assunzione del “figliastro di Tria, Niccolò Ciapetti, in una società il cui amministratore delegato è il compagno di Bugno”. Poi il senatore tira fuori la frase programmatica, forse un pre-tormentone per la campagna delle Europee alle porte: “Se Tria ci proporrà di tagliare 36 miliardi alla famiglie italiane, sappia che non ci hanno votati per questo”. Dopodiché la scena cambia: c’è un Paragone ventriloquo di “eccellenze” nazionali, in diretta da un pastificio di Torre Annunziata. Questa, dice, è la storia italiana di gente che ha conquistato grandi fette di mercato mondiale. E tutto torna nel pot-pourri sovranista, ma non come quando l’ex direttore della Padania, ora grillino, dice “il sistema ha paura di me”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.