Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Scene da un Parlamento svogliato mentre Conte cerca una pezza sulla Cina

Salvatore Merlo

“Accordo puramente commerciale”, dice il premier. Camera e Senato neanche ascoltano. iPad, sbadigli, facce da film

Roma. Il presidente della Camera, Roberto Fico, se ne sta sprofondato sulla sua poltrona, in cima al cocuzzolo dell’Aula di Montecitorio, con l’aria abbioccata e gonfia di chi si sta appena riprendendo da un pranzo di nozze dopo aver mandato giù un bicchiere d’acqua e bicarbonato. I deputati sono per lo più ripiegati sui loro telefonini e sugli iPad. Ogni cosa comunica noia, disinteresse, mentre il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, prende la parola e inizia a spiegare che “il memorandum con la Cina è una delle tante intese che firmeremo. Non è un accordo internazionale. Non crea vincoli giuridici. E’ un’intesa che delinea principi di collaborazione all’interno della ‘Belt and Road’ cinese. Un accordo commerciale” (mormora l’ex ministro Pier Carlo Padoan: “E c’era bisogno di un memorandum per siglare un’intesa commerciale?”). Intanto il sottosegretario Michele Geraci, l’autore del negoziato, seduto sui banchi del governo appena sotto il presidente del Consiglio, annuisce. Geraci ha una spilla appuntata al bavero della giacca. “No, non è la spilla del Partito comunista cinese”. In effetti è Alberto da Giussano. Ma non si sa mai. 

 

Sulla sinistra dell’emiciclo alcuni leghisti si scambiano pacche sulle spalle. Ridono come in birreria. Stanno in piedi. Non ascoltano. A riprova della natura di questa legislatura i cui lavori parlamentari, mediamente, s’interrompono il mercoledì pomeriggio. C’è Giuseppe Bellachioma, che ha un’impresa di pompe funebri al paese e ora fa il capo della Lega in Abruzzo (ha trafficato per un mese sulla composizione della giunta regionale, “ma finalmente giovedì abbiamo chiuso”). Bellachioma, che ha una bella faccia cinematografica di quelle che piacciono tanto a Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, sta scambiando battute con Andrea Crippa, l’astro nascente del salvinismo, il capo dei giovani padani, forse il prossimo vicesegretario nazionale della Lega. Crippa è un tipo magro e lungo, vestito come un manichino della Ovs (giacca cortissima, pantaloni a sigaretta senza risvolto e corti sulla caviglia, colletto slacciato al secondo bottone). Quando prende la parola Deborah Bergamini, deputata di Forza Italia, e si rivolge al governo dicendo che sulla Cina “avete dato uno spettacolo impressionante di incompetenza e di approssimazione”, i due leghisti smettono di ridere e darsi pacche sulle spalle. Hanno captato qualche parola. S’arrabbiano. Crippa, mani in tasca, aria di sfida, si avvicina alle spalle della Bergamini che nemmeno se ne accorge. La scena è tipo “Good fellas” (ma girato a Bollate). Poi Crippa desiste, qualsiasi cosa volesse fare. E dinoccolato esce dall’Aula.

 

Grillini e leghisti sono completamente diversi. E non è solo antropologia né fisiognomica. I banchi della Lega sono mezzi vuoti. I ragazzi del M5s stanno invece imbullonati alle loro sedie. Magari non sanno quello che fanno. Ma lo fanno. Così quando prende la parola il deputato grillino Santi Cappellani, i colleghi più esperti trattengono il fiato. Il poveretto legge da un foglio, senza mai sollevare lo sguardo. Balbetta parole che qualcuno ha scritto per lui e delle quali lui in tutta evidenza non capisce per primo il significato. Persino i grillini ridacchiano. Si danno di gomito. “Soffriamo con lui”, dice sornione un deputato del M5s al collega Marco Rizzone.

 

Intanto Michele Geraci, il sottosegretario al Commercio estero – “il vero regista nell’ombra di tutta questa strana faccenda con la Cina”, dice Andrea Delmastro di Fratelli d’Italia – lascia i banchi del governo. Geraci si avvicina a Ivan Scalfarotto, del Pd, l’ex sottosegretario al Commercio estero che ha pronunciato un intervento duro nei confronti di Conte. “Non ho capito”, aveva detto Scalfarotto. “Xi Jinping viene in Italia per firmare un memorandum che non serve a niente? Guardi, presidente Conte, non è così. Il memorandum ha un significato politico. Infatti i cinesi sono molto contenti, hanno fatto aderire un paese del G7 al loro progetto strategico. Voi pensate che in cambio ci faranno fare degli affari. Ma per fare del business non c’era bisogno di firmare un memorandum che spiazza l’Europa e l’America. Avete fatto un enorme regalo politico alla Cina”. A questo punto tra Geraci e Scalfarotto comincia una conversazione piuttosto agitata, in mezzo a un un’Aula in cui ciascuno si fa gli affari suoi. Che vi siete detti? “Lui si difendeva dicendo che sulla Cina ha seguito la mia scia, cioè le cose che avevo iniziato a fare io al governo”, dice Scalfarotto. “Gli ho risposto che non è così. Io non mi sono mai venduto ai cinesi”.

 

Alle 15 e 30 Conte si presenta in Senato per ripetere il discorso pronunciato alla Camera. La presidente, Maria Elisabetta Alberti Casellati, camicia rosso scuro in tono con i velluti dell’Aula (tipo “seta Madama”) apre la seduta cominciando a leggere l’ordine del giorno sbagliato. Scoppia il panico attorno a lei. Questori, commessi… gente che corre, fogli che volano. Finalmente le mettono sotto il naso la pagina giusta, quella del memorandum tra Italia e Cina. Ma tutto ormai congiura, anche in Senato, a dare l’idea del complessivo e muto dramma dell’inadeguatezza. Di una legislatura nata storta. Qui c’è anche Danilo Toninelli, d’altra parte. Il ministro dei Trasporti se ne sta seduto accanto al presidente del Consiglio. Immobile, le braccia conserte, lo sguardo fisso nel vuoto. Una statua di cera. Si direbbe che dorma, se non fosse che gli occhi sono aperti. Conte intanto ripete all’incirca quello che ha già detto alla Camera (“presidente le confesso che non abbiamo capito niente”, gli aveva risposto Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia. “Questo benedetto memorandum lo possiamo leggere o no?”). Conte intanto evoca per due volte il presidente della Cina – lo chiama “Giginping” – e ripete che l’accordo è “solo commerciale”. Così alla fine è il vecchio Pier Ferdinando Casini a dare un calcio alla fenomenologia dell’assurdo. “Prima siamo andati alla guerra con l’Europa sulla legge di Bilancio, salvo poi cercare intese. Dopo abbiamo insultato i francesi, andando però a Canossa per negoziare una soluzione sulla Tav”, dice. “Adesso siamo l’unico paese in Europa che non ha riconosciuto Guaidó in Venezuela, e l’unico che firma un protocollo con la Cina. Tedeschi e francesi i loro interessi commerciali li fanno tranquillamente, con i cinesi. Ma senza compromettersi in una firma così impegnativa. Alla fine, vedrete, scontenteremo pure i cinesi”. Ma Casini non si sa bene a chi si stia rivolgendo. L’Aula del Senato rimane indifferente e chiassosa. Gli iPad vengono spenti solo quando si esce per andare a fare l’aperitivo, di corsa.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.