Matteo Renzi con Marine Le Pen a "L'emission Politique"

Renzi vs Le Pen

Salvatore Merlo

Perché in Francia il talk è una cosa interessante, e da noi invece un circo di pernacchie e petomani?

Il ritmo all’ultimo respiro, la scansione logica chiara e netta, la sensazione di assistere a un evento, a un fatto interessante, che fa la gloria dell’informazione e del servizio pubblico televisivo (quello francese), in un gioco sottile di vere intimidazioni e finte cortesie tra due leader, l’europeista e l’euroscettica, Matteo Renzi e Marine Le Pen, che si scontrano in un minuetto di schiaffi, e falsi complimentucci, che sono il contrappunto del rispetto grammaticale e sintattico. Una scoperta per lo spettatore (italiano) di talk-show, abituato com’è – quando sopravvive – al monologo che umilia gli interlocutori e gli elettori, al semplicismo arrangiato, sciatto, regressivo, monotono e persino gregario interpretato sempre dalle stesse bocche che si aprono e danno fiato al dibattito teleinvasato.

 

 

E allora alle 23 di giovedì, Renzi compare sugli schermi di France 2, il canale della tv di stato, e dibatte con Le Pen, in francese, lingua che evidentemente padroneggia assai meglio dell’inglese. Venti minuti di fuochi d’artificio dialettico. Lo sguardo canzonatorio, il silenzio ironico, la strategia del puntiglio e del ripicco, la rapidità degli scambi. “Madame, io ho molto rispetto per lei, ma devo dirle che lei non sa di cosa parla”. “Monsieur, sono costretta a ricordarle che lei ha governato senza essere stato eletto”. E tutt’intorno nessuna piazza sbraitante, niente tabelle farlocche, nessun inviato di strada che sbatte il microfono tra i denti del primo che gli capita a tiro, niente opinionisti pronta beva o controfigure che si agitano, chiamate a far casino in una rumorosa festa di flatulenze pubbliche. Ma solo i protagonisti – in carne e ossa, niente controfigure – di due offerte diametralmente opposte, civilmente impegnati in un confronto pieno di colpi bassi a ogni piè sospinto, ma pure impegnati nella mutua accettazione, perché l’elegante canone della conversazione sta nella distanza dalle parole degli altri.

 

E la questione è evidentemente estetica, politica, ma anche culturale. Perché Léa Salamé, la conduttrice di “Emission politique”, il talk-show più seguito di Francia, lei che va in onda ogni giovedì per oltre due ore e mezza, per funzionare non ha bisogno di pernacchie e petomani, di quel genere di cetrioli bislacchi che in Italia vengono spacciati via etere per sadica combinazione culinario-cabarettistica? C’è stato un tempo in cui il talk-show anche in Italia era un evento, certo spettacolarizzato, ma non ancora mostrificato. La spilletta sfavillante sul bavero del Cavaliere e il tragico vestito marrone di Occhetto. Prodi che nel ’96 si allenava per diventare più reattivo. D’Alema e Rutelli. Il nervosismo, le facce, i colletti che si allentano, l’impressione di assistere a qualcosa che ha un senso. Di Maio contro Zingaretti? Salvini contro Renzi? No. Macché. Il lunedì Fusaro, il martedì Giarrusso, il mercoledì trippa e il giovedì gnocchi, secondo il menu poco costoso e non molto appetibile dei palinsesti in disarmo d’una tivù in bancarotta intellettuale.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.