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Sulla Tav la crisi non è del governo, è dell'Italia

Claudio Cerasa

Contro i buffoni della bassa velocità. Per difendere la Tav la soluzione c’è: votare e mostrare i muscoli in Parlamento

La storia della caduta del governo a causa del grande scazzo sull’alta velocità tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio è simile al rapporto che c’è nel campionato tra Juventus e Napoli: tecnicamente è possibile che la Juve perda lo scudetto, ma realisticamente è del tutto improbabile. Lo scazzo tra Salvini e Di Maio per una volta è vero – che meraviglia un paese che nel mezzo di una recessione discute se sia giusto o no accettare 800 milioni dall’Europa per costruire una ferrovia ad alta velocità – ma è possibile che la distanza tra i due alleati venga accorciata con due soluzioni da Azzeccagarbugli.

 

La prima soluzione è quella sponsorizzata dal sottosegretario non palestrato alle Infrastrutture Armando Siri, che ha suggerito al governo di adottare la clausola della dissolvenza prevista dal diritto francese che permetterebbe di far partire i bandi lunedì prossimo dando però la possibilità al governo di revocarli in qualsiasi momento (tutti i ministri sanno che chi farà perdere all’Italia gli 800 milioni stanziati dalla Commissione europea per la Torino-Lione rischia di essere ritenuto responsabile di un danno erariale multiplo: in caso di blocco del progetto i soldi spesi finora rischierebbero di essere stati utilizzati inutilmente).

 

La seconda soluzione è riuscire a ottenere un maggior esborso di denaro da parte della Commissione europea portando la quota di cofinanziamento dal 40 per cento di oggi al 50 per cento di domani. Sono due soluzioni tecniche che permetterebbero forse al governo di risolvere un problema politico – prendere tempo fino alle europee – ma sono due soluzioni che non risolverebbero il problema di fondo della Torino-Lione e che non permetterebbero di certificare una volta per tutte un principio che questo giornale ha trasformato in un appello: chi sceglie di barattare il futuro del paese per uno zero virgola nei sondaggi non è solo contro le grandi opere ma è contro la crescita, è contro l’idea di fare tutto ciò che è necessario per trasformare il futuro in un luogo di opportunità, è contro l’idea di combattere chiunque non capisca che dietro alla guerra contro l’alta velocità c’è un’idea di mondo, di Europa, di sviluppo, di economia, di isolamento, di fuga dalla realtà.

 

All’interno di questo scenario ci si potrebbe consolare notando che per la seconda volta nel giro di un mese Salvini ha dovuto riconoscere che non c’è protezione migliore per l’Italia se non quella che arriva proprio dall’Europa – con il caso del processo sulla Diciotti, Salvini ha dovuto ammettere indirettamente che non avrebbe fatto il bullo se qualcuno, e in questo caso però quel qualcuno coincide anche con il suo presidente del Consiglio, avesse reso possibile in Europa la distribuzione dei richiedenti asilo, e con il caso Tav Salvini deve avere invece capito che se non ci fosse stato un trattato internazionale firmato dall’Italia la Torino-Lione sarebbe stata già rottamata da un pezzo. Ma la verità è che l’unica soluzione possibile per uscire dall’ambiguità, per smetterla di galleggiare, per combattere la decrescita infelice e dare un calcio nel sedere ai professionisti del No è spostare la partita da un piano tecnico a un piano politico. E se vogliamo divertirci un po’ con gli acronimi potremmo dire che la soluzione per la Tav, e per l’Italia, è proprio lì, nelle tre lettere simbolo dell’alta velocità. TAV, ovvero: Truce, Andiamo a Votare. Andare a votare, in questo caso, non è solo un invito a far cadere il prima possibile un governo che non riesce a capire fino in fondo che giocare con i trattati internazionali significa giocare con l’affidabilità di un paese.

 

Andare a votare, in questo caso, è un invito che riguarda sia la Lega sia il Movimento 5 stelle, che se avessero les balles, come direbbero a Lione, avrebbero già fatto da tempo l’unica mossa possibile per mettere un punto sul tema della Torino-Lione e dimostrare se davvero il governo vuole spendere gli stessi soldi che servono a completare l’opera per pagare penali e tenersi una ferrovia vecchia con autostrade intasate di Tir solo per non contraddire una relazione costi-benefici fuffa in base alla quale la riduzione delle accise e dunque un inquinamento minore sarebbe un costo per il paese. E quel mondo è semplice: smetterla di chiacchierare e portare il dossier sulla Torino-Lione nell’unico luogo istituzionale deputato a ratificare o a modificare un trattato internazionale, chiedendo non alla piattaforma Rousseau ma al Parlamento di votare sì oppure no. Il M5s avrebbe la possibilità di dire “ci abbiamo provato”, la Lega avrebbe la possibilità di dire “ci siamo riusciti” e l’Italia avrebbe un po’ di tempo in più per provare a non discutere del nulla e ricordarsi la priorità di un paese in recessione: non come assecondare l’ideologia anti tutto della propria base ma come ridare velocità a qualcosa di ben più importante di un treno, l’Italia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.