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Perché sulla Tav il M5s rischia d'implodere

Valerio Valentini

Ma quale mini Tav? Parlano il quasi-ministro Coltorti e la senatrice Pirro. “Noi siamo il M5s. Lascia chi cede”

Roma. Le chiedi se non stia valutando anche lei, come il suo amico Alberto Airola, di lasciare il M5s. E allora lei subito ribalta il ragionamento: “Noi siamo il Movimento, semmai lascia chi cede sulla Tav”, dice Elisa Pirro, senatrice a cinque stelle di Orbassano, alle porte di Torino, lungo la direttrice che dal capoluogo sabaudo verrebbe percorsa dai treni ad alta velocità diretti a Lione, quando mai la linea dovesse essere realizzata. “Il no al Tav – ci tiene però subito a precisare la Pirro – non è solo localistico. E’ sicuramente una questione tra le più rilevanti per il Movimento”. Non ci sono, cioè, solo lei e il suo collega Airola, di Moncalieri, ad animare il dissenso sull’alta velocità. “Non ho fatto un censimento qui in Senato, ma tra quelli con cui ho parlato l’opinione è concorde”, spiega. E tra questi pare esserci anche Mauro Coltorti, geologo anconetano, e ministro dei Trasporti mancato.

     

“Non ha senso spendere quei soldi per la Tav”, dice Coltorti, ora presidente della commissione Lavori pubblici, e che però a fine maggio scorso, nella prima bozza di governo del cambiamento poi bocciata per via della presenza di Paolo Savona, figurava al posto di Toninelli. Si riferisce, Coltorti, ai cinque e rotti miliardi che sarebbero necessari all’Italia per finanziare la sua tratta di competenza della Torino-Lione. “Piuttosto, utilizziamole per fare progetti più piccoli e immediatamente cantierabili”, insiste Coltorti, che qualche giorno fa, su Facebook, ha stilato una lunga lista di opere ferroviarie necessarie per il Piemonte. “Altro che Tav”. Si tratta di una decina di tratte, dalla Chivasso-Asti alla Pinerolo-Torre Pellice, per oltre un miliardo e mezzo di euro. “Sarebbe un programma spendibile anche nella prossima campagna elettorale per le regionali, per dimostrare che non siamo affatto quelli in grado di dire solo dei no”. E’ un po’ la logica del piccolo è bello, insomma, tanto cara all’ortodossia grillina, e che però viene messa in discussione, ora, dai tentennamenti del governo grilloleghista che sembra ormai intenzionato ad andare avanti con la Tav, anche a costo di rivedere alla bisogna l’analisi costi-benefici. “Io dico solo – afferma Coltorti – che se sono stati fatti degli studi, sarebbe insensato ora metterne in discussione i risultati”.

   

E dunque, neppure l’idea della mini Tav, con uno snellimento dei lavori da effettuare lunga il tracciato piemontese, sembra plausibile? “Credo che non sposterebbe la sostanza delle cose, anche perché il tunnel di base, quello tra Susa e Saint-Jean-de-Maurienne, resterebbe comunque”, insiste Coltorti, quasi proponendo una versione più smussata, più diplomatica, di quella che, sullo stesso argomento, propone invece la Pirro. “Rimango fortemente contraria, all’ipotesi della ‘mini Tav’. Non cambia molto dal progetto attuale. E del resto l’impatto della tratta nazionale è minimo”, insiste la senatrice, già capogruppo del M5s nel Consiglio metropolitano di Torino e sempre fedele al credo originario, al punto da venire elogiata dal leader dei No Tav Alberto Perino anche quando, nei mesi scorsi, dai comitati ambientalisti della Valsusa sono arrivate critiche e accuse di tradimento verso il M5s al governo. “Nessuno sul territorio contempla la possibilità di un progetto rivisto. Non alla luce della costi-benefici”, dice la Pirro, che indica, così come Coltorti, nel potenziamento della linea storica “l’unica ipotesi realmente percorribile”. Significherebbe però ristrutturare un’infrastruttura che sale fino a 1.300 metri e che non consentirebbe il transito dei Tir. “Più che altro – ribatte la Pirro – significa cominciare a discutere di ipotesi finora sempre rigettate. E che in avvio dei lavori dell’Osservatorio per la Tav erano risultate percorribili ma respinte a priori”. E insomma “la posizione del Movimento è chiara”, insiste la Pirro, che però alterna speranze a disillusione. “Il premier Conte – dice – sta valutando tutte le ipotesi. Non mi risulta ci sia una decisione già presa, e anche l’eventuale apertura dei bandi per la selezione delle imprese non sarebbe altro che una ricognizione preliminare e non la gara vera e propria. E Toninelli – aggiunge – ha detto che sarebbe un gesto obbligato se non si prendesse una decisione a breve”. E però poi, se le si ricorda della scadenza dell’11 marzo, giorno in cui si riunirà il cda di Telt (la società italofrancese responsabile dei lavori), confida il suo pessimismo: “Non so, non credo sia facile arrivare a uno stop definitivo prima di quella data”. E se si rivelasse impossibile, fermare l’opera? “A me risulta che siamo tutti per lo stop. Se dovesse venire fuori una posizione diversa ognuno farà le proprie valutazioni”, dice la Pirro. Ma un punto è chiaro: a dovere lasciare sarebbe chi tradisce. “Lascia chi cede sul Tav”. E il rischio, allora, è che a dovere abbandonare il Movimento siano esponenti di spicco, membri del governo. “Vedremo”, sibila, sibillina, la senatrice.