Il pranzo all'hotel forum tra Casaleggio, Grillo e Di Maio (foto Imagoeconomica)

Il Bambino (Di Maio) alle prese con Grillo e Casaleggio al pranzo in terrazza

Salvatore Merlo

Strutturarsi in partito, via il vincolo di mandato. Il M5s alle prese con se stesso (tutti divisi)

Roma. Il Matto, il Muto e il Bambino. Una parodia di Sergio Leone. Grillo, Casaleggio e Di Maio, seduti attorno alla stessa tavola, per quattro ore. E alla fine, come sempre, la spunta il Muto. Quello non spiccica mai una parola. Ma è il più dritto di tutti. Bada al sodo e alla roba, mica come Grillo. Quindi fa sempre parlare il Bambino, per convincere il Matto (Matto è una definizione che Grillo ha dato più volte di se). E mentre quello fa post sugli algoritmi, lui tomo tomo cacchio cacchio s’informa sulle nomine all’Inps. Funziona così: il Matto immagina alberi nel deserto, il Muto impasta a piene mani nel potere e il Bambino… crede di comandare. Ed ecco allora, dopo quattro ore, che leggermente stravolto – e non solo per il vino – Di Maio annuncia alle telecamere: “Siamo tutti d’accordo che serve una riorganizzazione del M5s”. Partono i festeggiamenti alla Camera. “Finalmente diventiamo un partito!”. 

 

Dalla vetta dell’esclusivo e riservato “roof resturant” dell’Hotel Forum, vista sulle rovine che toglie il fiato, Virginia Raggi è solo un brutto sogno, sta laggiù, lontana, nel traffico e nella monnezza, tra i sampietrini malevoli come tagliole. Quassù in terrazza è un’altra storia. Qua sì che si può parlare in santa pace. Cameriere, champagne! Casaleggio arriva alle 11, pantaloni scuri, maglioncino e cappotto blu, il solito volto chiuso che pare un guscio di mandorla. “Buongiorno dottor Casaleggio”, gli dicono. E Lui: “…”.

 

Il Muto, appunto.

 

Dentro c’è Grillo, che lo aspetta sulla terrazza, un solo piano di distanza dalla suite che riserva ogni volta. Occhiali semi-scuri, prende il sole con un suo vecchio amico e collaboratore che lo ha accompagnato in macchina da Genova. “Io sono la figura del garante, quella del padre. Ormai le scelte politiche le vedono loro”. Loro. Talvolta Grillo dice anche “questi” o “quelli lì”. In certi casi chiama Di Maio “quella merdina”. Ma con affetto. Ci mancherebbe. Ormai è tornato al suo mestiere, quello di comico nei teatri (mercoledì sera al Brancaccio, durante lo spettacolo, urlava a un noto giornalista indipendente: “Marco Travaglio ti amo”).

 

Alla fine arriva anche Di Maio, solita grisaglia e cravatta tipo catarifrangente, solite occhiaie. E’ teso, Luigi. Consumato, quasi. Più Salvini ingrassa sparandosi pane e salame, più lui si scava nelle guance. Come nei sondaggi. Come alle elezioni in Abruzzo, e forse pure in Sardegna. Come pare andrà alle europee di maggio. Ed è proprio di questo che si parla.

 

Tutti sanno che al vecchio Beppe, Salvini non sta tanto simpatico. Appena può ripete la battuta, ormai nota (“la sera del concepimento la mamma di Salvini avrebbe dovuto prendere la pillola”). Qualche giorno fa, alla vigilia del voto farlocco su Rousseau, quando si doveva decidere se graziare il ministro leghista o mandarlo a processo, Grillo aveva persino perculato la formulazione del sondaggio. Ritenendola favorevole a “quello che si veste da pompiere coi pompieri, da poliziotto coi poliziotti e coi migranti… da negro”. Insomma, favorevole a Salvini. Poche parole di Beppe, e grande caos nel M5s, sguardi interrogativi, svenimenti, amletismi, la deputata Dalila Nesci quasi in lacrime: “Beppe, purtroppo noi non possiamo chiedere a Gianroberto. Ma tu ci sei. Dacci un’indicazione”.

 

Così adesso, il Muto e il Bambino, cioè Casaleggio e Di Maio, trovandosi Grillo davanti sulla terrazza dell’Hotel Forum, usano proprio Salvini per convincere il Matto ad accettare l’inaccettabile: coordinatori regionali, alleanze con liste civiche, e anche l’abolizione del limite dei due mandati. Praticamente la metamorfosi del Movimento vaffanculista in un partito.

 

In poche parole il sogno del Muto, espresso però a parole dal Bambino.

 

Non che loro abbiano bisogno davvero di Grillo. Tutto il contrario. Sono al governo. Governano. E il modo di fare politica di Beppe non va più bene. Ma anche un tweet dell’Elevato può essere un problema, come s’è visto con il sondaggio di Rousseau. Quindi il vecchio va circuito, fermato, convinto, proprio per restare al governo e badare al sodo (Cdp, Rai, Istat, Inps, authority, commesse, persino il 5g dei cinesi).

 

Dice Grillo: “Ora c’è una mission impossible. Dobbiamo far ragionare e far diventare leggermente intelligenti quelli della Lega, che vivono in un altro mondo”. Gli risponde all’incirca Casaleggio (facendo però parlare Di Maio): è esattamente così, Beppe, ma per riuscirci dobbiamo essere strutturati meglio. “Dobbiamo – ha detto Di Maio – diventare più competitivi nei comuni e nella politica locale”.

 

Alle 15 il pranzo finisce. Il Bambino lascia il tavolo, scende al piano terra dell’Hotel Forum, e viene mandato a spiegare alle telecamere quello che è successo. “Abbiamo pranzato e siamo tutti perfettamente d’accordo sulla ristrutturazione del movimento”. Passa mezz’ora. E scende il Matto. Domanda: “Quindi ci saranno coordinatori e alleanze?”. Risposta: “Ripetimi per tre volte esse”. Passa un’ora. E scende il Muto. Domanda: allora avete convinto Grillo? Risposta: “…”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.