Massimiliano Smeriglio (foto via Facebook)

Chi è Smeriglio, l'ombra del congresso che dice ciò che Zingaretti non può dire

David Allegranti

Viene dalla sinistra movimentista romana. Quella che non s’accontenta di stare solo nei centri sociali ma poi riesce anche a entrare nel palazzo, perché il potere affascina tutti in fondo

Roma. Ci sono uomini macchina che non parlano, non intervengono in pubblico, che stanno nelle retrovie. Il renziano Luca Lotti, per dire, fa pochissime interviste ma agisce dietro le quinte. Massimiliano Smeriglio, braccio sinistro di Nicola Zingaretti, suo vicepresidente alla Regione Lazio e coordinatore dei comitati di Piazza Grande, ha invece un ruolo più esposto: è un agitatore politico di sinistra – tendenza movimentismo à la Garbatella – e un organizzatore di consenso strutturato sul territorio. Rilascia molte interviste. Argomento preferito: il Partito democratico. “Non è del Pd ma parla sempre sul Pd. E Zingaretti glielo lascia fare”, dice chi lo conosce.

   

I renziani che stanno con Maurizio Martina non lo amano, pensano che sia il cavallo di Troia del governatore per ingraziarsi i Cinque stelle dopo la possibile conquista della segreteria. Intenzione, a dire il vero, che Smeriglio non ha nascosto, visto che in queste sue interviste ha detto che con il M5s “bisogna proporre un disgelo, favorirne un processo interno. Verificare se ci sono, qua e là nei comuni e poi a livello nazionale, le condizioni di fare pezzi di strada insieme” (intervista al Manifesto, dicembre 2018).

    

Per l’idea di partito che ha in mente, Zingaretti aveva pur bisogno di coprirsi a sinistra e di fare l’occhiolino all’associazionismo. Un ex renziano che lo conosce lo definisce “l’eredità migliore della sinistra radicale della Seconda repubblica”. Zingaretti e Smeriglio rappresentano uno schema politico. Un modello che ha permesso al centrosinistra di vincere le regionali nel Lazio e che adesso potrebbe consentire a Zingaretti di superare gli avversari alle primarie, con un aiuto magari da quella sinistra ex filiera corta Prc-Sel-Leu che Smeriglio rappresenta e che ha portato in questi mesi in dote al governatore. D’altronde il vicepresidente della Regione, romanziere con una formazione debole in economia ma molto forte sul sociale (che poi è la sua specializzazione politica), viene da quel mondo lì: la sinistra movimentista romana. Quella che non s’accontenta di stare solo nei centri sociali (come La Strada alla Garbatella) ma poi riesce anche a entrare nel palazzo, perché il potere affascina tutti in fondo.

 

Smeriglio viene da Rifondazione, la sua carriera politica e culturale è tutta lì. E’ presidente del suo municipio, l’VIII (ex XI) dal 2001 al 2006, poi nel 2006 (c’era ancora l’Unione), viene eletto deputato e ci rimane fino alla caduta del governo Prodi, fino a quando cioè non iniziano i problemi esistenziali della sinistra-sinistra italiana. L’intuizione è il rapporto con Zingaretti, di cui Smeriglio diventa vicepresidente nel 2008, con l’elezione dell’oggi aspirante segretario del Pd alla presidenza della provincia di Roma. Deleghe per lui note: assessore al Lavoro e alla formazione. Nel 2013 torna in Parlamento con Sel, di cui è uno dei fondatori, ma poi si dimette subito per andare a fare il vicepresidente della Regione con Zingaretti, incarico che mantiene tutt’oggi. Dicono che sia più zingarettiano di Zingaretti. Di sicuro è meno incazzoso.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.