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Alla Camera tra i leghisti che di fronte a Tria temono di fare la fine di Renzi

Salvatore Merlo

Il ministro addormenta i deputati, poi però li sveglia parlando di opere pubbliche e scatena rivolte e risate. Il gap con la realtà

Roma. A Montecitorio Giovanni Tria prende la parola in un’Aula che sprigiona un gelo da ufficio contabile, una noia di cancelleria provinciale infestata dalle mosche. I deputati di maggioranza e opposizione se ne stanno ripiegati sullo schermo del cellulare, dell’iPad, qualcuno guarda video di gattini su Facebook, mentre il ministro dell’Economia relaziona sulla situazione italiana e dice che “non c’è nessuna recessione: solo una battuta d’arresto”. Ma questo è il palco. Poi forse c’è la realtà. La Commissione europea ha ridotto di cinque volte le stime di crescita del pil, praticamente le ha demolite. Così come hanno fatto la Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale. La Borsa chiude in calo. E allora s’intuisce che se non arriva il boom economico di Luigi Di Maio o il “2019 bellissimo” di Giuseppe Conte, per dirla con Renata Polverini, veracemente seduta su un divanetto del Transatlantico: “So’ cazzi”. Non è una relazione tecnica. Ma rende bene l’idea.

   

Tria, intanto, in Aula alla Camera, continua a leggere con andamento monotono dal suo fogliettino. Non ha più l’aria da guerriero dei conti, sembra recitare un ruolo che forse non convince lui per primo. Ma chissà. Certamente il ministro non intercetta l’attenzione dei deputati che sonnecchiano. Poi però succede qualcosa. A un certo punto Tria infrange la pennichella collettiva con una frase sonora: “Abbiamo ripreso con gli investimenti”. Qualcuno si stropiccia gli occhi incollati. “Che ha detto?”. Incredulità stiracchiata. Così, recuperate le facoltà psico-verbali: “Quali investimenti?”, grida Maria Stella Gelmini. “Di che cosa parla?”. Ma il ministro ha il volto chiuso come un guscio di mandorla. Prosegue, sordo, impassibile. “L’Italia promuove gli investimenti e le infrastrutture”, continua. Risate dell’opposizione. Applausi di M5s e Lega. L’aria comincia a farsi frizzantina. Ma Tria è una sfinge, l’incarnazione dell’atarassia: “…e rispetta gli impegni contrattuali…”. Non fa in tempo a finire la frase che Renato Brunetta, che gli sta praticamente di fronte, in piedi sulla garitta, lo interrompe: “Come sulla Tav?”. Ed ecco che succede un miracolo. Una scarica elettrica attraversa l’impassibile ministro, che si ferma, solleva lo sguardo, e contemporaneamente solleva anche il braccio come un automobilista nel traffico: “Ma stai zitto!”. E’ un attimo liberatorio. Un momento profondamente veritativo. Tria non ne può più. Non dell’opposizione, ma proprio di Brunetta. Sa di avere il ruolo ingrato di dire mezze verità, quindi in Aula sopporta tutto da tutti. Ma Brunetta no. Brunetta non lo sopporta più. Da almeno un decennio suo collega all’Università di Tor Vergata, suo vecchio amico, e adesso suo stalker, il professor Brunetta lo perseguita da mesi: nelle commissioni parlamentari, sui giornali, in televisione e persino a Radio Radicale. “E’ l’ultima puntata della telenovela ‘Renato cuore infranto’”, dicono allora maligni quelli di Forza Italia, che intanto osservano con invidia Luigi Marattin, il deputato del Pd che quando prende la parola dopo il ministro fa un intervento preciso e martellante, mentre a suo fianco è seduto Pier Carlo Padoan. Il giovane e il grande vecchio, che collaborano. L’immagine di un partito che di vitalità in questo periodo per la verità ne comunica poca. “Lei l’ha mai visto un paese che cresce innalzando la pressione fiscale? Un paese che cresce diminuendo di un miliardo gli investimenti pubblici?”, chiede Marattin a Tria.

   

I deputati della maggioranza, quando vogliono, con un applauso o una bordata di fischi riescono a far tacere chiunque in Aula. E’ la forza dei numeri. Lega e M5s si alzano contemporaneamente in piedi dagli scranni, e si risiedono, come la legione tebana. Poi fuori, in cortile, tra un sorriso e una sigaretta, i leghisti però si abbandonano a considerazioni di spiccio realismo: “Dopo le europee, fatto il pieno di voti, rischiamo di trovarci nella stessa situazione di Renzi nel 2014. Ma dovremo fare la finanziaria, con il pil in testacoda e le clausole di salvaguardia…”. C’è il palco di Tria, e c’è la realtà.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.