Gli auguri del presidente Mattarella ai contingenti militari impegnati nelle operazioni internazionali (foto LaPresse)

Mattarella contro il ritiro delle truppe dall'Afghanistan

Alessandra Sardoni

Gerarchie scavalcate, procedure forzate. L’annunciato addio a Kabul ha creato in Italia un caso istituzionale

Roma. Non è bastato nel pomeriggio di ieri, il messaggio whatsapp del portavoce della ministra della Difesa con la notizia di una “telefonata molto cordiale” fra Elisabetta Trenta e il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi a ricomporre una ferita che non è solo procedurale né solo di galateo fra istituzioni, ma che, sia pure velata dai decibel del caso Salvini-Diciotti, è un’ulteriore prova delle tensioni nella maggioranza, della coabitazione di linee politiche contraddittorie e confliggenti in politica estera e di come anche il Quirinale non abbia gradito l’annuncio a sorpresa del prossimo ritiro dei militari italiani dalla missione Isaf della Nato in Afghanistan. A quanto apprende il Foglio, a dispetto delle ricostruzioni pubbliche della ministra, il presidente Mattarella è stato avvertito telefonicamente solo a cose fatte, a parole scritte, a dichiarazioni fuggite o altrimenti programmate. Stesso trattamento insomma lamentato dal ministro Moavero, dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg (irritato dalla svolta ritirista) nonché da Salvini. La rivendicazione ruvida della titolarità dell’annuncio e della decisione fatta ieri dalla Trenta in un’intervista al Corriere – “non ho obblighi verso Moavero” – ha raddoppiato i malumori sia alla Farnesina sia negli ambienti della Difesa. Così sono uscite allo scoperto voci autorevoli delle gerarchie militari tutte assai critiche. “Allibito” si dice il generale Vincenzo Camporini: “Forse non è noto alla ministra che le Forze armate sono lo strumento della politica estera e che più che informare Moavero avrebbe dovuto concordare con lui non solo le dichiarazioni, ma anche le decisioni”.

 

Ugualmente critici oltre a Leonardo Tricarico, i generali Mauro Del Vecchio e Vincenzo Santo entrambi con esperienza in Afghanistan e Marco Bertolini, ex Folgore che giudica “superficiale e avventata” la mossa di Trenta. 

 

Prese di posizione che si accompagnano a un allarme diffuso per una perdita di affidabilità e per modalità di comunicazione che esporrebbero a rischi gli stessi militari italiani in Afghanistan. Laddove il metodo e le forme sono molto se non tutto. “Il governo Gentiloni aveva già predisposto la riduzione del contingente di 200 unità, ma con accordi con la Nato e fra i partner per una sostituzione” sottolineano fonti parlamentari della ex maggioranza. Non viene ritenuta sufficiente, in ambienti informati della Difesa, l’argomentazione che si sia trattato di una conseguenza diretta e naturale del disimpegno americano comunicato da Donald Trump. “Hanno sentito Trump e colto la palla al balzo per parlare al loro elettorato o almeno a una parte”, sussurra chi ha avuto modo di vedere da vicino la genesi della svolta ed esclude che si tratti di trumpisti italici contro l’atlantismo puro di Moavero. Il plurale non viene usato a caso perché il fatidico “via l’Italia dall’Afghanistan” sarebbe maturato nel gruppo dirigente 5 stelle in particolare con una scelta condivisa da Di Maio, Di Battista, Davide Casaleggio e il portavoce di Conte Rocco Casalino e, secondo questa lettura, subita dalla ministra. Pistola fumante di questa versione sarebbe un’intervista rilasciata dalla stessa Trenta fresca di giuramento il 29 giugno scorso alla rivista online Defense news. “Non vogliamo minare la stabilità del paese o ridurre il supporto alla popolazione. Vogliamo un cambio di passo, come stabilito dal precedente governo, lasciando allo stesso tempo la missione operativa” dichiarava nello stesso periodo in cui difendeva gli accordi sugli F-35 storicamente contestatissimi dal Movimento. Era la fase iniziale, le feste estive della Link Campus da cui Trenta proviene, l’iscrizione all’area riservata e ristretta dei ministri interlocutori del Colle insieme a Tria e a Moavero anche se già dagli esordi con quest’ultimo si segnalava scarso feeling e possibile competizione. Una fase che sembrerebbe lontana, smentita dal caso Afghanistan e da un’aneddotica che ha per oggetto le ingerenze dello staff sulla ministra in diverse missioni all’estero. Staff che ieri si incaricava della controffensiva: “Lo stato maggiore è in linea con il ministro; l’ammiraglio Di Paola ministro della Difesa ai tempi di Monti, dichiara che prima o poi le cose finiscono e che la decisione dipende dalla trattativa degli americani con i talebani; Camporini e Tricarico sono in pensione; Moavero va in Libia senza avvertire la Difesa” questi il tono e il contenuto della replica a uso dei media. Contraddittoria rispetto alla tesi della telefonata distensiva tra Difesa e Farnesina.

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