Luca Zaia (foto LaPresse)

Allarme autonomia

Valerio Valentini

Salvini rassicura Zaia e Fontana, ma il Veneto ribolle. Le prime firme del M5s “contro la secessione”. Parla Da Re

Roma. A sentire chi vi ha preso parte, è stata una riunione “senza grandi novità”. Il che, a seconda di come la si voglia vedere, può apparire una notizia rassicurante o un segnale d’allarme. Sta di fatto che quando Luca Zaia e Attilio Fontana, i governatori del nord autonomista ancora in attesa di messaggi di chiarezza, sono entrati al Viminale per incontrare Matteo Salvini, il portale della “Lega Nord” in sostegno dell’attuale governatore veneto segnalava poco più di 81 miliardi alla voce “Euro regalati allo stato” da parte della loro regione a partire dal 2015. Quando, dopo pranzo, sono arrivati i primi commenti sul vertice (“Più un incontro di partito, che non di governo”, spiegavano dal ministero dell’Interno, evidenziando come l’ufficio di Salvini fosse stato scelto come luogo del summit “per meri motivi organizzativi”), il contatore online, inesorabilmente, aveva superato quella quota: oltre quarantamila euro al minuto, quasi due milioni e mezzo all’ora.

 

 

E però, nel frattempo, in questa ennesima giornata di inconcludente fermento intorno al tema dell’autonomia di Veneto e Lombardia, lievitava anche un altro numero: quello, cioè, dei sottoscrittori della petizione lanciata su Change.org da Gianfranco Viesti: “No alla secessione dei ricchi”, era il titolo, che riprende grosso modo quello di un volume che lo stesso docente dell’Università di Bari ha da poco pubblicato per Laterza (“E scaricabile gratuitamente online, perché il tema è troppo urgente”, chiariscono dalla casa editrice): il computo arriverà a quasi 16 mila, a fine giornata. E tra le molte, però, soprattutto otto erano quelle che venivano notate, con una sorpresa mista a rabbia, da parte di alcuni senatori leghisti. Maria Marzana, Alessandro Amitrano e Giorgio Lovecchi, deputato del M5s; e poi Maria Muscarà e Rosa Barone, consigliere regionali grilline in Campania e Puglia. E poi, soprattutto, Saverio De Bonis, Sabrina Ricciardi e Bianca Laura Granato: tre eletti col M5s a Palazzo Madama, il primo dei quali già espulso ma ancora in contenzioso col collegio dei probiviri a cinque stelle.

 

“E’ chiaro che anche i numeri parlamentari contano, eccome, in questa partita”, dice Silvia Rizzotto, la capogruppo della lista “Zaia presidente” a Palazzo Ferro Fini, che nei giorni scorsi si è scagliata contro la “tela di Penelope” del M5s. “Quella dei grillini – spiega la consigliera regionale – è una convinzione a intermittenza, sull’autonomia. Qui hanno fatto campagna per il Sì, ai tempi del referendum del 2017. Di Maio, quando è venuto a Belluno, ha ribadito la sua determinazione nel proseguire il percorso. Poi però alcune dichiarazioni di importanti esponenti grillini ci hanno fatto molto preoccupare. Ora sembra di nuovo che ci siano delle rassicurazioni”. Perché, al di là della presunta buona volontà del capo politico, il problema sta nei ministeri grillini. Ed è qui che la Rizzotto parte con l’elenco: “La Lezzi, ministro del Sud. Toninelli, ministro delle Infrastrutture. Costa, ministro dell’Ambiente. La Grillo, della Sanità. E poi anche il ministro dell’Istruzione”. Ma Bussetti non è in quota leghista? “Sì, ma anche lì ci sono stati degli intoppi. Sia chiaro – prosegue Rizzotto – che alcuni approfondimenti sono necessari, non siamo così sciocchi da pretendere tutto e subito. Ma il sabotaggio, l’ostruzionismo, non sono ammissibili da parte dei nostri alleati di governo a Roma. Nel giro di qualche settimana si deve trovare l’accordo, e partire con la spesa storica, per poi arrivare, nel giro di quattro o cinque anni, ai costi standard”, dice. E però proprio questa è la paura dei grillini, non solo quelli del Sud: e cioè che una volta che si sia aperta la porta dell’autonomia, poi sarà difficile controllare le eventuali derive nordiste. E’, ad esempio, proprio la critica espressa con forza, nei giorni scorsi dalla senatrice grillina Paola Nugnes, vicina a Roberto Fico. “Anche io ho firmato la petizione di Viesti, non so perché ancora non risulta”, spiega. E insomma, a questo punto, i senatori contrari sarebbero già quattro, cui si aggiungerebbero quelli di una folta pattuglia di eletti meridionali del M5s. E a Palazzo Madama i margini di sicurezza della maggioranza sono risicati: cinque, sei voti appena. Anche per questo, forse, Zaia negli scorsi giorni si è speso con zelo per rispondere colpo su colpo, lettera su lettera, alla stessa Nugnes: “C’è la consapevolezza che, al di là degli accordi governativi, poi ci sarà bisogno di una ampia maggioranza alle Camere”, conferma la Rizzotto. “Ma c’è anche la volontà di spiegare a tutti i grillini, soprattutto quelli del sud, che l’autonomia conviene a tutti, anche e soprattutto al sud”.

 

E se la Rizzotto è più conciliante, nei toni e nelle intenzioni, assai più sbrigativo è Gianantonio Da Re, vulcanico segretario della Lega in Veneto. A giudizio suo, la questione è facile da liquidare: “O passa l’autonomia, o per noi del Carroccio non c’è motivo di restare in questo governo”. Difficile da digerire, come ultimatum, per un partito come il M5s che raccoglie gran parte del suo consenso da Roma in giù. “Ma anche noi abbiamo sopportato il reddito di cittadinanza, a cui siamo ovviamente contrari. Per questo – spiega Da Re – entro il 15 febbraio, come aveva promesso Salvini, l’accordo deve passare in consiglio dei ministri. E da lì si partirà: sarà il primo passo di un lungo cammino”. Ma quei senatori grillini che già hanno firmato un documento pubblico contro l’autonomia? “Se vogliono firmare contro la caduta del governo, hanno scelto il metodo più semplice e più veloce”, conclude Da Re, con il tono di chi non ammette repliche.