Giorgia Meloni e Matteo Salvini (foto Imagoeconomica)

La paura dell'incidente spinge Lega e M5s ad ammiccare alla Meloni

Valerio Valentini

Il potere come unico collante. “Resto convinto che FdI potrebbe entrare nel governo”, ci dice Sibilia. L'idea leghista di Crosetto al ministero dei Trasporti

Roma. Attorniato dai suoi collaboratori, con in mano una ventiquattrore di cuoio lucido professionalissima, Carlo Sibilia rivendica la sua coerenza: “Io lo aveva detto già all’epoca”. L’epoca, cioè, della formazione del governo, le ore febbrili di quel 31 di maggio in cui tutto sembrava dovere compiersi, e però incombeva ancora la paura del fallimento. “Sì, resto convinto che non sarebbe un dramma fare entrare Fratelli d’Italia nel governo”, spiega. Poi il sottosegretario all’Interno si ferma, e appena sente nominare la parola “rimpasto”, quasi si stranisce. “Per avviare l’operazione ci sarebbe bisogno di un accordo organico, com’è stato il contratto tra noi e la Lega, sui programmi e non sulle poltrone. Ma d’altronde – ridimensiona infine tutto il suo ragionamento – non mi sembra proprio che ci siano contatti in corso, al momento”. Chissà.

 

Quel che è certo è che al Senato i numeri della maggioranza sono ormai considerati così striminziti che, quando ai grillini si chiede come mai ci si ostini a non espellere Elio Lannutti dopo i suoi tweet antisemiti e contro il “padrino” Sergio Mattarella, è proprio ai numeri che si fa riferimento: i gruppi di Lega e Cinque stelle, a Palazzo Madama, arrivano a 165 componenti, appena quattro in più della soglia minima. Ma tra i 107 grillini, i nomi dei dissidenti sono noti: da Paola Nugnes a Elena Fattori, passando per Matteo Mantero e Virginia La Mura, tutti già attenzionati dai probiviri. Così come pure Lello Ciampolillo: il quale, dice chi lo conosce, “sta facendo di tutto per farsi cacciare”, incaponendosi sulla difesa degli ulivi infestati dalla Xylella come al più dignitoso dei pretesti possibili.

 

“Se i senatori di Fratelli d’Italia vorranno votare dei nostri singoli provvedimenti, ben venga”, dice il capogruppo Stefano Patuanelli, mentre si accende una sigaretta nel cortile. E d’altronde, mentre svanisce l’ansia anche stavolta accumulata invano sulla questione delle Trivelle, liquidata già l’ennesima finta crisi – risoltasi con la somma ipocrisia di una proroga – ma già forse pensando all’incidente che presto o tardi potrebbe concretizzarsi, due esponenti del governo leghista la battuta se la lasciano scappare: “Vorrà dire che toccherà offrire il ministero dei Trasporti a Guido Crosetto”. Il quale, raggiunto già da queste voci, dando mostra di fastidio più che di lusinga, nei giorni scorsi rispondeva categorico: “Non esiste”. E certo, ci sta che quello dei leghisti sia più un auspicio che una constatazione, ché liberarsi di Danilo Toninelli – difeso ormai da Alessandro Di Battista con lo sforzo commovente di chi puntella un palazzo pericolante – avrebbe dei vantaggi notevoli; ma è anche vero che non è pensabile restare a lungo appena al di sopra della linea di galleggiamento, a Palazzo Madama.

 

Matteo Salvini, ai suoi fedelissimi, lo ha ribadito nella riunione di lunedì scorso, al Viminale: “Farò tutto quello che serve per fare durare il governo più a lungo possibile”, e nessuno lo ha interrogato in modo diretto sui confini esatti di quel “tutto”. Ma in fondo, come sempre, anche in questa legislatura del “cambiamento” resta il potere, l’ebbrezza che dà il sentirsene investiti, il vero collante della maggioranza. E quindi anche con Giorgia Meloni si finirà col parlare, se non altro per non lasciarle – lì a destra – una libertà di critica eccessiva e che spesso – dal reddito di cittadinanza fino al global compact – ha dimostrato di sapere sfruttare per mettere in difficoltà il Carroccio. “I nostri voti non sono certo in congelatore”, dice Crosetto. “Anzi, sono a disposizione di chi volesse correggere leggi assurde come il reddito di cittadinanza”, aggiunge, come a voler subito rilanciare la sfida a Salvini, come a volere alzare preventivamente il prezzo. “Lo alzino quanto vogliono, di fare accordi di maggioranza con loro non se ne parla. Un conto sono le singole misure, un altro è la fiducia al governo”, s’irrigidisce allora Patuanelli. E quasi viene spontaneo, provare a riferirgli delle parole del suo collega Sibilia. Ma la sigaretta è finita, e lui già si sottrae: “C’è la questione dei dirigenti scolastici, devo risolvere una grana”. Un’altra.