Foto dal profilo Twitter di Rossella Muroni

Davanti al pullman che trasferiva i migranti. Parla Rossella Muroni

Marianna Rizzini

“Voglio avere indicazioni precise su dove andranno queste persone”, ha detto la parlamentare all’autista del bus fuori dal Cara di Castelnuovo di Porto

Roma. Rossella Muroni è la parlamentare di LeU che due giorni fa ha fermato uno dei pullman comparsi davanti al Cara di Castelnuovo di Porto (pullman su cui salivano i migranti destinati ad altri luoghi per effetto del decreto sicurezza voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini). Chiusura entro il 31 gennaio, trasferimento. Ma per dove? Non si è saputo fino all’ultimo momento, motivo per cui in Parlamento c’è chi, come il deputato del Pd Roberto Morassut, ha parlato di “deportazione” (dei 535 uomini, donne e bambini, di cui quindici scolarizzati e quindi già integrati nel comune ospitante). Rossella Muroni, che ha alle spalle una lunga esperienza in Legambiente e nella gestione delle emergenze post-terremoto, non vuole usare lo stesso termine: “Non c’è bisogno di parallelismi con la tragedia della Shoah. E’ già abbastanza grave: si sapeva, sì, che il Cara di Castelnuovo di Porto doveva essere chiuso ma, al di là delle diverse opinioni in merito alla chiusura, io dico: siamo in uno stato di diritto, e in uno stato di diritto il metodo è importante. Si poteva gestire il tutto con più umanità e attenzione”. Racconta la deputata di aver contattato il sindaco di Castelnuovo di Porto subito dopo essere stata avvisata dell’imminente trasferimento dei migranti. A quel punto, dopo aver chiesto che il governo riferisse in Aula, si è recata di persona al Cara, proprio mentre i pullman arrivavano nel piazzale antistante il centro: “Gli operatori della Auxilium che ora rischiano di perdere il lavoro hanno ricevuto un file excel dalla prefettura soltanto 24 ore prima, con la suddivisione dei migranti sui vari pullman. E allora io contesto il modo: ci si è affidati a un foglio excel e al rapporto fiduciario tra operatori della Auxilium e migranti, i quali non avevano idea di che cosa li aspettasse. Mi ha colpito che si ragionasse per numeri. Ma quelli sono esseri umani. Ci sono storie diverse, situazioni diverse. Ci sono bambini che vanno a scuola: hanno idea, gli estensori del provvedimento, di che cosa significhi dire a un bambino che si sta integrando in una classe: da domani tu non vai più a scuola lì? E al suo compagno che resta: da oggi quel bimbo non viene più perché da un giorno all’altro è stato trasferito? E ci si è chiesti quanta acqua potrebbe portare al mulino della rabbia, dell’odio, della non-integrazione il dover vivere o anche solo vedere dal di fuori una simile situazione?”.

  

“Voglio avere indicazioni precise su dove andranno queste persone”, ha detto Muroni all’autista del bus, appoggiando le mani al vetro. “E’ stato un gesto istintivo, un gesto politico ma non di parte. Penso che in uno stato di diritto, per ogni pullman che partiva, si sarebbero potute e dovute conoscere le condizioni delle persone a bordo – da garantire nelle strutture di arrivo. A loro si doveva dare il tempo di capire, e magari di chiamare il proprio avvocato, visto che molti sono in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. E poi: in quel gruppo c’erano anche delle ragazze vittima di tratta. Terrorizzate: si sentivano in pericolo, perché questo trasferimento dall’oggi al domani le può ributtare in una condizione di debolezza”.

   

Non voleva “inveire”, Muroni, e non l’ha fatto: “L’altro giorno ho ripassato mentalmente l’etimologia della parola ‘obbedienza’: significa ascoltare stando di fronte. Ecco: ascoltiamo, spiegateci il senso. Capisco che ci sia un tema di ordine pubblico. Ma almeno, dico io, avvertire con anticipo. E mettere, a monte del trasferimento, uno sportello informativo dentro il Cara. Penso che i diritti negati di uno siano diritti negati per tutti. E penso che si debba riflettere sul fatto che se chiudi i Cara e contemporaneamente metti in crisi gli Sprar, e riduci i fondi per l’integrazione, per esempio per i corsi di italiano, la situazione peggiora, e di molto”. In quest’ottica, dice Muroni, “il gesto che ho fatto è stato un gesto a difesa del mio paese”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.