“Crescere dell'1 per cento è ambizioso, ma se vinciamo le europee faremo la vera flat tax”. Parla Garavaglia
Il sottosegretario leghista al Mef non vede il boom. “Siamo preoccupati per la frenata mondiale. Ma la manovra è espansiva”
Roma. Se gli si fa notare che la politica economica del governo la dettano i grillini, scuote la testa, risentito: “È chiaro che se ci fosse stato un monocolore Lega, la manovra sarebbe diversa”. Ma il monocolore non c’è, e nel frattempo c’è Luigi Di Maio che parla di un imminente boom economico. “Noi siamo invece realisticamente preoccupati per la frenata dell’economia mondiale, e proprio per questo abbiamo fatto di tutto per non riproporre le stesse ricette, improntate al rigore, di chi ci ha preceduto, e che ci hanno condannato a essere il fanalino di coda dell’Europa. Ora si risale la china”. Quando Massimo Garavaglia si siede sul divanetto di una stanza appartata al primo piano del Senato, al termine di una lunga riunione al Viminale in cui Matteo Salvini ha ribadito che farà di tutto per non mettere in crisi il governo, le stime del Fmi sul 2019 sono appena uscite. E dunque il sottosegretario leghista all’Economia ancora non sa che, anche quest’anno, per l’Italia si pronostica quell’ormai abituale e inglorioso ultimo posto nell’Eurozona per quanto riguarda la crescita.
“Anche stavolta?”, chiede conferma. Anche stavolta: un aumento del pil dello 0,6 per cento, quattro decimali in meno di quelli previsti dalla legge di Bilancio. “L’uno per cento è un obiettivo ambizioso, ma se le cose vanno per il meglio anche raggiungibile”. Insomma, ambizioso per non dire velleitario. Non sarà che si finirà col ricorrere a una manovra correttiva: “E’ un discorso prematuro. Impegniamoci a ottenere il massimo dei risultati possibili in questi primi mesi del 2019. Di certo, non avessimo fatto una manovra espansiva, ora ci andremmo a schiantare”. Espansiva? Più tasse e investimenti al palo. “Banalmente, se metti sedici miliardi su due misure di carattere sociale, come reddito di cittadinanza e quota cento, ottieni degli effetti positivi sulla domanda interna”.
Veramente nella vostra relazione tecnica, stimate un effetto moltiplicatore del reddito di cittadinanza pari allo 0,3. “Vuol dire che il settanta per cento dei soldi ricevuti dai beneficiari, finiranno sotto al materasso? Non ci credo proprio”. Sta di fatto che gli elettori della Lega speravano nella flat tax. Si ritroveranno con un innalzamento della spesa assistenziale e con un aumento della pressione fiscale dello 0,4 per cento. “Bisogna analizzarli bene, quei numeri”, protesta Garavaglia. “In quello 0,4 ci sono, ad esempio, gli introiti della pace fiscale, le maggiori entrate del contratto del pubblico impiego, o la tassa sui giochi, che risponde a una precisa scelta politica. Siamo partiti con una flat tax parziale che sostiene soprattutto le imprese più piccole e quelle più in difficoltà”. E certo non le incentivate a crescere, con questo regime dei minimi che sconsiglia di superare la soglia dei 65 mila euro. “Nel 2020 si salirà a 100 mila, proprio per evitare questo rischio di schiacciamento. Ma non vediamo grandi problemi sotto questo aspetto, fermo restando che si può pensare di strutturare un regime più complesso per chi supera i limiti del regime agevolato”. E poi c’è il rischio della proliferazione di false partita Iva. “No, perché c’è l’obbligo della committenza plurale. Semmai, in questa flat tax parziale io vedo tre aspetti molto positivi: detassazione, semplificazione, ed emersione del nero”.
E tuttavia il grosso della manovra viene speso in pensioni e reddito di cittadinanza. Obiettivamente, se si puntava alla crescita, si poteva spenderli meglio. “Sosteniamo anche gli investimenti”. Veramente restano sostanzialmente invariati, se non leggermente in calo di circa un miliardo nel complesso. “Ci sono anche investimenti che ci sono ma non si vedono”. Prego? “Abbiamo trasformato buona parte dei contributi agli enti territoriali da spesa corrente a spesa per investimenti: ci sono 250 milioni per le province e circa 2,5 miliardi alle regioni”. Ma gli investimenti in capo agli enti locali hanno tempi lunghissimi: bandi, appalti, ricorsi ... “Ed è per questo che, sempre tra gli incentivi che non si vedono nel bilancio, c’è l’impegno a rimuovere gli ostacoli alla spesa: eliminiamo il divieto a spendere in avanzo per gli enti locali, un altro miliardo, e poi, soprattutto, modifichiamo quella somma idiozia che è il Codice degli appalti. Che Dio abbia in gloria chi se l’è inventato”.
Il ministro Toninelli aveva promesso la sua riforma “entro novembre 2018”: siamo un po’ in ritardo. “Ci stiamo lavorando con serietà, al di là delle scadenze annunciate. E mentre procede la revisione globale del Codice, abbiamo alzato le soglie: 150 mila per le gare più semplici e 300 mila per quelle più complesse”. Ma nel frattempo approvate una legge anticorruzione così punitiva che è un incentivo all’inerzia per qualsiasi amministratore. “Lo sappiamo bene che chi amministra, in Italia, è un po’ matto”, scherza Garavaglia, ricordando i suoi dieci anni da sindaco in quel di Marcallo con Casone. E però, scherzando, elude l’obiezione. “Prima o poi chiunque amministra finisce nei guai, in questo paese”.
Anche qui, sulla giustizia, c’è una deriva grillina, nel governo. “Ma no, direi semmai che ognuno segue con particolare attenzione i propri dossier”. Ma che governo è, un governo che si regge sul sopportarsi a vicenda? La Lega vota provvedimenti grillini che non condivide, in cambio del via libera a misure leghiste che il M5s non apprezza. “Prodi aveva 18 partiti, nel suo esecutivo. Per essere, come siamo, un governo di coalizione, direi che stiamo procedendo bene, anche se ognuno tira l’acqua al proprio mulino”. E sulla Tav, dov’è che si tira? “Io sono convinto che l’analisi costi-benefici sarà positiva, e tutto si risolverà”. E se invece così non fosse? “Allora direi che dare la parola ai cittadini sarebbe la scelta migliore. D’altronde il M5s è per la democrazia diretta, no?”. A proposito di referendum, la Lombardia di cui Garavaglia è stato assessore al Bilancio, attende che venga dato seguito a quello sull’autonomia. “Siamo fiduciosi che a metà febbraio si parta davvero”. I grillini non sembrano entusiasti. “E’ una misura importantissima, ed è nel contratto di governo”.
Tra feste sul balcone e diverbi coi commissari europei, questa irresponsabilità ci è costata già 1,7 miliardi di maggiore spesa sugli interessi, secondo l’Istat. “Le trattative hanno un costo. Se fossimo partiti col 2 per cento di deficit, saremmo finiti all’1,6. E sarebbe stato un disastro”. Ma nella Lega c’è chi culla la tentazione di piani B e di soluzioni radicali. “Quello che conta sono gli atti ufficiali, che dimostrano che non c’è alcun progetto di uscita dall’euro nel governo”. Di Maio però ammicca ai gilet gialli. “Io preferisco quelli arancioni degli operai: significano nuovi cantieri, nuovo lavoro”. E dichiarare la guerra ai “pezzi di merda del Mef”, criticare il ministro Tria, è stata una scelta saggia? “Io personalmente non ho dichiarato guerra a nessuno. E con Tria vado perfettamente d’accordo”. Quanto regge, questo governo? “E’ un governo di legislatura”. E’ pronto a ripeterlo anche se le europee sanciranno un sorpasso della Lega ai danni del M5s? “Semmai, passeremo all’incasso sul programma: diremo forte e chiaro che la sfida riguardo il lancio della flat tax vera e propria”.
Antifascismo per definizione
Parlare di patria è paccottiglia nostalgica e un po' fascista? Non proprio
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