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Raggi parla di monnezza e Roma diventa un film di Bombolo

Salvatore Merlo

“Ma c’ha detto? Boh”. Un sindaco in dissolvenza. Scene da un consiglio comunale di fine epoca

Alla fine la cosa più adeguata al contesto è probabilmente questo signore vestito in frac, papillon e cappello a cilindro, che cammina lungo la piazza del Campidoglio tenendosi in equilibrio su un paio di trampoli da circo alti almeno due metri. Si chiama Dino, fa l’attore, e protesta perché “Roma è diventata tutta una discarica”. Almeno lui è elegante, quasi felliniano. Nel Palazzo, intanto, c’è il Consiglio comunale. Virginia Raggi deve parlare in Aula, la città è un immondezzaio a cielo aperto, e allora lei deve spiegare, annunciare, provvedere… Così, sotto la statua perplessa di Giulio Cesare, ecco che il presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, in completo blu Atac (l’azienda dei trasporti perennemente in sciopero) avverte: “E’ fatto divieto ai consiglieri di RIVOLGERSI AL PUBBLICO IN SALA. E contestualmente invito il pubblico a comportarsi con COMPOSTEZZA”. Figurarsi. Il Campidoglio è sempre sul filo di lana tra palcoscenico e bordello, in una città da tana libera tutti. Una sorta di triste e perenne carnevale.

 

Arriva la sindaca. Prende posto sullo scranno centrale. Completo scuro, un filo di trucco, discorso scritto davanti agli occhi. Estremamente seria, tesa.

– “Buongiorno a tutti” (voce romanesca dal fondo dell’Aula: “Sì, e bonanotte”).

– “La città è messa a dura prova dall’emergenza rifiuti. Vorrei e vorremmo tutti molto di più. Ma il cambiamento non avviene da un giorno all’altro” (sempre la stessa voce: “So du’ anni che è così, a sinnaca, svejate!”).

– “Quello che altre città fanno in anni, noi lo facciamo in mesi…” (accenno di pernacchia subito represso dai vigili urbani).

– “Abbiamo scoperto che tra il 25 e il 30 per cento delle utenze non pagava la tassa sui rifiuti” (“Sì, e mo è colpa dei cittadini”).

 

Sembra di essere in un film di Bombolo. Surreale il discorso, surreali e stanche le contestazioni, mentre anche dalle grandi finestre che danno sulla piazza arrivano urla, fischi e lazzi. Fuori ci sono ben tre manifestazioni di protesta. In concorrenza tra loro. Tira un’aria da caos terminale.

 

Sul lato destro della piazza michelangiolesca, sotto al muro dei Musei capitolini, ci sono una trentina di dipendenti dell’Ama, l’azienda municipalizzata della nettezza urbana, che ce l’hanno con il sindaco, ma anche con i giornalisti che fanno “disinformazione” sull’assenteismo in azienda: “Che nun è vero”, urla dentro al megafono Giovanni Belluomo, coordinatore nazionale del sindacato Usb-Ama. Poco più in là, ecco invece una cinquantina di dipendenti di Roma metropolitane. Anche loro sono arrabbiati, ma per altri motivi. Fulvio Corbo, sindacalista della Filt Cgil, a un certo punto si avvicina al sindacalista dell’Ama. “Ce state a fa’ una violenza”, gli dice. “La piazza l’avevamo prenotata noi”. Ognuno ha la sua trincea, rabbia contro rabbia. Un metro più a destra, quasi sotto alla statua della lupa capitolina, c’è la terza manifestazione: le associazioni dei cittadini, gli iscritti del Pd vestiti da sacchi della spazzatura, i presidenti di municipio, qualche sindaco della provincia laziale con fascia tricolore. Così, intorno alla discarica, cioè intorno alla capitale d’Italia e alla sua amministrazione in panne, ecco il circo romano. Dentro e fuori.

 

In Aula l’intervento di Virginia Raggi procede con la levità di uno zoppo che corre. I vigili urbani tentano di espellere l’ex consigliere comunale del Pd Athos De Luca, che urla, muove braccia e gambe all’unisono, poi si butta a terra, “mi dovete caricare di peso”. I vigili ci provano. Poi desistono, scoglionati: “Dai fate i bravi”. La seduta viene sospesa, ricomincia, poi viene di nuovo sospesa. “DIMISSIONI DIMISSIONI”. I vigili tentano di espellere il segretario cittadino del Pd, Andrea Casu, che è l’unico che non urla. Si avvicina il presidente grillino della commissione Mobilità, Enrico Stefano, forse per agevolare il traffico. Non si capisce più niente. E così nessuno quasi si accorge che intanto Raggi ha terminato di leggere il suo discorso. Sembra sollevata, la sindaca. Forse perché nessuno l’ha ascoltata. “Ma c’ha detto?”. “Boh”. Ogni cosa a Roma ha questo senso dell’identico ritorno – nel gesto, s’intende. Scese le scale monumentali, su piazza Venezia, riecco la monnezza che sempre là sta, chiunque governi. “Il vento sta cambiando”, diceva Raggi due anni fa. E invece si avverte un principio di dissolvenza, come quando un film sta per finire.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.