Enrico Rossi (foto LaPresse)

Il contrappasso di Enrico Rossi

Marianna Rizzini

Il governatore della regione Toscana, ex renziano atipico, pilastro della scissione Pd-Mdp, oggi è il punto di riferimento dell'opposizione al decreto Salvini (anche dei Democratici)

Si parla di lui, ma non nel modo in cui se n'è parlato fino a ieri, e cioè come del presidente di Regione “ex renziano atipico” (così lo chiamavano gli osservatori per sottolinearne il profilo “né-né”: né con Renzi né contro Renzi), poi diventato pilastro della “scissione” (passaggio ad Articolo1 -Mdp poi LeU). Oggi Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, l'uomo con cui (nel Pd) non pochi se l'erano presa per il passaggio a sinistra verso Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, per uno strano contrappasso da tempi gialloverdi impazziti, viene guardato, nel Pd e altrove, come il possibile sasso provvidenziale nell'ingranaggio salviniano del decreto sicurezza.

 

Rossi è infatti colui che ha portato la Regione Toscana verso il ricorso alla Consulta contro il decreto voluto dal ministro dell'Interno (“questa legge ostacola il nostro lavoro: erogare assistenza sociale. Invade una materia che la Costituzione ci affida…il decreto sicurezza è pura propaganda”). “Le Regioni – ha ribadito – non fanno disobbedienza civile, ma esercitano una competenza per chiarire l'articolo 13 del Decreto sicurezza che ostacola il funzionamento dei servizi sociali e della sanità che ci compete”.

 

E così la sorte ha fatto uno strano giro, e consegnato la patente di paladino della sinistra-sinistra proprio a Rossi, l'uomo che, a monte della “scissione” Pd-Mdp, era guardato, nella sinistra-sinistra ancora non esule del Partito democratico, come uno troppo “renziano” per poter diventare davvero paladino dell'opposizione interna (specie per via dell'appoggio a Renzi sui temi Italicum, riforma del Senato e Jobs Act). D'altronde Rossi rimproverava alla sinistra-sinistra posizioni troppo ferme e rivendicative sugli stessi temi. Ma neppure gli si poteva dare davvero di “renziano”: Rossi passava infatti, in poco più di dodici mesi, dal ragionare su quanto fosse pericolosa la divisione in “pro e contro Renzi”, dopo vent'anni di “automatismo Berlusconi-antiBerlusconi” (“sono queste faziosità che hanno minacciato l'unità del paese”, diceva) al deplorare la “personalizzazione” renziana: “E' talmente divisivo…”. Suonava così infatti la punzecchiatura di Rossi dopo la sconfitta dell'ex premier al referendum del dicembre 2016: “…ha detto tante volte che si faceva da parte…”. Ma domani (oggi) è un altro giorno, e Rossi, che non è più del Pd, ha fatto quella che il corpaccione del Pd (a parte alcuni governatori) sta ancora valutando come mossa d'opposizione.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.