Un dettaglio dell'illustrazione di Makkox

La novità del governo Dolce & Gabbana

Claudio Cerasa

La manovra è una barzelletta ma la svolta del governo sull’Europa è un fatto vero e dimostra che in Italia i mediatori contano più dei distruttori. Durerà? Tre passaggi per chiedere scusa agli italiani e dare un seguito responsabile al momento Tsipras

L’operazione è riuscita, ma purtroppo il paziente è morto. L’esito finale della trattativa tra il governo e la Commissione sulla prima e forse ultima legge di Bilancio del cambiamento offre all’osservatore molti spunti di riflessione.

 

Il primo riguarda un aspetto apparentemente tecnico ma in realtà molto politico a cui possiamo arrivare partendo da una domanda. Questa: ma come ha fatto il governo a far ritirare alla Commissione la procedura di infrazione? Lo ha fatto portando il rapporto tra deficit e Pil dal 2,4 al 2 per cento (lo 0,4 lo lasciamo agli allocchi della Casalino Associati). Lo ha fatto intervenendo sul deficit strutturale (il governo aveva previsto di farlo aumentare dello 0,8 per cento, pur dovendolo abbassare ogni anno dello 0,5, e ora invece ha deciso non di abbassarlo ma semplicemente di non peggiorarlo). Lo ha fatto, infine, inserendo a garanzia delle proprie pazze promesse una misura che è come un’ipoteca sul futuro del governo e che coincide con un aumento delle clausole di salvaguardia per la manovra del prossimo anno, che passerebbero dai 13,7 miliardi previsti oggi ai circa 24 previsti grazie alla nuova legge di Bilancio (il che significa che a fare la prossima manovra difficilmente sarà ancora questo governo).

 


Illustrazione di Makkox


 

Accanto a questo spunto politico ce ne sono almeno altri due che meritano di essere affrontati e che riguardano la qualità delle svolte messe in campo dal governo.

 

La prima è quella legata alla qualità della legge di Stabilità, e sia per gli enormi costi patiti dall’Italia negli ultimi mesi a causa della scellerata quanto inutile minaccia di far saltare per aria i trattati europei, sia per l’assenza di una qualsivoglia riforma finalizzata a far aumentare non il consenso del governo ma la crescita dell’Italia, la manovra del governo resta una pericolosa, dannosa, stolta e inutile pagliacciata.

 

La seconda svolta è invece quella legata alla qualità della nuova traiettoria scelta dal governo e – per quanto un esecutivo che diventa credibile solo nella misura in cui rende non credibile il suo contratto sia una barzelletta – la svolta decisa da Lega e M5s nei rapporti con l’Europa non può essere liquidata come un incidente di percorso, ma ha le caratteristiche per essere il segno di una nuova fase, di un fatto nuovo, di un cambiamento di linea che merita di essere registrato e preso sul serio. Può essere che dietro alla trattativa con l’Europa si nasconda un alibi che potrebbe essere usato dal Movimento 5 stelle e dalla Lega in caso di voto anticipato: noi non siamo stati in grado di fare nulla di quanto avevamo promesso e per non ammettere la nostra incapacità scaricheremo tutte le responsabilità sull’Europa brutta e cattiva. Può essere invece che dietro alla trattativa con l’Europa si nasconda un cambio di paradigma vero, sul modello Tsipras 2015, in cui i demolitori alla Salvini e alla Di Maio non contano più dei mediatori alla Conte, alla Tria, alla Moavero – che ieri forse non a caso erano seduti al Senato alla destra e alla sinistra di Conte nei posti lasciati vuoti per un giorno dai due vicepremier proprio mentre il presidente del Consiglio annunciava i termini della nuova manovra. Su questo punto, sui rapporti con l’Europa, la svolta, per quanto surreale, è vera. Ma se vuole essere l’inizio di una fase politica di minore irresponsabilità rispetto al passato la svolta dovrebbe contemplare tre passaggi necessari a far recuperare all’Italia un briciolo della credibilità bruciata in sei mesi dal governo. Non si può chiedere a un governo giustizialista, nemico dello stato di diritto, di rinunciare alla barbarie della gogna mediatica ma forse si può chiedere di smetterla di giocare con l’estremismo anti Tav e di sbloccare le grandi opere. Non si può chiedere a un governo nemico della democrazia rappresentativa di rinunciare al suo core business eversivo, e di mettere per esempio da parte l’abolizione dell’articolo 67 della Costituzione, ma forse, per esempio, si può chiedere a un ministro del Lavoro di smetterla di giocare con le imprese, con l’occupazione, con lo sviluppo, e fare di tutto, cambiando il decreto dignità, affinché gli imprenditori siano spinti non ad assumere di meno ma ad assumere di più. Non si può chiedere a un governo nemico del passato di smetterla di aggredire tutte le riforme che negli ultimi anni hanno contribuito a ridare credibilità all’Italia (Fornero, Jobs Act) ma forse si può chiedere di fare di tutto per non mettere più in fuga gli investitori, presentandosi tutti insieme a fine anno di fronte alla telecamere promettendo di essere pronti a fare tutto quello che sarà necessario per difendere l’euro (in Italia il costo per l’assicurazione contro l’uscita dall’euro, il Credit Default Swap, aumenta da mesi, oggi è a 243 punti base e il 4 marzo era a 150, ed è un indice che dovrebbe preoccupare almeno quanto lo spread).

 

Un governo pericoloso non smetterà naturalmente di essere pericoloso solo per aver rispettato i trattati. Ma se il governo fosse interessato a usare la svolta sulla manovra non in funzione distruttiva ma in funzione costruttiva avrebbe la necessità di fare con urgenza quello che oggi il nostro grande Makkox suggerisce nella copertina del Foglio: mettere in scena il proprio momento Dolce e Gabbana, per così dire, e cominciare finalmente a chiedere scusa agli italiani, per evitare che il vecchio detto sull’operazione riuscita e sul paziente morto possano diventare la triste realtà per il nostro paese.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.