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Belli i libri sulla Tav, ma perché l'alternativa all'immobilismo oggi è la Lega?

David Allegranti

Davvero è giusto lasciare tutto lo spazio politico alla società civile? L’opposizione che manca e il libro di Fassino e Chiamparino

Roma. La politica soffre di horror vacui. Lo spazio politico dell’opposizione al governo felpastellato viene adesso occupato dalla piazza del 10 novembre a Torino o dalla manifestazione di Confindustria, Ance e altre associazioni di categoria che lunedì si sono trovate, sempre a Torino, per dire sì alla Tav.

 

Tutta società civile, come si dice, che ostenta lontananza dai partiti tradizionali oggi all’opposizione del governo, dunque da Forza Italia e dal Pd, e preferisce far da sola manifestando a favore dello sviluppo infrastrutturale senza mischiarsi troppo con le “bandiere” di partito. Lo avevano chiesto le organizzatrici della manifestazione del 10 novembre: venite in piazza senza simboli. L’insoddisfazione nei confronti dei partiti e dei loro segni è diventata, a quanto pare, un valore ma viene da chiedersi se non sia piuttosto un disvalore. Sicché, la domanda è: ma davvero è giusto lasciare tutto lo spazio politico alla società civile? Non è questione di mettere il cappello sulle manifestazioni altrui ma di riuscire a essere interlocutori politici – quindi di dotati legittimità parlamentare – credibili su questioni come la Tav. Il cortocircuito di questi tempi è che solo la Lega, che pure è parte attiva se non preponderante del governo, viene vista ancora come argine al partito del No (No Tav, No Tap, No termovalorizzatori) che tiene in piedi la maggioranza felpastellata. Essere partito di lotta e di governo è un grande classico leghista, lo insegnava già Umberto Bossi nel suo lungo e talvolta tumultuoso rapporto son Silvio Berlusconi. Il problema infatti non ce l’ha Matteo Salvini, che ha commissariato il governo e il M5s e si può permettere di recitare più parti in commedia – governo e opposizione insieme – ma il centrodestra e il centrosinistra, a partire dal Pd.

 

Ultimamente, i Democratici hanno riscoperto, a livello pubblico, un’intensa attività a favore della Tav, che non più solo un’opera pubblica da realizzare ma un simbolo politico. Per la verità c’è chi lo faceva già da anni, come Piero Fassino e Sergio Chiamparino, che hanno appena dato alle stampe “Tav, perché sì” pubblicato dalla Nave di Teseo (da domani in libreria). Il libro è un interessante dialogo fra i due ex sindaci di Torino utile a capire le ragioni del sì alla linea Torino-Lione. “La verità è che nel corso degli anni la Tav è diventata un totem politico, così che una parte della sinistra orfana del capitalismo da abbattere si è acconciata a fermare un treno”, scrive Fassino, secondo il quale i No e le occasioni perse degli ultimi mesi della giunta a Cinque stelle (dalla Tav alle Olimpiadi), assurta al governo anche grazie a qualche presunto progressista, sono stati vissuti a Torino come “uno schiaffo alla sua storia. E, senza rinunciare alla sua sobrietà subalpina, ha deciso di far sentire forte la sua voce. E che l’iniziativa sia partita da sette donne socialmente impegnate, ma senza appartenenza politica, accresce il valore di una mobilitazione realmente civica. E sollecita a sperare con fiducia nella forza della ragione”.

 

La mobilitazione realmente civica, come scrive Fassino, rischia però di restare ferma in piazza, che da sola non è sufficiente. Dunque il centrosinistra fa bene a scrivere libri a favore della Tav, ma sarebbe interessante capire come sottrarre alla Lega lo scettro della difesa dello sviluppismo. Sarà che la responsabilità è anche di chi ha affrontato questi temi con leggerezza? Nel 2013, in un suo libro, Matteo Renzi dava un suo “il giudizio politico sulla Tav, che non è dannosa: rischia semplicemente di essere un investimento fuori scala e fuori tempo”. L’allora sindaco di Firenze usava un argomento caro ai No Tav: “Prima lo Stato uscirà dalla logica ciclopica delle grandi infrastrutture e si concentrerà sulla manutenzione delle scuole e delle strade, più facile sarà per noi riavvicinare i cittadini alle istituzioni. E anche, en passant, creare posti di lavoro più stabili”. Insomma Renzi disse di “non credere a quei movimenti di protesta che considerano dannose iniziative come la Torino-Lione. Per me è quasi peggio: non sono dannose, sono inutili. Sono soldi impiegati male”. Come si vede, non è stata solo la sinistra movimentista negli anni a consegnare al centrodestra la tutela dello sviluppo infrastrutturale del paese.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.